domenica 30 giugno 2013

SILVIO BERLUSCONI ED AL CAPONE



Si, possiamo dirlo: se anche solo un parte della accuse che gli vengono mosse è vera Silvio Berlusconi è decisamente peggio di Al Capone. In questi ultimi 20 anni Berlusconi è stato accusato di corruzione, concussione, peculato, corruzione giudiziaria, favoreggiamento della prostituzione, traffico di droga, truffa finalizzata alla evasione fiscale, falso in bilancio, voto di scambio; è stato inoltre indicato come il “referente politico” di cosa nostra e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, oltre che di aver organizzato stragi mafiose. Se si esclude, forse, l'abigeato Berlusconi ha commesso praticamente tutti i crimini previsti dal codice penale. Su Berlusconi hanno indagato nel corso di questi 20 anni numerosissime procure, decine e decine di magistrati; le sue aziende sono state oggetto di centinaia di perquisizioni, su di lui esistono centinaia di migliaia di intercettazioni. L'ex presidente del consiglio ha finora accumulato la bellezza di 33 processi. Al Capone non si è mai neppure lontanamente avvicinato a simile vette.
La superiorità criminale di Berlusconi rispetto ad Al Capone risulta anche dagli anni di prigione a loro inflitti. Malgrado sia stato molto spesso assolto con varie motivazioni Silvio Berlusconi ha fino ad oggi collezionato condanne, sia pure non definitive, per complessivi DODICI ANNI di reclusione; Al Capone invece è stato a suo tempo condannato per evasione fiscale ad UNDICI ANNI, malgrado fosse considerato il “nemico pubblico numero uno”.
“Beh, era ora!” potrebbe dire qualcuno. Finalmente il lavoro di magistrati onesti ed imparziali sta dando i suoi frutti!
Berlusconi è in effetti peggio di Al Capone, come Al Capone Berlsusconi è riuscito per molto tempo a farla in barba alla legge, finalmente però i nodi stanno venendo al pettine. Se i magistrati della cassazione si comporteranno come devono il mostro sarà sconfitto: gli angeli della giustizia schiacceranno la testa del serpente velenoso. L'aria della nostra bella Italia tornerà ad essere respirabile, e tutti vivremo felici e contenti, o quasi.
Però, ci sono alcuni particolari che non quadrano in questo quadretto edificante. Diamolo pure per scontato: Berlusconi è peggio di Al Capone; una cosa simile è priva di conseguenze? Il fatto che un paese come l'Italia sia stato governato per oltre dieci anni dal peggior criminale comune di tutti i tempi non fa sorgere alcuna domanda, non induce a nessuna riflessione sulle istituzioni del nostro paese, sul suo stesso popolo? Francamente penso di no.


La magistratura, “prima”.
Berlusconi non è nato con “forza Italia”. Prima di diventare un politico importantissimo il cavaliere è stato uno dei primi imprenditori italiani, forse il primo, insieme ad Agnelli, capo di un impero di dimensioni colossali. Partito praticamente dal nulla questo criminale è riuscito ad accumulare una fortuna favolosa. Perché non è stato fermato prima? Perché i coraggiosi magistrati italiani non hanno cercato di bloccare il mostro prima che diventasse tanto potente e pericoloso? Berlusconi è il cancro delle democrazia, ha detto qualcuno. Bene, lo sanno tutti: con tumori sono fondamentali la diagnosi precoce e la tempestività delle terapie. Il cancro va distrutto sul nascere, e Berlusconi era, è, un cancro. Perché lo si è lasciato crescere? Perché non sono partiti subito gli avvisi di garanzia a raffica, le inchieste al ritmo di una al mese, le intercettazioni a strascico, le perquisizioni a tappeto? Qualcuno dice che anche prima del suo ingresso in politica Berlusconi è stato fatto oggetto di “attenzioni” da parte della magistratura. Però, si è trattato di ben misere “attenzioni”, non più gravi di quelle di cui sono stati fatti oggetto Romiti, Agnelli o De Benedetti, nulla di neppure lontanamente paragonabile alla valanga di inchieste degli ultimi venti anni. Pretendere di fermare un criminale come Berlusconi con simili, benevole, “attenzioni” è un po' come voler curare il cancro con l'aspirina. Possibile che magistrati tanto bravi come quelli che hanno indagato sul cavaliere (a proposito, perché è stato nominato cavaliere?) non si siano accorti del mostro che stava crescendo sotto i loro vigili occhi? Se Berlusconi è peggio di Al Capone molti magistrati sono stati, almeno indirettamente, suoi complici. Una simile conclusione può non piacere ma è la logica ad imporcela.
 

Il suo partito, e i suoi alleati
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Qualcuno riesce ad immaginare Al Capone che fonda un partito politico e
non lo utilizza per favorire la sua attività criminale? E' credibile un Al Capone che da un lato si dedica a svariate attività criminose e poi, come capo del suo partito, si limita ad una normalissima attività politica? Ed ancora, è credibile che Al Capone fondi un partito politico i cui membri non siano a conoscenza delle attività criminali del loro leader, non siano, a tutti gli effetti, suoi complici? Si tratta di una ipotesi del tutto infondata. Se Berlusconi è un criminale peggio di Al Capone non è possibile considerare Forza Italia o il Pdl come normali partiti politici. E non è possibile non sottoporre ad indagine Alfano o Brunetta, Quagliariello o Fini, Tremonti o Martino. Sottoporli ad indagine, attenzione, non per questo o quel circoscritto atto illegale, estraneo magari alla attività del Pdl, ma per essere stati, o essere ancora, complici del più pericoloso criminale comune della storia. Se Berlusconi è peggio di Al Capone Alfano è segretario di una organizzazione malavitosa, non possono esserci dubbi. Considerazioni simili possono farsi su tutti i partiti che in un modo o nell'altro sono stati alleati col Pdl. Insomma, se Berlusconi è peggio di Al Capone partiti che rappresentano la metà circa dell'elettorato sono associazioni criminali ed andrebbero trattate di conseguenza. La loro messa fuori legge andrebbe messa all'ordine del giorno.
 

Il presidente.
In Italia il capo del governo non è la massima autorità. Ben sopra il capo del governo la costituzione pone il presidente della repubblica, garante delle istituzioni, arbitro della contesa politica e simbolo della unità nazionale. Cosa dovrebbe fare un capo dello stato quando si accorge con raccapriccio che il governo del paese è finito nelle mani di uno dei più feroci e pericolosi criminali della storia? Meglio, cosa dovrebbe fare
prima che questo accada? Contrariamente a quanto molti pensano, la costituzione non obbliga affatto il capo dello stato ad affidare l'incarico di formare il nuovo governo al leader del partito che ha vinto le elezioni. Il capo dello stato può nominare chi vuole alla carica di presidente del consiglio, con un unico vincolo: il nuovo governo deve ottenere la fiducia delle camere. Ebbene, un bel giorno un criminale pericolosissimo vince le elezioni, malgrado le indagini che da anni coraggiosi magistrati svolgono sul suo conto. Cosa fa il capo dello stato? Non denuncia l'anomalia di un paese civile che sta per cadere nella mani di un nuovo Al Capone, non lancia un messaggio alla nazione, non affida ad una personalità di sicura garanzia democratica l'incarico di formare il nuovo governo, invitando il parlamento a votarlo, non convoca nuove elezioni. No, il capo dello stato nomina tranquillamente il criminale presidente del consiglio, gli permette di mettere le mani sul governo del paese.
Non solo, una volta che il governo del criminale è in carica il capo dello stato promulga in prima istanza moltissime delle leggi che questo ha fatto votare ad un parlamento ormai diventato una sorta di bivacco di cosche mafiose, non le rinvia sistematicamente alle camere, come pure sarebbe suo potere fare. Ed ancora, il garante delle istituzione non invia messaggi alle camere chiedendo che tutte le forze sane in esse presenti si uniscano per cacciare il mostro; il simbolo della unità nazionale si comporta come se la situazione fosse normale, magari insoddisfacente dal punto di vista politico ma istituzionalmente normale.
Se, invece di parlare genericamente di “capo dello stato”, ci riferiamo al presidente Giorgio Napolitano le cose se possibile si aggravano. Dopo avere accettato di sostenere l'onere di un secondo mandato presidenziale Giorgio Napolitano ha pronunciato di fronte alle camere riunite un discorso inequivocabile. In quel discorso il capo dello stato ha detto chiaramente che deve finire il periodo delle contrapposizioni rissose, che accordi fra le principali forze politiche sono non solo possibili ma necessari in una situazione drammatica come quella che il pese sta vivendo. In breve, il presidente Napolitano ha auspicato un accordo di governo fra il Pd ed il Pdl, cioè un accordo fra una normale formazione politica ed una organizzazione malavitosa. Se Silvio Berlusconi è il nuovo Al Capone forse non hanno torto i Grillo ed i Di Pietro quando accusano di complicità il capo dello stato...



Il popolo italiano.
Da circa venti anni il popolo italiano regala ai partiti fondati e guidati dal criminale milioni e milioni di voti. Il Pdl è giunto a sfiorare, nel momento di massima espansione elettorale, il quaranta per cento dei suffragi, per anni si è mantenuto intorno al 35%. La coalizione di centro destra ha conquistato in più di una occasione oltre il 50% dei consensi. Insomma, la metà circa del corpo elettorale vota per una organizzazione mafiosa o per i suoi alleati, vuole che un pericolosissimo criminale governi l'Italia. E non si può dire che tutti questi cittadini ignorino la realtà dei fatti. Da anni valorosi magistrati indagano sul mostro, e le loro indagini sono amplificate e portate a conoscenza di tutti dalla informazione che, malgrado i suoi tentativi di imbavagliarla, si è conservata libera. Giornalisti amanti della verità come Scalfari, Santoro e Travaglio, artisti democratici come Benigni e Celentano, profondi intellettuali come Camilleri e Battiato hanno denunciato senza paura alla pubblica opinione crimini del mostro. Un piccolo inciso: chi a suo tempo lottava contro Al Capone rischiava di vedere la sua casa distrutta da una bomba, o di trovarsi con le gambe spezzate, o, peggio ancora, con un proiettile fra gli occhi. Oggi gli eroici attori comici, intellettuali, giornalisti, opinionisti, filosofi, scienziati, scrittori di romanzi gialli, economisti, barzellettieri ed affini che denunciano il criminale diventano in poco tempo milionari, piccole anomalie della storia. Comunque, anomalie a parte, moltissima gente coraggiosa ha denunciato le attività criminali di Silvio Berlusconi,
nessuno può dire: “non sapevo”. Eppure, tante nobili e coraggiose denunce non sono servite a nulla! Milioni e milioni di italiani hanno continuato a votare per il criminale, fregandosene degli sforzi che i magistrati stavano facendo per incastrarlo, anzi, rendendo ancora più difficile il loro compito, e delle coraggiose denunce di tanti valorosi giornalisti. Come si può spiegare un fatto tanto grave?

Qualcuno potrebbe dire che in fondo non si tratta di un fenomeno nuovo. Milioni di tedeschi diedero a suo tempo il loro voto ad Hitler, e milioni di lavoratori in tutto il mondo hanno per decenni considerato Stalin il nobile difensore degli oppressi. Il paragone però è poco appropriato. Hitler e Stalin hanno commesso crimini orrendi, addirittura più gravi di quelli commessi da Berlusconi (Marco Travaglio forse ha dei dubbi in proposito), ma si tratta di crimini
politici o che hanno una fondamentale dimensione politica. L'olocausto e la dekulakizzazione, la collettivizzazione forzata dell'agricoltura e il massacro di zingari e omosessuali, le leggi razziali e la caccia ai “nemici del popolo” sono qualcosa di radicalmente, qualitativamente, diverso dal falso in bilancio, dalla corruzione e della concussione, dallo stesso stragismo mafioso. Si tratta di crimini non finalizzati all'incremento del proprio patrimonio privato ma alla realizzazione di (criminali) obiettivi politici. Certo, anche nel caso di Hitler e di Stalin valgono considerazioni legate alla loro personale sete di potere, ma la sete di potere è, di nuovo, qualcosa di intimamente legato alla politica, alla vita e a fini pubblici. Berlusconi, dicono i suoi nemici, è entrato in politica per meglio tutelare i suoi interessi privati, Hitler e Stalin al contrario hanno enormemente ampliato l'area del loro arbitrio privato per realizzare i loro interessi pubblici, politici. La dimensione privata è assolutamente preminente nella attività di Berlusconi, come in quella di Al Capone, quella pubblica in un Hitler e in uno Stalin. E mentre è comprensibile che milioni di esseri umani seguano dei leader che indicano loro alcuni fini politici, anche se criminali, resta incomprensibile lo spettacolo di milioni di esseri umani che appoggiano un leader che non ha altro obiettivo se non quello di incrementare il proprio conto in banca. L'odio razziale o di classe sono sentimenti collettivi, capaci, purtroppo, di mobilitare milioni di persone, si può dire altrettanto del desiderio di veder incrementati gli utili e le ricchezze del signor Silvio Berlusconi?

Comunque la si rigiri il fatto che milioni di persone votino per un criminale che pensa unicamente al suo privato tornaconto resta misterioso. Ci possono essere solo due spiegazioni di un fatto tanto inconsueto.
La prima è molto semplice: si tratta di persone ingannate dal potere mediatico del criminale. Si tratta però di una spiegazione molto poco convincente. Il potere mediatico di Berlusconi non è, né è mai stato, assoluto. Lo provano non solo le moltissime voci libere che si sono levate ad accusarlo, ma il fatto innegabile che milioni di persone hanno saputo riconoscere la natura diabolica di Berlusconi e non solo non lo hanno votato, ma hanno coraggiosamente lottato contro di lui. Il potere mediatico del cavaliere non spiega perché tanta gente abbia creduto ad un procacciatore di puttane come Emilio Fede e non ad un giornalista onesto e coraggioso come Santoro, abbia dato retta ad un semi bandito come Vittorio Feltri e non ad un paladino del giusto e del vero come Marco Travaglio: entrambi erano e sono presenti sui media, ed il secondo più del primo, sembrerebbe. L'ipotesi del potere mediatico non serve a spiegare il successo elettorale del cavaliere, a meno che non sia supportata da una ulteriore ipotesi:
coloro che votano per il cavaliere sono degli imbecilli senza possibilità di recupero. La metà circa del popolo italiano è composta da cerebrolesi, poveri idioti, persone di cui si potrebbe dire, usando una terminologia politicamente corretta, che sono “diversamente intelligenti” e che come tali potrebbero anche essere un po' rispettate, se questa loro diversità non consegnasse il paese nelle mani di un criminale senza scrupoli.
La seconda spiegazione è anch'essa molto semplice:
chi vota per il cavaliere è, almeno tendenzialmente, un criminale come lui. Certo, non è colpevole, forse, di specifici delitti, non ha, forse, commesso dei crimini sanzionati dal codice, di certo non ne ha commesso tanti e tanto gravi come quelli che ha invece commesso il cavaliere, ma questo si spiega solo con le diverse possibilità che il cavaliere ha sempre avuto rispetto ai normali cittadini, oltre che con la sua natura particolarmente demoniaca. Però, sotto sotto, chi vota o ha votato Berlusconi è come minimo un criminale potenziale. Basta con la scemenza di considerare buoni cittadini, magari “ingannati”, gli elettori del centro destra! Non si tratta affatto di cittadini ingannati, sono dei furfanti che hanno voglia di partecipare al bottino, che sperano nei favori del cavaliere. Evasori fiscali privi del minimo senso civico, egoisti capaci di far affondare l'Italia pur di incassare un euro, avidi speculatori che se ne fregano del bene comune, gente che si arricchisce sulle miserie degli strati più disagiati della popolazione. In breve, non rivali ma nemici, e neppure nemici politici, nemici e basta perché non ha senso considerare gli amici di Al Capone, o gli ammiratori di Totò Riina come dei nemici politici. Sono dei disonesti che ogni persona onesta, sia essa di destra o di sinistra, deve disprezzare e combattere, punto e basta.
Questa seconda spiegazione è la più convincente di tutte, non a caso è stata sostenuta da fior di intellettuali della sinistra italica, da Umberto Eco a Giorgio Bocca. Però, se è vera, come del resto se è vera la prima, esiste in Italia un problema immenso, e stupisce che persone come Eco e Bocca, oltre che menti eccelse come quelle di Di Pietro, Marco Travaglio e Rosy Bindi non lo abbiano neppure intravisto.


La metà circa della popolazione italiana è composta da criminali
, quanto meno da potenziali criminali, oppure da incurabili imbecilli, oppure da tutte e due le cose insieme: molti imbecilli che si fanno abbindolare da molti criminali. Solo questo può spiegare il mistero dei milioni di consensi che un criminale ha potuto raccogliere e conservare tanto a lungo. Però, se la situazione è questa, non si vede come la democrazia sia possibile nel nostro paese. Se davvero siamo stati governati per oltre dieci anni da un criminale, un criminale che anche oggi è in grado di riscuotere un consenso molto elevato, i casi sono due: o si permette alla democrazia rappresentativa di funzionare, ed allora è lo stesso normale funzionamento del gioco democratico a produrre governi che altro non che espressioni della criminalità, oppure non si permette il regolare funzionamento della democrazia, ed allora il paese scivola verso nuove, pericolosissime, forme di tirannide. Qualcuno potrebbe ribattere che le cose non stanno così, che la democrazia può benissimo funzionare, fermo restando che nessuno, anche se riscuote milioni di voti, può infrangere la legge. Sono tante le anime belle che formulano ragionamentini di questo tipo, però di tratta, appunto, di ragionamentini, esercizietti mentali privi di qualsiasi validità. E' vero, tutti, anche chi ottiene milioni di voti, devono rispettare le leggi, però le leggi le fa il parlamento e chi ottiene milioni di voti ha la maggioranza in parlamento. Ed è vero che le leggi ordinarie non possono contraddire la costituzione, ma è anche vero che le maggioranze schiaccianti possono anche modificare le costituzioni. Qualsiasi democrazia, e a maggiore ragione qualsiasi democrazia liberale, può vivere solo se è supportata da un vasto sostegno popolare. Un certo livello di consenso occorre in ogni tipo di organizzazione politica e sociale, anche le peggiori tirannidi hanno bisogno del consenso, quanto meno del consenso di chi fa parte del loro apparato repressivo; una democrazia liberale che sia priva di un vasto sostegno popolare non può vivere perché entrerebbe costantemente in contraddizione con se stessa.
Nulla è più errato dell'idea di una democrazia liberale che possa sopravvivere al fatto che la metà circa del corpo elettorale sia composta da imbecilli e da criminali. L'esistenza di un simile corpo elettorale trasformerebbe fatalmente la contesa democratica in una guerra fra bande criminali, o la democrazia in una tirannide giustizialista. Dittatura dei giudici, quella che Tocqueville definiva “la peggiore delle tirannidi”, o governo del crimine organizzato. Se il popolo italiano è formato in larga parte da criminali e da imbecilli che si fanno abbindolare dai criminali, non abbiamo scampo: è questo il nostro futuro.

Le cose che ho scritto non intendono cercare di dimostrare che Silvio Berlusconi
non è un criminale: scrivendole mi sono limitato ad esaminare quali conseguenze avrebbe questo fatto qualora fosse vero. Se l'uomo che ci ha governato per oltre dieci anni è il nuovo Al Capone non può salvarsi nulla del nostro paese: non la magistratura che per decenni non si è accorta del cancro che stava crescendo, non il suo partito e neppure gli altri partiti che in qualche modo sono stati suoi complici, non il capo dello stato che ha trattato il nuovo Al Capone come un normale uomo politico, non il popolo che la ha votato, non la democrazia che ha reso possibile un tale, profondo pervertimento dei suoi stessi meccanismi.
Può darsi che sia proprio questa la situazione del paese, io
NON lo credo, anzi, sono profondamente convinto che sia proprio l'enormità delle accuse che gli sono state mosse a dimostrare come la offensiva della magistratura contro il cavaliere non abbia nulla a che fare con il diritto e la giustizia. Quello che credo io però ha poca importanza. Chi, contrariamente da me, crede che il paese sia stato governato per tanto tempo dal peggiore dei malfattori cerchi di ragionare, di trarre da questo fatto enorme ed abnorme tutte le sue logiche conseguenze. Nulla però è tanto faticoso oggi quanto il ragionare. Ecco perché oggi si sentono strillare tanti slogan, ed affermare tante sciocchezze, ma non si sentono, quasi mai, ragionamenti degni di questo nome.

lunedì 24 giugno 2013

ANCORA SULLA SENTENZA DI MILANO



La sentenza di Milano può essere commentata da diversi punti di vista.

Nel merito, si tratta di una sentenza allucinante. Tutto quello che il processo ha dimostrato è che il presidente del consiglio ha tenuto una condotta discutibile dal punto di vista etico e, probabilmente, troppo disinvolta per un uomo nella sua posizione. Sarebbe stato molto meglio se Berlusconi non avesse organizzato in casa sua cene con ragazze che, si dice, siano piuttosto allegre. Ma, nei paesi civili, si puniscono i
reati, non i peccati, ed i reati vanno provati, provati in maniera chiara, inequivocabile, qualcuno dice provati al di la di ogni ragionevole dubbio. Nei paesi in cui il diritto è una cosa seria se non c'è la prova del reato si assolve l'imputato, lo si assolve anche se sta antipatico, se lo si considera una persona eticamente discutibile, se è un proprio rivale politico. E' ridicolo sostenere che la prova dei reati sia emersa nel processo di Milano. Lo dimostra, tra le tante altre cose, l'incredibile decisione della corte di chiedere l'apertura di una inchiesta sui numerosissimi testimoni a favore dell'ex premier. Il giudice non ha interrotto la deposizione di questo o di quel teste a favore di Berlusconi, non ha fatto notare le incongruenze e le falsità della sua testimonianza. Il processo è proseguito regolarmente fino alla conclusione, l'imputato è stato condannato ed i testi a suo discarico rischiano ora una incriminazione per falsa testimonianza. La logica è questa, più o meno: Berlusconi è colpevole perché i testi a suo favore hanno mentito, i testi a favore hanno mentito perché Berlusconi è colpevole. Qualcosa di incredibile!!!
Ancora più incredibile è la dimensione della condanna. Misseri è stato condannato ad
OTTO anni per occultamento di cadavere, Berlusconi a SETTE per una telefonata in questura e un (presunto) rapporto sessuale con una diciasettenne. Siamo alla follia!

A livello più generale. E' chiaro che una magistratura organizzata come quella italiana non può dare garanzia di giudizi equi e ponderati. In Italia la magistratura si “autogoverna”, cioè è il solo controllore di se stessa, non esiste divisione delle carriere fra giudici e PM, non esiste responsabilità civile dei magistrati, le carriere dei magistrati sono di fatto automatiche. In Italia di fatto i magistrati possono fare ciò che vogliono, possono farlo perché rispondono di tutto solo di fronte a loro stessi. E' una anomalia unica in tutto l'occidente.

A livello politico, fanno ridere coloro che dicono che le sentenze non si commentano o che affermano che la sentenza di Milano non sarebbe un fatto politico. Ma, stiamo scherzando? Finora Berlusconi ha collezionato
DODICI anni di reclusione, chi si becca DODICI ANNI di carcere è un criminale, per definizione. Perciò i casi sono due, o Berlusconi è un criminale peggio di Al Capone e questo è un fatto politico, oppure non lo è, ed allora è un fatto politico la persecuzione giudiziaria di cui è oggetto.
Quanto al non commentare le sentenza, per favore, basta con le stronzate! Da sempre in una democrazia le sentenze si commentano, da sempre ci si mobilita contro sentenze che si giudicano aberranti. Sacco e Vanzetti, Dreyfus, Valpreda, Tortora, i Rosemberg... si potrebbe continuare. Magari si potrebbero aggiungere altri nomi: Radek, Zinoviev, Kamenev, Bukarin, Tomsky, tutti rivali di Stalin eliminati al termine di “regolari” processi conclusi con esemplari sentenze di condanna. La sinistra comunista a suo tempo “commentò” quelle sentenze, le commentò applaudendo i boia e i torturatori. Quindi, in un senso o nell'altro le sentenze
SI COMMENTANO, SI SONO SEMPRE COMMENTATE.
Esiste in Italia un clima forcaiolo che fa paura. Un rigetto diffuso del garantismo, un desiderio viscerale di risolvere i problemi a colpi di giustizia sommaria. Ed esiste anche un profondo disprezzo per la democrazia, la libera manifestazione della volontà degli elettori. Berlusconi è votato da dieci milioni circa di italiani? E tre giudici se ne fregano di questo particolare e lo condannano alla interdizione perpetua dai pubblici uffici al termine di un processo farsa. E non solo. In molti lo vorrebbero comunque ineleggibile in base ad una legga degli anni 50, altri ancora vorrebbero ampliare le norme sulla ineleggibilità, rendere automaticamente ineleggibile chiunque abbia subito una condanna, anche senza che il giudice abbia decretato la interdizione dai pubblici uffici, il tutto fregandosene del principio secondo cui la pena estingue il reato e, ancora una volta, della volontà degli elettori che magari possono dare la loro fiducia anche a chi ha subito una condanna e ha pagato il suo debito con la giustizia.

Stiamo attraversando momenti neri. Non so che fine faremo, ma so di certo che nessuna speranza di ripresa, a nessun livello, è possibile senza una profonda, radicale riforma della giustizia. Non è un problema che riguardi il solo Berlusconi. L'Italia rischia di diventare molto simile all'Iran e questo riguarda, tutti, indistintamente tutti.

MILANO COME TEHERAN



Non sbagliavo, purtroppo. Berlusconi condannato a sette anni nel processo Ruby. In un qualsiasi paese civile un simile processo non sarebbe mai neppure iniziato. Un processo in cui i presunti concussi negano di essere stati concussi, in cui non esistono parti lese, in cui non c'è uno straccio di prova materiale, nè testimonianze che confermino in maniera inequivocabile le tesi accusatorie; la gran parte delle testimonianze anzi hanno negato queste tesi. Eppure, al termine di questa farsa di sapore staliniano, la corte condanna Berlusconi ad una pena addirittura superiore a quella richiesta dal PM!

Facciamo un po' di conti. Finora Berlusconi ha collezionato le seguenti condanne:
UN ANNO perchè è stata pubblicata su un giornale di proprietà del fratello una intercettazione di Fassino (dopo che per anni centinaia di intecettazioni di Berlusconi sono finite in pasto alla stampa)
QUATTRO ANNI per una presunta evasione fiscale da 4 milioni di euro, evasione che riguarda una azienda in cui, all'epoca dei fatti, Berlusconi non copriva più alcun incarico.
SETTE ANNI per un presunto rapporto sessuale con una diciasettenne, rapporto sempre negato dalla stessa e di cui non esiste prova alcuna, e per una presunta concussione smentita dagli interessati.
IN TOTALE FANNO DODICI ANNI DI RECLUSIONE, qualcosa a cui in Italia non vengono condannati neppure gli stupratori assassini.
Da questo momento la cosa è ufficiale: IN ITALIA NON ESISTE GIUSTIZIA. Una magistratura priva di ogni limite e controllo può fare ciò che vuole. Da oggi è possibile essere condannati senza che la propria colpevolezza sia stata minimamente provata. Un simile imbarbarimento del paese non riguarda il solo Berlusconi, riguarda TUTTI, ma PROPRIO TUTTI.
Il Pdl DEVE reagire, subito.
Se le sentenze a carico di Berlusconi diverranno definitive, i parlamentari del Pdl DEVONO DIMETTERSI IN BLOCCO. Nel frattempo sarebbe il caso di ricorrere alla corte europea per i diritti dell'uomo. Confidare nell'appello o nella cassazione può rivelarsi suicida.
Se, in nome di un malinteso senso di "responsabilità", il Pdl accetterà di farsi massacrare senza reagire consegnerà il paese ai nuovi talebani, e allora sarà un disastro a tutti i livelli, economia compresa.

sabato 22 giugno 2013

IL SACCHEGGIO E LA GUERRA DI CLASSE



Russia, primavera del 1919, siamo in pieno comunismo di guerra. Il 13 Maggio 1919 compare sul “Notiziario del consiglio dei deputati operai di Odessa” il seguente annuncio: “La giornata odierna, 13 maggio, è stata decretata giorno di espropriazione della borghesia. (…) Le classi possidenti dovranno riempire un questionario dettagliato, elencando i prodotti alimentari, le calzature, gli abiti, i gioielli, le biciclette, le coperte, le lenzuola, l'argenteria, il vasellame e altri oggetti indispensabili al popolo lavoratore (…) Tutti devono assistere le Commissioni di espropriazione in questo sacro compito (…) Chi non obbedirà agli ordini delle Commissioni di espropriazione sarà arrestato immediatamente. Chi resisterà verrà fucilato sul posto”.
Un episodio, uno dei tanti e neppure fra i più gravi, eppure estremamente significativo di un modo di pensare, di rapportarsi ai problemi economici.
Ci si può rapportare all'economia e ai suoi problemi in due modi.
Il primo è quello di cercare di
accrescere la produzione di ricchezza. Per farlo occorre incentivare i produttori a lavorare nella maniera più efficace ed efficiente possibile, aprire e snellire i canali del commercio e del credito, invogliare chiunque ne abbia le possibilità ad investire.
Il secondo è quello di
appropriarsi della ricchezza già prodotta per redistribuirla o comunque utilizzarla a fini che l'autorità politica ha stabilito.
Sappiamo bene quale fu a suo tempo la scelta di Lenin e del suo governo: feroci requisizioni nei confronti dei contadini, con conseguenti carestie, militarizzazione del lavoro,
proibizione del commercio privato, razionamento. Dopo la breve pausa della NEP questa linea fu ripresa ed amplificata fino al parossismo da Stalin, con conseguenze umane, sociali ed economiche devastanti.

La politica degli espropri e delle requisizioni può essere paragonata al
saccheggio:non produrre ricchezza, toglila a chi la ha già prodotta”, in particolare, nelle condizioni della Russia sovietica, ai contadini (altro che “borghesia e “classi possidenti”!). A parte tutte le obiezioni che è possibile fare sul piano etico alla pratica del saccheggio, è fin troppo chiaro che tale pratica è assolutamente inefficace sul piano economico. Si può saccheggiare l'altrui ricchezza solo se qualcuno la ha prodotta. Il saccheggio ha comunque bisogno della produzione, non può sostituirsi ad essa. Saccheggiare la gente vuol dire farla smettere di  lavorare e produrre. E' quanto avvenne in Russia coi contadini. Espropriati di tutti o quasi i frutti del loro lavoro, si tramutarono da produttori in orde di affamati che cercavano disperatamente di dare l'assalto ai magazzini in cui il loro grano era stato rinchiuso, quando non era lasciato a marcire al sole, protetto però da guardie armate. L'agricoltura della Russia sovietica non si sarebbe più ripresa da una simile follia.
Inoltre, anche a prescindere dalla corruzione e dalle ruberie inevitabilmente connesse al sistema del saccheggio (la gran parte dei beni sottratti ai “possidenti” non andavano al “popolo lavoratore” ma ai membri delle “commissioni di espropriazione”), anche a prescindere da questo, è fin troppo chiaro che la politica del saccheggio non migliora in alcun modo la condizione dei meno abbienti. Le condizioni di un operaio russo, inquadrato nelle squadre di lavoro forzato ideate da Trotskij, non sarebbero migliorate, neppure di pochissimo, se sua moglie avesse avuto un anello espropriato ad una “possidente”, o se a lui fosse stato consegnato un paio di mutande, (di quale taglia?) usate fino a poco tempo prima da un “borghese”. Quanto ai generi alimentari, davvero si poteva pensare che del pane o della carne sottratte alle mense dei “ricchi” potevano risolvere il problema della fame endemica delle campagne e delle città? La politica del saccheggio poteva avere conseguenze solo
politiche: poteva servire a terrorizzare i nemici, veri o presunti, della dittatura bolscevica, sul piano economico aveva conseguenze tutte e solo negative.

Le requisizioni erano strumento di lotta sociale e politica, oltre che rozzo e fallimentare tentativo di risolvere i problemi economici; ma si trattava di uno strumento di lotta che aveva alle spalle una concezione ben precisa dell'economia e della società. Secondo tale concezione i problemi economici potevano essere risolti solo in un'ottica di guerra di classe, ed i comportamenti delle classi considerate nemiche erano tout court assimilati a crimini. La resistenza contadina alle requisizioni veniva in questo modo considerata un crimine da punire con inaudita spietatezza, ma eguale spietatezza veniva riservata a tecnici, impiegati, strati di piccola e media borghesia (non parliamo degli ex imprenditori); gli stessi operai che si opponevano alla militarizzazione del lavoro o che osavano scioperare per salari non da fame erano considerati “nemici dello stato proletario” e trattati di conseguenza. La riduzione dell'economia alla politica, e della politica alla guerra di classe metteva il partito bolscevico in guerra contro la società nel suo complesso. Si trattava però di una società disgregata, priva di rappresentanza politica, quindi incapace di organizzare una risposta unitaria. Il partito al potere era l'unica forza organizzata in un oceano di disgregazione sociale. Questo spiega la sua vittoria sulla società. Amara vittoria, pagata ad altissimo prezzo da interi popoli.

Non voglio fare ridicoli confronti fra la Russia di Lenin e Stalin e l'Italia di oggi. Simili confronti sarebbero, fra le altre cose, offensivi per le innumerevoli vittime del comunismo sovietico, e non solo. Esistono però, nel panorama politico e culturale (si fa per dire) dell'Italia, e forse anche dell'Europa, odierne idee, sentimenti, prese di posizione che ricordano in qualche modo la filosofia politica di Lenin e dei primi bolscevichi.
Non si trovano i soldi per pareggiare il bilancio? Si metta una bella tassa sulla casa; Cipro è troppo indebitata con banche estere? Si confischi una parte del denaro dei correntisti, non si sa come risolvere il problema degli esodati, creato da un ministro pasticcione? Si imponga a tutti, o ad alcuni, una tassa
di solidarietà. Tutto questo non è certo saccheggio ma risponde ad un'ottica che gli si avvicina, in qualche modo: non si riesce a produrre ricchezza, quindi si mettono le mani sulla ricchezza già prodotta, che poi questo non risolva nulla, anzi, aggravi tutti i problemi, è secondario.
Ed ancora. L'ex leader Monti che dichiara che lo stato è in guerra, si ha usato proprio questo termine:
guerra, con gli evasori; il dottor Ingroia che propone tranquillamente l'esproprio di tutti i patrimoni dei presunti evasori, lasciando loro, bontà sua, sei mesi per dimostrare la loro innocenza (è il sospettato a dover dimostrare di essere innocente, interessante); Equitalia che mette all'asta la casa di chi ha un debito col fisco anche di poche migliaia di euro, tutto questo prefigura una concezione del rapporto stato cittadini che non è quella democratico liberale. Una concezione per cui i cittadini, o certe categorie di cittadini, sono nemici da battere, non persone che hanno doveri, certo, ma anche diritti, persone che se in difficoltà è interesse di tutti aiutare, non spingere alla disperazione. Si leggano con attenzione le dichiarazioni di un Ingroia o di un Grillo, di una Rosy Bindi o di un Vendola e si vedrà che la loro concezione del rapporto fra stato e cittadini è una concezione di tipo bellico. Un sindacalista, non ricordo ora quale, ha affermato negli scorsi giorni che la disoccupazione è un “crimine contro l'umanità”; Grillo usa continuamente una terminologia militare (arrendetevi e sarete risparmiati), Vendola e Rosy Bindi parlano in continuazione di parassiti e speculatori da colpire. Tutti sono alla costante ricerca di un nemico da battere, non delle misure per far funzionare quel meccanismo delicato e complesso che è un sistema economico. Non si tratta però di nuovi Lenin, questo deve essere chiaro. Manca a queste mezze figure della italica politica il fanatismo coerente di un Lenin, ma mancano loro anche, diciamolo pure, le palle di un Lenin, la capacità di rischiare tutto essendo pronti anche a pagare di persona, e a prezzo assai caro. Gli italici radicali dei nostri giorni sono persone sempre presenti nei salotti bene come in TV, godono di invidiabili redditi, girano il mondo in business class a spese dei contribuenti. Se il colpo di mano dell'ottobre del '17 fosse fallito Lenin rischiava la pelle, la breve avventura politica di Ingroia gli è costata un... trasferimento in Valle d'Aosta (è tanto bella la valle d'Aosta, perché rovinarla?). I radicali italiani, ed europei, sono rivoluzionari da operetta, o da comiche finali, molto ma molto meno pericolosi dei Lenin, dei Trotskij o dei Robespierre che a volte cercano di scimmiottare. Non meritano di essere odiati, ma neppure meritano il rispetto che è invece, forse, dovuto ai grandi e tragici campioni del fanatismo.

mercoledì 19 giugno 2013

L'ULTIMA FOLLIA

 

Sinceramente pensavo, quanto meno, avevo buone speranze, che la consulta avrebbe dato ragione, in qualche modo, ai difensori di Berlusconi. Non perché fossi convinto che i giudici costituzionali avrebbero esaminato con serena obbiettività i fatti e, tenuto conto della normativa e della giurisprudenza, avrebbero preso una decisione giuridicamente ineccepibile. Chi è ancora convinto che 20 anni di inchieste, 33 processi, centinaia di migliaia di intercettazioni, abbiano alle spalle una imparziale, serena aspirazione alla giustizia è sciocco o in malafede. Solo, pensavo che i giudici avrebbero fatto una valutazione politica intelligente. Il quadro è mutato, c'è un governo di larghe intese che forse è in grado di fare qualcosa di buono per il paese, nulla sarebbe più deleterio per l'economia che
il riacutizzarsi di uno scontro frontale, senza esclusione di colpi fra centrodestra e centrosinistra. In una situazione simile smorzare i toni, mettere da parte le polemiche faziose, sarebbe nell'interesse di tutti, comprese le massime istituzioni del paese. Per questo speravo, e pensavo, che forse la Consulta avrebbe messo fine ad un processo farsa che, se si concludesse con la condanna definitiva di Berlusconi, porterebbe il paese in una situazione di scontro drammatico.
Sbagliavo. Esiste in Italia il partito della guerra civile. Il partito che non vuole nessuna riforma istituzionale seria, il partito di chi pensa si possa uscire dalla crisi economia spremendo ancora di più i contribuenti, che considera la lotta all'evasione un po' come Lenin considerava a suo tempo la lotta contro i “kulaki”: uno scontro a morte, letteralmente. Soprattutto esiste il partito di chi non vuole che si riduca di un grammo il peso politico della magistratura. La democrazia italiana è e deve continuare ad essere una democrazia sotto la tutela di giudici e PM. L'Italia deve restare un paese in cui l'ultimo dei PM può fare intercettare chiunque, o un qualsiasi giudice può decidere
la data delle riunioni del consiglio dei ministri. Simili concezioni non sono solo degli Ingroia e dei Travaglio, delle Rosi Bindi e dei Flores D'Arcais, purtroppo, arrivano fino alla Consulta, che del resto, più di una volta ha emesso in passato sentenze che di fatto erano, e sono, politiche.

Che succederà ora? Se si arrivasse all'arresto di Berlusconi le conseguenze sarebbero devastanti. Gli ipocriti possono dire ciò che vogliono ma è ovvio che nessun può pensare che un partito che raccoglie, o può raccogliere,
i consensi di quasi un terzo dei cittadini  possa restare inerte mentre una magistratura super politicizzata mette in galera il suo leader. Coloro che, come Epifani, continuano a ripetere che “le sentenze non si devono commentare” provino a farsi questa domandina: cosa sarebbe successo in altri tempi se Togliatti o Berlinguer fossero stati imprigionati, dopo che un tribunale li avesse condannati per aver ricevuto fior di finanziamenti da parte di una stato, l'URSS, che era nostro nemico? O  se un solerte PM avesse cominciato ad indagare Togliatti per spionaggio, sempre a favore dell'URSS? Avremmo o non avremmo avuto le piazze piene di “sinceri democratici” in lotta contro una “provocazione fascista”?
Il Pdl non può accettare di vedersi distruggere da un manipolo di magistrati.
Lo stesso governo delle larghe intese cambierebbe natura se il Pdl fosse decapitato dalla magistratura, cesserebbe di essere un governo di tregua, diventerebbe una trappola per il centro destra e in poco tempo sarebbe, con tutta probabilità, sostituito da un esecutivo di ben diverso colore.
C'è solo da sperare che in estremis il buon senso prevalga, che la palla passi a qualche magistrat
o capace di fare seriamente proprio lavoro, ce ne sono molti in Italia, per fortuna. Ma non c'è da essere troppo ottimisti. In un paese come il nostro, dominato dalla faziosità ideologica, tutto, ma proprio tutto, è possibile.

lunedì 17 giugno 2013

GRILLO E I DISSIDENTI

Detesto Grillo, da tempi non sospetti. Però mi fanno sorridere le critiche che oggi gli rivolgono un po' tutti, soprattutto trovo molto, molto discutibile l'atteggiamento dei “ribelli” del M5S. La senatrice Gambaro parla di scarsa democrazia nel movimento. Bella scoperta! C'è da chiedersi: se ne accorge solo ora? Ci voleva la mente di Aristotele per capire che la “democrazia del web” è una farsa ridicola? Che per essere democratico un partito deve avere regole, statuti, procedure formalizzate? Il M5S è una creatura di Beppe Grillo e manca di quelle strutture che caratterizzano, nel bene e nel male, i partiti politici “normali”. Esistono un comitato centrale, una segreteria, un segretario generale del M5S? NO. Nel M5S esiste il leader (o i DUE leader) e l'assemblea virtuale: questa sarebbe per i grillini l'essenza stessa della democrazia. Tutto questo piaceva fino a ieri ai “dissidenti” del movimento, ha permesso loro, fra le altre cose, di diventare senatori e deputati, con annessi stipendi e prebende. Ora si accorgono che il loro movimento è troppo “diverso” dagli altri e se ne lagnano. Beh, hanno poco da lagnarsi. E' proprio questa “diversità” che ha permesso loro di arrivare in parlamento.

Quanto alle critiche “politiche” che molti rivolgono a Grillo possono tradursi in una sola parola: ISOLAMENTO. Grillo avrebbe dovuto dire si a Bersani e formare con lui un bel “governo del cambiamento”. Non dico nulla sulle misure che questo governo avrebbe preso e su come queste sarebbero state catastrofiche per l'economia, e lesive delle libertà di tutti. Mi limito a fare una sola considerazione: chi voleva, e vuole, una qualche forma di alleanza fra Grillo e Bersani ha capito poco dell'anima del grillismo. Grillo è un demagogo giustizialista, però rivolge contro TUTTI la sua demagogia forcaiola. I dissidenti invece si sentono traditi perché il loro leader ha perso l'occasione storica di rendere,
alleandosi con Bersani, ineleggibile il cavaliere. Come i peggiori ipocriti del PD questi parvenù della politica vorrebbero cacciare Berlusconi dal parlamento e tacere, o dire solo poche parole imbarazzate, ad esempio sul caso Monte Paschi. Splendido!
Non so come evolveranno le cose. Certo, se il M5S dovesse dividersi e i dissidenti fossero abbastanza numerosi, tutto è possibile, anche che una qualche forma di “governo del cambiamento” sostituisca il governo Letta. Un simile ribaltone getterebbe il paese in una crisi terribile, ma cosa volete che gliene freghi di questo a tipetti come Bersani o Rosy Bindi? O ad un genio della politica come la senatrice Gambaro?

martedì 11 giugno 2013

LA TASSA IDEOLOGICA





Ascoltavo distrattamente un paio di giorni fa alcuni sapientoni che parlavano in TV. Ad un tratto prende la parola un esperto di energia e, cosa incredibile, comincia a fare un discorso sensato. Aguzzo le orecchie. “Fatto pari a 100 il valore di una bolletta energetica” dice, “poco più della metà di quel 100 copre le spese per le materie prime, petrolio soprattutto, visto che in Italia non c'è il nucleare. Del restante 50, 15 coprono i costi della rete distributiva e 15 sono tasse. Il residuo 20 copre delle generiche spese generali. Di cosa si tratta? Per la quasi totalità quel 20 va a coprire contributi statali alla produzione ed al consumo di energie alternative”
Insomma, al 15 di tasse si aggiunge un altro 20 sempre di tasse che finanziano la produzione di poca energia a costo elevatissimo. Una simile follia favorisce solo la lobby delle energie alternative, per il resto, colpisce imprese e famiglie, fa contrarre i consumi e contribuisce al rallentamento generale dell'economia.
Sarebbe davvero ora di porsi la semplicissima domanda: QUANTO INCIDE SULL'ECONOMIA LA TASSA IDEOLOGICA? Quanto costano misure, obblighi e vincoli che non hanno nessuna utilità, anzi, sono spesso molto dannosi proprio per l'ambiente, ma vengono imposti a famiglie ed imprese in nome di una visione ideologica del mondo?
La notizia è stata diffusa da un giornale insospettabile come “La repubblica”. Negli ultimi 30 anni non c'è stato alcun aumento significativo della temperatura globale del pianeta, pare che l'aumento medio sia nell'ordine del MEZZO GRADO. Eppure tutti continuano a parlare di “pianeta rovente” e continuano, soprattutto, a buttar via un sacco di soldi per difenderci da una catastrofe che non c'è.

sabato 8 giugno 2013

DOMANDE SULLA SCHIAVITU'


La tirannia della penitenza. Saggio sul masochismo occidentale

Non è stupefacente che le prime nazioni che hanno abolito la schiavitù, dopo averne ampiamente approfittato, siano anche le sole ad essere oggetto di accuse e di richieste di riparazione? In altri termini, il crimine viene imputato solo a chi se ne è pentito - l'Europa e gli Stati Uniti, che d'altronde hanno perso un milione dei propri figli nella guerra di secessione per questa causa - e che hanno definito il commercio umano una barbarie. (...) Perché l'occidente e solo l'occidente viene accusato quando il mondo orientale e quello africano, che non si sono mai pentiti pubblicamente, vengono esonerati da qualsiasi incriminazione? Perché il primo è ricco e sensibile alle argomentazioni morali, ed è in nome di queste argomentazioni che è arrivato, prima in Inghilterra nel 1807, poi in Danimarca e in Francia, ad arrendersi alle argomentazioni degli abolizionisti. (...) Ricordiamo che il primo stato arabo mussulmano ad abolire la schiavitù fu la Tunisia nel 1846, ma la misura divenne efficace solo con la presenza dei francesi nel 1881. L'impero ottomano seguirà questa via verso la fine del diciannovesimo secolo. Questo traffico è stato dichiarato illegale nello Yemen e in Arabia saudita solo nel 1962 ed in Mauritania nel 1980. Dire oggi che ci sono state tre tratte, ovvero, quella orientale, che iniziò nel settimo secolo (17 milioni di schiavi secondo le stime), quella africana, che abbinò uso interno e rete di esportazione (14 milioni di persone) e quella atlantica che in un lasso di tempo più breve comportò la deportazione di quasi 11 milioni di uomini donne e bambini, è ancora un tabù. Ogni storico che si azzardi a fare una simile osservazione rischia di essere accusato di revisionismo. (...)
Aspettiamo che il mondo arabo mussulmano faccia il suo pubblico mea culpa per il ruolo svolte nella "caccia alle pelli nere" e si interroghi sul proprio razzismo (in arabo la parola abid, schiavo, divenne a partire dall'ottavo secolo più o meno sinonimo di nero).
(…) Era dunque perfettamente legittimo istituire una giornata di commemorazione della schiavitù dato che è l'umanità intera ad essere macchiata da questa ignominia (…) è indispensabile insegnare nel modo migliore ciò che era legato a questo infame traffico. Ma questo insegnamento deve allora restituire il fenomeno in tutta la sua complessità. (…) Volete onorare la memoria dei deportati e dei suppliziati di ieri? Continuate la lotta degli abolizionisti, battetevi per liberare dalle loro catene 12 – 20 milioni di persone asservite oggi tramite il lavoro forzato e il traffico umano. Com'è strano il mutismo delle nostre grandi coscienze su questo soggetto scottante!

Pascal Bruckner: LA TIRANNIA DELLA PENITENZA. Saggio sul masochismo occidentale.

PS. Mentre consiglio a tutti la lettura di questo libro mi permetto di aggiungere una brevissima considerazione: in alcuni paesi mussulmani la quasi totalità delle donne vive in condizioni che possono, senza esagerazione alcuna, definirsi di schiavitù.

mercoledì 5 giugno 2013

ISRAELE E LO SPORT

In Israele si stanno svolgendo gli europei di calcio under 21. Tutto normale, tutto regolare... però, mi viene in mente una domandina cattivella. Si potrebbero svolgere in Israele i MONDIALI di calcio, o le OLIMPIADI? Penso di no. E non perché Israele non sia in grado di organizzare simili eventi o perché non in grado di garantire le necessarie misure di sicurezza. Non sarebbero queste motivazioni a rendere impossibile lo svolgersi di eventi simili in Israele. No, il motivo sarebbe un altro, molto più grave. Se le olimpiadi o i mondiali di calcio venissero organizzati in Israele molte nazioni diserterebbero l'evento. Pakistan, Arabia saudita, Iran, Iraq ed altre non ci sarebbero. Dal punto di vista tecnico sportivo non sarebbe una gran perdita, ma dal punto di vista della “universalità” della manifestazione sarebbe un duro colpo.
Qui si può toccare con mano l'ipocrisia che regna nello sport mondiale. Uno stato che fa parte regolarmente di tutte le organizzazioni sportive internazionali non può organizzare una grande manifestazione sportiva perché in un caso simile questa sarebbe disertata da altri stati. I guru dello sport mondiale fanno di continuo discorsi sullo sport come strumento di comprensione fra i popoli, ed intanto alcuni stati considerano un altro indegno di organizzare una qualsiasi manifestazione sportiva che li veda coinvolti. Non sarebbe ora di ESCLUDERE dalle manifestazioni sportive gli stati che non accettano, per motivi politici o ideologici, di gareggiare con un qualsiasi stato membro delle federazioni internazionali?

lunedì 3 giugno 2013

SPIGOLATURE

Qualcuno si ricorda di Pietro Guerrieri? Era una delle “bestie di Satana” complice di un paio di omicidi (se ricordo bene). E' stato condannato a 12 ANNI di carcere, ne ha fatti SETTE, ora è in semi libertà, o affidato ad una comunità. SETTE ANNI: gli stessi richiesti dal PM al processo a carico di Emilio Fede ed altri per “favoreggiamento della prostituzione”. Insomma, scavare una fossa in cui occultare dei cadaveri di ragazzi morti ammazzati è grave quanto organizzare delle cene con ragazze belle e, FORSE, un po' sportive. Dal canto suo il cavaliere, solo negli ultimi tre processi, ha cumulato, fra richieste dei PM e sentenze di primo o secondo grado, qualcosa come 11 ANNI di reclusione. Quindi, avere, EVENTUALMENTE, fatto sesso con Ruby (e i trans di Marrazzo?), avere, EVENTUALMENTE, evaso il fisco per 4 milioni (e i 30 di Maradona?), essere proprietari di un giornale in cui viene pubblicato il testo di UNA intercettazione (e le centinaia pubblicate da “la repubblica?) è grave quanto essere complici in un duplice omicidio. Molto, molto interessante.

Si parla di riforme istituzionali ed emergono puntualmente i difensori della costituzione più bella del mondo. Sono tutti schierati contro il presidenzialismo. E' loro diritto esserlo, figuriamoci. Però, è interessante il motivo di tanta opposizione. La elezione diretta del capo dello stato va rifiutata perché.... perché potrebbe essere eletto Silvio Berlusconi. Favoloso! Ragionando in questo modo andrebbero abolite le elezioni! O si dovrebbero organizzare elezioni in cui gli unici concorrenti siano Vendola e Rosy Bindi, Bersani e Laura Puppato! Questa si che sarebbe una bella democrazia!

Mentre nella Europa politicamente corretta si parla per 24 ore al giorno di dialogo, e si vuole ad ogni costo la Turchia nell'unione, in Turchia sono sempre di più coloro che si oppongono alla reislamizzazione del paese. Se qualcuno manifestasse a Parigi o a Roma contro la islamizzazione di Francia ed Italia sarebbe subito definito “razzista”, e rischierebbe denunce per "oltraggio alla religione islamica". Per fortuna che ci sono i turchi!