Forse val la pena di
ripetere, a proposito del dibattito sulle “riaperture” una verità
banale, ma che tanti dimenticano o fingono di dimenticare.
NON esiste il rischio zero.
Fino a che l'epidemia continuerà ci saranno, purtroppo, delle vittime, è inevitabile. Invocare la sicurezza “assoluta” e subordinare a questa il ripristino di una situazione NON “normale”, questa è molto lontana, ma un po' meno anormale della attuale, è completamente, radicalmente errato.
Il ministro Francesco Boccia sembra il più determinato su questa linea. Fino a che non si avrà un quasi azzeramento dei contagi si deve proseguire nella chiusura, o quanto meno, rallentare il più possibile le riaperture. Non a caso questo signore ha chiesto poco tempo fa alla scienza “certezze inconfutabili”. Non sa, poverino, che le “certezze inconfutabili” le possono dare la fede e la magia, non la scienza.
Subordinare la riapertura del paese, ovviamente con tutte le possibili precauzioni, all'azzeramento o quasi di contagi e decessi è un po' come pretendere di bloccare il traffico automobilistico fino a che non scompariranno gli incidenti stradali, o di spegnere il riscaldamento fino a che non sarà ridotto a zero l'inquinamento atmosferico.
Misure non solo socialmente devastanti, ma profondamente autocontraddittorie.
Se io decidessi di non uscire mai di casa per evitare di essere investito da un'auto non correrei, è vero, il rischio di essere investito, ma aumenterebbero esponenzialmente le mie probabilità di ammalarmi, anche gravemente. Allo stesso modo, un blocco della circolazione automobilistica azzererebbe i morti per incidenti stradali, ma rallenterebbe scambi, traffici, relazioni culturali fra gli esseri umani e questo avrebbe enormi ripercussioni anche sui livelli globali di mortalità.
Il rischio zero è quindi un mito. Noi non optiamo MAI per il rischio zero. Decidiamo di volta in volta di assumerci la porzione di rischio che riteniamo accettabile in vista di determinati vantaggi. Quando decido di fare una escursione in montagna so che aumento di uno zero virgola le mia probabilità di morte, ma ritengo che sia meglio correre un tale rischio piuttosto che rinunciare a qualcosa che rende più bello il mio vivere. La vita in fondo è un insieme di rischi. Non rischia nulla solo chi è morto, o non è mai nato.
La posizione di chi subordina la riapertura, ovviamente con tutte le possibili precauzioni, all'azzeramento dei rischi di contagio è un estremismo fanatico e velleitario. Parlare di difesa della salute come di un valore assoluto da contrapporre alla “logica del profitto” che starebbe dietro alle domande di riapertura è una colossale idiozia.
Un paese chiuso muore. Non solo economicamente. Anche tralasciando qualsiasi considerazione sulla qualità della vita, economia allo sbando vuol dire povertà, violenti contrasti sociali, addirittura fame. Vuol dire anche crollo delle entrate fiscali e crisi verticale di qualsiasi sistema sanitario. E questo vuol dire anche incremento della mortalità.
Solo delle persone diversamente intelligenti e malate di ideologia possono non capirlo.
NON esiste il rischio zero.
Fino a che l'epidemia continuerà ci saranno, purtroppo, delle vittime, è inevitabile. Invocare la sicurezza “assoluta” e subordinare a questa il ripristino di una situazione NON “normale”, questa è molto lontana, ma un po' meno anormale della attuale, è completamente, radicalmente errato.
Il ministro Francesco Boccia sembra il più determinato su questa linea. Fino a che non si avrà un quasi azzeramento dei contagi si deve proseguire nella chiusura, o quanto meno, rallentare il più possibile le riaperture. Non a caso questo signore ha chiesto poco tempo fa alla scienza “certezze inconfutabili”. Non sa, poverino, che le “certezze inconfutabili” le possono dare la fede e la magia, non la scienza.
Subordinare la riapertura del paese, ovviamente con tutte le possibili precauzioni, all'azzeramento o quasi di contagi e decessi è un po' come pretendere di bloccare il traffico automobilistico fino a che non scompariranno gli incidenti stradali, o di spegnere il riscaldamento fino a che non sarà ridotto a zero l'inquinamento atmosferico.
Misure non solo socialmente devastanti, ma profondamente autocontraddittorie.
Se io decidessi di non uscire mai di casa per evitare di essere investito da un'auto non correrei, è vero, il rischio di essere investito, ma aumenterebbero esponenzialmente le mie probabilità di ammalarmi, anche gravemente. Allo stesso modo, un blocco della circolazione automobilistica azzererebbe i morti per incidenti stradali, ma rallenterebbe scambi, traffici, relazioni culturali fra gli esseri umani e questo avrebbe enormi ripercussioni anche sui livelli globali di mortalità.
Il rischio zero è quindi un mito. Noi non optiamo MAI per il rischio zero. Decidiamo di volta in volta di assumerci la porzione di rischio che riteniamo accettabile in vista di determinati vantaggi. Quando decido di fare una escursione in montagna so che aumento di uno zero virgola le mia probabilità di morte, ma ritengo che sia meglio correre un tale rischio piuttosto che rinunciare a qualcosa che rende più bello il mio vivere. La vita in fondo è un insieme di rischi. Non rischia nulla solo chi è morto, o non è mai nato.
La posizione di chi subordina la riapertura, ovviamente con tutte le possibili precauzioni, all'azzeramento dei rischi di contagio è un estremismo fanatico e velleitario. Parlare di difesa della salute come di un valore assoluto da contrapporre alla “logica del profitto” che starebbe dietro alle domande di riapertura è una colossale idiozia.
Un paese chiuso muore. Non solo economicamente. Anche tralasciando qualsiasi considerazione sulla qualità della vita, economia allo sbando vuol dire povertà, violenti contrasti sociali, addirittura fame. Vuol dire anche crollo delle entrate fiscali e crisi verticale di qualsiasi sistema sanitario. E questo vuol dire anche incremento della mortalità.
Solo delle persone diversamente intelligenti e malate di ideologia possono non capirlo.