lunedì 28 dicembre 2020

SUL VACCINO

Lo dico subito: mi farò vaccinare, sono favorevole al vaccino e sono convinto che questo vada somministrato su base rigorosamente volontaria. Nelle righe che che seguono cercherò di argomentare pacatamente questa mia posizione prendendo in esame le obiezioni che è possibile avanzare.

Avallare la politica di Conte?

Qualcuno forse pensa che essere favorevoli al vaccino voglia dire avallare la politica di Conte e del suo governo di cialtroni. Sono in totale dissenso.
In primo luogo si è favorevoli o contrari a qualcosa indipendentemente dal fatto che altri siano contrari o favorevoli alla stessa cosa. L'argomento “ad personam” è logicamente insostenibile. Di certo non sosterrò che due + due fa cinque solo perché Conte (forse) sostiene che fa 4.
In secondo luogo, NON è vero che Conte ed i sui compari abbiano puntato molto sul vaccino. Ad aver spinto al massimo per vaccino è stato il presidente Trump, accusato dai media di regime di essere un “negazionista”. I paesi che per primi sono arrivati al vaccino sono stati gli USA di Trump e la Gran Bretagna di un altro “negazionista”: Boris Johnson. Mentre Conte trasformava il vaccino in nuova fiaccola olimpica, facendolo trasportate dal Belgio sino a Roma su un camioncino scortato da auto della polizia, negli USA, Gran Bretagna ed Israele venivano vaccinate centinaia di migliaia di persone. Da un lato becera propaganda, dall'altro lavoro serio.

Si è arrivati troppo alla svelta al vaccino.

Veniamo agli argomenti seri. In effetti il vaccino è stato raggiunto in tempi molto brevi. Ma la fretta era imposta da una situazione che stava diventando, e diventa, ogni giorno più insostenibile. Si può negare questo solo sostenendo che la pandemia non esiste. Una tesi difficilmente sostenibile, a mio modesto parere. Certo, c'è chi ha sfruttato e sfrutta la pandemia per propri scopi, la Cina soprattutto; ma denunciare chi sfrutta la pandemia non equivale a dire che questa sia una invenzione o un trucco. Negli USA la pandemia ha reso possibile la truffa del voto postale ma questo non vuol dire che il Covid 19 sia una invenzione di Joe Biden...

La fretta rende insicuro il vaccino.

Può essere, ma sinceramente non lo credo troppo. Esistono leggi, controlli, protocolli. E prima ancora esiste il mercato con le sue leggi non scritte. Se il vaccino dovesse nuocere in maniera grave alla salute di chi se lo fa iniettare le conseguenze sarebbero devastanti per le cause farmaceutiche che lo hanno commercializzato, oltre che per i governi che lo hanno autorizzato. L'idea che chi vende qualcosa lo faccia fregandosene delle sue possibili conseguenze dannose è tipica di chi considera il mercato una sorta di arena in cui vari soggetti fanno a gara nell'imbrogliarsi a vicenda. Si tratta di una idea molto ingenua, non solo perché esistono le leggi, ma anche perché chi imbroglia di solito è espulso dal mercato. Esistono, a mio parere, buoni motivi per credere a chi afferma che il vaccino è stato testato in maniera rigorosa.

Non conosciamo gli effetti a lunga scadenza.

Questa affermazione può essere interpretata in due modi: in maniera “forte” o in maniera “debole”.
Interpretata in maniera debole la affermazione si rifà a quanto detto nei punti precedenti sulla rapidità con cui si è arrivati al vaccino. Il fatto che si arrivi rapidamente alla scoperta di un farmaco non vuol dire che il farmaco non possa essere sicuro. Si possono fare controlli rigorosi anche in tempi stretti.
Interpretata in maniera forte la affermazione è non solo vera, ma inconfutabile. E' però priva di conseguenze pratiche.
In realtà noi non non conosciamo le conseguenze a lunga scadenza di
nulla. Logicamente è indimostrabile che il mondo sia retto da alcune fondamentali regolarità. Lo ha argomentato a suo tempo in maniera perfetta David Hume: nulla ci assicura che il domani sia simile all'oggi. La regolarità del mondo è il presupposto di ogni pensiero, discorso ed azione, ma è un presupposto indimostrabile: è un dato della ragione e, prima ancora, della vita e dell'agire umani. Si cerchi di dimostrarlo e ci si avvita in inestricabili circoli viziosi, si provi a farne a meno e tutto diventa impossibile. Logicamente nulla ci assicura, diceva Hume, che se una madre getta suo figlio dalla finestra questo precipiti al suolo invece di rimanere sospeso a mezz'aria. Però, aggiungeva il filosofo scozzese, le madri non gettano i figli dalla finestra. E fanno bene...

Le case farmaceutiche mirano al profitto...

Certo, le case farmaceutiche mirano al profitto, come mirano al profitto le fabbriche di mobili, le case editrici, le imprese di pulizie, banche, assicurazioni ed imprese automobilistiche, aeronautiche o agro alimentari. E allora?
Non c'è niente di male nel profitto. E' perfettamente normale che chi intraprende una attività economica lo faccia in vista di un'utile. Può pensare il contrario solo chi detesta l'economia di mercato. Tipico a questo proposito l'atteggiamento di Bergoglio che sembra avere un'unica preoccupazione: che il vaccino venga gestito in un'ottica “di mercato”. Il vaccino sarà commercializzato a prezzi ridotti, questo è certo, ma le case farmaceutiche ne trarranno comunque un profitto, diretto o indiretto. Questo può scandalizzare solo chi ama i totalitarismi più o meno teocratici e detesta le società libere e pluraliste, quelle all'avanguardia nella ricerca medica.

Sappiamo poco del vaccino

E' vero, sappiamo poco del vaccino, come sappiamo poco o nulla di moltissime cose che ci circondano ed usiamo tutti i giorni.
In una società basata sulla divisione del lavoro ognuno di noi ha a che fare con cose di ogni tipo di cui sa solo che possono essergli utili in determinate circostanze della vita. Questo vale per i medicinali come per i cibi, per gli elettrodomestici come per i mezzi di trasposto. Uno dei presupposti affinché una società pluralista ad economia di mercato possa funzionare è la diffusione della fiducia, oltre, ovviamente, alla presenza di leggi che tutelino la sicurezza di ognuno. Non sono obbligato a conoscere il funzionamento di un aereo se decido di fare un viaggio, né la formula chimica di un formaggio quando lo mangio. Anche se i burocrati della UE hanno diffuso l'ideologia della “informativa” non perdo ore cercando di capire le formule chimiche che fanno bella mostra di se sulle etichette di alcuni farmaci o generi alimentari. Preferisco fidarmi di medici e farmacisti, piloti d'aereo e lavoratori dei caseifici. Questo non mi impedisce, a volte, di informarmi su alcuni prodotti che acquisto, mi evita però di diventare un maniaco e mi rende più facile la vita.

Volontario o obbligatorio?

Sono contrario ad ogni forma, più o meno velata o mascherata di obbligatorietà del vaccino.
Imporre un vaccino a persone adulte vuol dire di fatto sottoporle ad un trattamento sanitario obbligatorio e questo lede in maniera gravissima una fondamentale libertà personale sancita e dalla costituzione. Un trattamento sanitario obbligatorio può essere deciso solo da un giudice
caso per caso e riguardare singole persone, non interi gruppi o, peggio ancora, l'intera popolazione di un paese. La obbligatorietà del vaccino sarebbe incostituzionale e tanto dovrebbe bastare per escluderla dalle opzioni possibili.
Del resto, se Tizio è vaccinato ha poco o nulla da temere da Caio che vaccinato non è; perché allora obbligare Caio a vaccinarsi? Si potrebbe obiettare che Caio, non vaccinato, potrebbe infettarsi, poi venire a contatto ed infettare a sua volta persone che, pur volendolo, non hanno potuto per i più svariati motivi, sottoporsi a vaccino. E nessuno ha libertà di infettare altri. Il discorso sembra sensato, ma non lo è.
Quali e quante possibilità ci sono che un caso simile si verifichi? Caio dovrebbe infettarsi, poi venire a contatto con persone che volevano vaccinarsi ma non lo hanno potuto fare ed infettare a sua volta queste. A loro volta queste dovrebbero subire danni gravi dall'infezione, finire in terapia intensiva o addirittura morire. Teniamo conto che il tasso di mortalità del covid è inferiore all'uno per mille; la mancata vaccinazione di alcuni a
Quante persone farebbe davvero correre un rischio grave?
Dietro al discorso sulla possibilità che i non vaccinati infettino altri sta la pretesa assurda del “
rischio zero”.Tutti devono vaccinarsi perché non deve esistere possibilità alcuna che qualcuno possa infettare qualcun altro. Ma, ragionando in questo modo, io dovrei sottopormi a continui esami medici perché mentre guido la mia auto potrei avere un malore, investire ed uccidere qualche passante. Si potrebbero fare molti esempi simili. Se messa in atto l'ideologia del rischio zero renderebbe impossibile la vita degli esseri umani e aumenterebbe in maniera esponenziale proprio i rischi. Detto per inciso, l'ideologia del rischio zero dà ragione proprio a chi rifiuta i vaccini perché spaventato dai loro possibili rischi... un cane che si morde la coda.
Infine chi sostiene l'obbligatorietà del vaccino potrebbe difenderla con l'argomento della “immunità di gregge”. Solo se in moltissimi si vaccinano è possibile raggiungere tale immunità, si sostiene. Argomento ragionevole, certo... ma... ma se un popolo non vuole essere immune lo si può obbligare ad esserlo? Non credo proprio. Se a livello di massa la salute non è sentita come un valore nessuna forza al mondo può può imporla a milioni di persone.
Del resto, siamo tanto sicuri che la salute non sia considerata un valore dalla stragrande maggioranza della popolazione? Io sono convinto del contrario. Se invece di fare terrorismo sulla obbligatorietà od organizzare ignobili sceneggiate propagandistiche le autorità facessero un lavoro serio di diffusione della cultura scientifica molti problemi sarebbero risolti.
Ma è possibile pensare che i seguaci della piccola Greta possano favorire una rigorosa divulgazione scientifica? Ad essere anni luce lontani dalla scienza autentica sono proprio loro...

E tanto può bastare.

 

martedì 22 dicembre 2020

IL PAESE AFFONDA E I NANI LITIGANO

 

A volte mi chiedo: come abbiamo fatto a cadere tanto in basso?
Ci rendiamo conto che mentre il paese attraversa una crisi gravissima il governo discute sulla “cabina di regia”?
I fondi che uno stato ha a disposizione vengono gestiti dal governo e dai ministri interessati, sotto il controllo del parlamento.
A Conte questo non basta. Lui vuole le cabine di regia, i comitati di esperti, lui convoca gli stati generali, spende milioni su milioni in stipendi a schiere infinite di consiglieri. Lo ha fatto per gestire l'emergenza sanitaria, coi bei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Lo fa per cercare di gestire l'emergenza economica ed utilizzare i fondi europei.
E intorno al leader infuriano le polemiche. No, non polemiche su scelte politiche. Risse furibonde sulle poltrone, col governo che sembra sempre sul punto di cadere ed invece non cade mai, perché tutti coloro che lo sostengono sanno che dare la parola al popolo sarebbe per loro mortale. Chissà, forse accetterebbero elezioni anticipate solo se in Italia fosse introdotto il voto per posta...
Ma, per fortuna, da noi questo non esiste. Ed allora i nani politici che sostengono il governo dei cialtroni litigano, si scannano, ma alla fine trovano un accordo, che vale per quindici giorni, un mese al massimo. Poi ricominciano.
Ed intanto il paese vive in una situazione di totale illegalità, con la costituzione di fatto sospesa.
Ed affonda.

venerdì 18 dicembre 2020

ETEROGENESI DEI FINI

 

Penso sia quasi impossibile per una persona normale seguire la rete intricatissima, super particolareggiata di norme e contro norme, deroghe e contro deroghe partorite da Conte e dai suoi sodali per le festività natalizie.
Il governo dei buoni a nulla capaci di tutto cerca di realizzare l'incubo di Orwell: controllare sin nei minimi dettagli TUTTA la vita dei cittadini. Si potranno ricevere due persone ma solo una volta al giorno. Le persone ricevute possono portare con se i figli, ma solo se inferiori di 14 anni (infatti si può contagiare qualcuno solo dai 15 anni in su...). Il grande timoniere poi ammonisce: anche all'interno della case è bene che si mangi in tavole separate. Come tutti sanno le case degli italiani sono una sorta di ristoranti. Comunque, niente paura, si tratta di un paterno consiglio, non di un obbligo. Per ora la polizia non può fare irruzione nelle case degli italiani per controllare in quanti sono a tavola. E neppure ci sono degli apparecchi televisivi che ci controllano dentro le nostre abitazioni. Forse saranno introdotti col prossimo DPCM...
Queste misure, mortali per l'economia, liberticide ed incostituzionali, non solo non servono a nulla contro l'epidemia, sono addirittura controproducenti dal punto di vista sanitario.
Un sacco di gente si sta mettendo in viaggio per raggiungere le seconde case, o ricongiungersi a genitori e parenti prima che le misure del governo dei cialtroni diventino operative. Il solo risultato della follia di Conte e dei suoi compari è proprio il formarsi di enormi assembramenti che favoriscono lo sviluppo dell'epidemia.
Si chiama eterogenesi dei fini. Molte azioni umane hanno conseguenze non previste, diverse e spesso opposte a quelle che si intendeva raggiungere. Questo capita quasi sempre quando si cerca di imporre a enormi quantità di persone una regolamentazione minuziosa della loro esistenza. E' un fenomeno studiato con attenzione da filosofi, psicologi ed economisti, da Mandeville a Von Hayek. Ne parla anche Solgenycin in “arcipelago gulag”, quando evidenzia come la minuziosissima programmazione del lavoro forzato non otteneva nessuno dei mirabolanti fini economici proclamati; si traduceva invece in la pigrizia, corruzione, spreco di enormi risorse.
Ma pretendere che Conte, Di Maio o Boccia abbiano letto Hayek, Mandeville o Solgenycin è davvero una esagerazione...
Il guaio è che questa banda di cialtroni semi analfabeti sta distruggendo l'economia, facendo a pezzi la costituzione senza garantire in alcun modo la nostra salute.
Vanno fermati, il più presto possibile.

domenica 13 dicembre 2020

ELEZIONI AMERICANE, UN BREVE RIASSUNTO IN FORMA DI REPLICA

 

Con tutta probabilità Joe Biden sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. Ma è certo che lo diventerà al termine di una vicenda da cui la democrazia americana esce gravemente, molto gravemente, compromessa.
Alcuni sostengono che tutto è stato regolare e che la bufera che sta attraversando gli USA è dovuta solo alle bizze di Trump. A sostegno di questa tesi ricordano che tutti i ricorsi del presidente sono stati respinti, anche dalla Corte Suprema. Non si può parlare degli USA come se si trattasse del Venezuela o della Bielorussia aggiungono.
Si tratta di un argomento forte cui val la pena di replicare. Cercherò di farlo per punti.

1) Tutti i ricorsi del presidente sono stati respinti per motivi procedurali. Lo staff legale di Trump afferma di essere in possesso di numerosissime prove di brogli: testimonianze giurate, filmati, perizie di tecnici informatici, ma non un solo testimone è stato ascoltato, non una sola perizia esaminata, non un solo filmato visionato. Sono stati effettuati dei riconteggi di voti, ma i riconteggi non dicono nulla se il problema sono schede irregolari, ad esempio con timbri postali falsificati, che NON dovevano essere né conteggiate né riconteggiate.
2) La preoccupazione principale di chi ha respinto gli appelli è stata quella di perdere tempo per evitare che le cause per brogli arrivassero alla Corte Suprema in tempo utile. Per questo il Texas ha fatto, in quanto stato, appello alla suprema corte denunciando non i brogli ma la presunta incostituzionalità in cui sarebbero incorsi Pennsylvania, Wisconsin, Michigan e Georgia modificando le proprie procedure elettorali. In questo modo si sono saltati i gradi intermedi e si è potuti finalmente arrivare alla Corte Suprema. Al Texas si sono uniti altri 18 stati, in totale 19 stati sui 50 dell'unione, mica uno scherzo...
3) La Corte Suprema NON ha respinto il ricorso del Texas, semplicemente si è rifiutata di esaminarlo perché ritiene che il Texas e gli altri 18 stati non possano considerarsi “parti lese”. La Corte NON ha detto che “tutto è stato regolare”, del resto non erano i brogli la causa del ricorso, e neppure che non vi sono state violazioni della costituzione. Semplicemente ha stabilito che non era il Texas e dover denunciare simili violazioni.
4) Quello che è avvenuto il 3 novembre e dopo tale data è grave, ma altrettanto grave ciò che è avvenuto prima. Trump è stato sottoposto ad una censura degna di Goebbels. Il presidente degli Stati Uniti, l'uomo da cui dipendono le sorti del mondo, è stato censurato da FB e da Twitter, le grandi reti televisive hanno cercato di ridurlo al silenzio. La casa farmaceutica Pfizer ha atteso il dopo voto per annunciare al mondo che gli USA avevano sperimentato il vaccino anti covid (fino al 3 novembre quando il “negazionista” Trump parlava di vaccino tutti i media lo deridevano). TV e media hanno addirittura censurato la notizia delle indagini cui era sottoposto il figlio di Biden per riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla Cina. Insomma, uno schifo indegno di una democrazia.
5) Sono risibili le lamentele di chi si dice “amico degli USA” e per questo condanna le “bizze” del presidente uscente. Protestare sulla regolarità del voto dà al mondo una brutta immagine della democrazia americana, sostengono. Ma qui non si tratta di immagine. Una grande democrazia deve sempre dimostrare di essere tale, se dimostra di non esserlo è giusto che venga duramente criticata per questo. Non si difende la democrazia ignorando gli sfregi che questa deve subire. In questo modo la si ferisce, forse mortalmente.

E ora? Cosa succederà? Molto probabilmente (ma non sicuramente) Biden sarà presidente. Chi ama la democrazia americana non può che sostenere tutti coloro che, in una situazione oggettivamente molto difficile, cercheranno di sanare le ferite che questa ha dovuto subire. Ma sanare e ferite NON vuol dire affermare che “tutto è regolare, tutto va bene”. Al contrario, vuol dire denunciare che la democrazia americana è gravemente ammalata e fare delle regolarità delle future votazioni uno dei punti centrali della propria iniziativa politica. Se Trump, cosa probabile, vorrà continuare a far politica farà bene a fondare una nuova rete televisiva e/o un nuovo grande social. Senza l'asservimento di TV e social la truffa del voto postale non avrebbe avuto le dimensioni che pare abbia avuto. Rompere la rete della censura è fondamentale per il non ripetersi di di simili situazioni.
Non ci resta che attendere...

giovedì 5 novembre 2020

VOTO PER POSTA: UNA TRUFFA IN QUANTO TALE

Qualcuno paragona il voto postale al voto, ad esempio, degli italiani all'estero, o a quello dei militari impegnati in missione e lontani dal loro paese. NON è così. In questi casi il voto è in presenza. Si vota nelle cabine elettorali, o si passa per consolati ed ambasciate. Chi vota è identificato, poi la sua scheda, inseme alle altre viene inviata ai seggi di competenza.
Col voto postale la dinamica è diversa. Arriva a casa di Tizio la scheda elettorale. Lui la prende, vota, dopo di che rispedisce la scheda, o addirittura passa a casa sua una sorta di “scrutatore itinerante” a cui a scheda viene riconsegnata.
Qui il votante NON viene identificato. La scheda consegnata a Tizio può essere votata da da lui ma anche da suo figlio, o sua moglie, o un suo conoscente.
Nelle votazioni normali la scheda è anonima e il votante è identificato, nel voto per posta avviene il contrario: il votante NON viene identificato, in compenso la scheda NON è anonima perché accompagnata da firma o fotocopia di un documento.
Il voto per posta favorisce i brogli elettorali, non a caso arrivano in queste ore dagli Stati Uniti innumerevoli notizie di brogli, ma non solo di questo si tratta. Il voto per posta è IN QUANTO TALE una truffa, un palese capovolgimento dei principi su cui dovrebbe basarsi ogni libera elezione: identificazione del votante e segretezza del suo voto.
Certo, in tutto questo Biden non c'entra: si tratta del sistema di voto americano, delle regole. Mi spiace dirlo ma si tratta di regole pessime, indegne di una grande democrazia. Del resto, si è mai vista una consultazione elettorale in cui si continuano a conteggiare i voti oltre tre giorni dopo la chiusura dei seggi? Non si tratta di contestazioni o cause legali, NO, si tratta di conteggio dei voti che dura ormai da tre giorni e continuerà a durare. All'alba del 4 novembre Trump era vincitore, poi sono arrivate vagonate di voti favorevoli a Biden e il conteggio è continuato, e continua. Una cosa mai vista. Cosa diremmo se qualcosa di simile avvenisse in Italia?
Le regole vanno rispettate si può dire. Certo, vanno rispettate, ma regole pessime restano. Perché solo ora ci si accorge che si tratta di pessime regole? Potrebbe chiedere qualcuno. Semplice, perché solo in queste elezioni simili pessime regole hanno condizionato, meglio, stravolto, la regolarità del voto. Perché solo in questa occasione i voti per posta sono stati decine di milioni, solo stavolta un partito ha fatto quasi esclusivo affidamento su quelli per prevalere. Solo stavolta sul voto postale si è innestata una incredibile quantità di brogli.
Non so come andrà a finire. Trump fa benissimo a non mollare. Penso si arriverà alla corte suprema. Vedremo. In ogni coso l'America esce a pezzi da queste elezioni. Chi odia Trump sperava che le elezioni del 2020 segnassero la fine del trumpismo. Comunque vadano le cose questa non c'è stata. L'onda blu che doveva travolgere il “tycoon” non è arrivata. C'è stato invece un voto che di regolare ha poco o nulla e che, quale che sia il suo esito finale, indebolisce moltissimo il prestigio e la credibilità del paese guida dell'occidente.
Una autentica catastrofe.

 

giovedì 15 ottobre 2020

JAN KERSHAW: "HITLER"

Hitler - Ian Kershaw - copertina


Ho finito di leggerlo ieri: “Hitler” di Jan Kershaw, Bompiani 2019.
Una biografia monumentale del tiranno nazista. Seria, approfondita, documentatissima. E di piacevole lettura. Le 1586 pagine dell'ultima fatica dello storico britannico si leggono quasi d'un fiato.
Kershaw, autore di altre due opere di grande importanza : “Hitler e l'enigma del consenso” e “La fine del terzo Reich”, è uno dei più grandi storici del nazismo e del terzo Reich e lo dimostra alla grande in questa biografia.
In “Hitler” Kershaw riprende uno dei concetti interpretativi usati in “Hitler e l'enigma del consenso”: quello di “lavorare incontro al fuhrer”. Il potere di Hitler non si basava solo sulla repressione. Il tiranno nazista godeva di un vasto consenso popolare che solo nella seconda metà della guerra iniziò a declinare, senza mai scemare del tutto, tranne che negli ultimi due - tre mesi. Tale consenso si esprimeva in una miriade di comportamenti che non erano diretta conseguenza di comandi ma miravano tutti a realizzare ciò che il fuhrer voleva. Il nazista fanatico che denunciava il vicino di casa perché lo riteneva un oppositore, il non fanatico che si arricchiva entrando in possesso di beni confiscati agli ebrei, il professore universitario che definiva, senza crederci troppo, “salvatore della Germania” il fuhrer lavoravano tutti “incontro al fuhrer”. Ognuno, cercava di fare ciò che si riteneva, a ragion veduta, che al fuhrer piacesse e tutto questo cementava il consenso intorno alla sua figura mitica, semidivina.
Nella Germania nazista si combinavano, ricorda Kershaw, il potere totale, assoluto del fuhrer ed una lotta senza esclusione di colpi fra i vari gerarchi nazisti finalizzata a conquistarne l'approvazione. Massima concentrazione del potere ed insieme massimo disordine, con relativa inefficienza. Dovrebbe far pensare chi ritiene che le dittature siano si brutte, ma facciano, tutto sommato, le cose per bene.
Il discorso sarebbe lungo da sviluppare e non è qui il caso neppure di tentarlo. Anche perché “Hitler” di Kershaw non è e non vuole essere una storia del terzo Reich. Si tratta di una biografia che a volte lascia un po' in sordina le analisi sociologiche e politiche. Uno dei pochi limiti di quest'opera è infatti, a mio modesto parere, lo spazio insufficiente che dedica alle varie forze non ed anti naziste, alle loro politiche, alle lotte sociali che caratterizzarono la repubblica di Weimar. Ma... si tratta davvero di un difetto in quella che è la biografia di un tiranno, non una storia recente della Germania?

Come biografia l'opera di Kershaw dedica ampio spazio all'uomo Hitler. Ne esce il quadro desolante di un uomo affetto da un egotismo mostruoso, sostanzialmente incapace di empatia, ipocondriaco, malato di antisemitismo paranoico, tutto concentrato su se stesso e su quella che riteneva essere la sua missione salvifica.
In gioventù Hitler amò a modo suo la madre, per il resto non amò nessuno. Né ebbe amici autentici, forse con la sola, parziale eccezione di Speer. Ebbe, pare, una relazione morbosa con la giovanissima nipote, morta suicida, considerò Eva Braun poco più di un gingillo da esibire in determinate occasioni. Manifestò un certo affetto per Blondi, la sua femmina di cane lupo, affetto che tuttavia non gli impedì di testare sulla povera bestia le pillole di cianuro che dovevano servire al suo suicidio. E tanto basta. Gli altri esseri umani erano solo mezzi che usava per raggiungere il suo scopo assoluto: il dominio razziale della Germania “ariana”. Hitler non visitò mai un ospedale militare, non si recò nelle città tedesche devastate dai bombardamenti; quando le vicende belliche iniziarono ad andare male cessò quasi di parlare al suo popolo. Il demagogo irresistibile di un tempo visse quasi da recluso gli ultimi due anni della sua vita. L'uomo Hitler è inseparabile dal fanatismo nazista, come pochissimi altri egli si identifica totalmente con una ideologia malata.

E' impossibile cercare di riassumere anche solo le parti più rilevanti dell'opera di Kershaw. Il gioco di azzardo di Hitler con le democrazie occidentali e la inettitudine di queste a contrastarlo, i rapporti tempestosi con gli alti comandi dell'esercito, il titanico scontro militare con l'URSS staliniana, inizialmente di fatto sua alleata, l'orrendo genocidio degli ebrei... tutti argomenti che Kershaw tratta con rigore e profondità senza tuttavia mai appesantire più di tanto il testo.
Particolare impressione fanno la descrizione del periodo trascorso a Vienna dal giovane Hitler e quella dei suoi ultimi giorni, chiuso come una belva in gabbia nel bunker della cancelleria.
E' impossibile leggere dei vagabondaggi senza meta di un giovane fallito, un buono a nulla sedicente artista senza chiedersi come è stato mai possibile che un simile personaggio sia diventato il padrone assoluto di uno degli stati più civili del mondo. Certo, bisogna valutare il momento: la sconfitta del 1918 e l'umiliazione sofferta dalla Germania, la crisi economica, l'iper inflazione prima e la disoccupazione di massa poi, il timore non ingiustificato di una rivoluzione bolscevica, una tradizione culturale in cui l'antisemitismo era largamente presente, ma tutto questo non basta. Il punto fondamentale è che un uomo a tutti gli effetti mediocre riuscì ad unificare in se le reazioni a tutto questo. Su questo punto Kershaw è molto chiaro. Senza Hitler la Germania sarebbe probabilmente andata incontro ad una qualche forma di autoritarismo, forse anche dittatura, di destra, ma non a quel tipo di dittatura, non alla tirannide totalitaria e fanaticamente razzista che Hitler edificò.

Quanto agli ultimi giorni del tiranno, la narrazione di Kershaw è davvero avvincente. Leggendo le sue pagine si respira quasi l'atmosfera isterica del bunker della cancelleria. Le sfuriate di Hitler, le ultime fucilazioni ai danni di presunti “traditori”, gli ordini concitati ad armate che ormai non esistevano più. E particolare interesse desta l'evoluzione del pensiero di Hitler nell'ultima fase della sua vita. “Il popolo tedesco si è dimostrato debole, non era degno di me” diceva spesso il tiranno. I suoi amati tedeschi “ariani” lo avevano “deluso”. Non a caso Hitler, ormai rinchiuso nel suo bunker-tomba emanò la famosa “direttiva Nerone”: tutto ciò che restava della struttura industriale tedesca andava distrutto. Il popolo tedesco doveva seguire il fuhrer nella rovina totale. Giusto castigo per chi non si era dimostrato all'altezza di una “grande” idea. La stessa persona che aveva idolatrato il tedesco “ariano” lo giudicava alla fine indegno di lui. Potenza malefica della ideologia! Prima affida ad un popolo, una nazione, una classe sociale un fine assoluto, poi, quando questo si rivela una chimera se la prende con classi, nazioni, popoli reali. Hitler schiumante rabbia nel bunker della cancelleria ricorda, fatte le debite proporzioni, certi intellettuali radical - schik che si dicono e si dicevano “delusi dalla classe operaia” per il semplice motivo che gli operai veri pensano più al salario ed alle condizioni di lavoro che alla mitica società perfetta.

Non è il caso di dilungarsi troppo. Fra tanti libri inutili che ingombrano gli scaffali delle librerie questo “Hitler” di Jan Kershaw costituisce una gran bella eccezione. Consiglio a tutti di leggerlo. Ne vale davvero la pena.

domenica 20 settembre 2020

ROSSANA ROSSANDA, COMUNISTA NON LIBERTARIA

 È morta Rossana Rossanda, fondatrice del Manifesto, giornalista e  intellettuale - la Repubblica


E' morta, alla bella età di 96 anni, Rossana Rossanda, fondatrice, assieme a Lucio Magri e Luigi Pintor del “Manifesto”.
Espulsa dal PCI quando la dissidenza sua e di altri a lei vicini assunse carattere pubblico, fu definita da molti una “comunista critica”. Quasi “libertaria” per alcuni.
In effetti era una persona capace di pensare, cosa assai rara ai nostri giorni. Ma esser capaci di pensare non sempre vuol dire saper pensare BENE. Né dissentire dalla linea ufficiale del PCI equivale ad essere “libertari”, meno che mai democratici o, Dio mai non voglia, liberali.
Le “tesi del manifesto” che lei contribuì a formulare erano un minestrone indigeribile di utopismo totalitario che con la democrazia nulla ha in comune.
Punto centrale di quelle tesi era la “maturità del comunismo”. Oggi, per la prima volta nella storia, il comunismo, inteso come superamento del calcolo economico, delle classi e dei contrasti di classe, quindi della politica e della mediazione politica, della democrazia pluralista e dello stato è diventato insieme necessario è possibile. Questa la grande scoperta teorica degli intellettuali del Manifesto e fra questi, in prima posizione, di Rossana Rossanda.
Manca però un tassello per realizzare, da subito, questa utopia, o, per meglio dire, questa utopia distopica: gli esseri umani non sono ancora pronti per gustarne la bellezza. Quindi vanno cambiati, radicalmente. Ha tentato di farlo Mao tze Tung con la grande rivoluzione culturale proletaria. E Rossanda era letteralmente innamorata di Mao, lo è stata sino all'ultimo, quando le cifre mostruose della tirannide maoista non lasciavano spiragli per nessun tipo di giustificazionismo.
Mao mandò gli studenti a lavorare i campi e mise alla gogna gli intellettuali, le sue guardie rosse bruciarono libri in quantità tale da far invidia ai nazisti, vandalizzarono siti archeologici, distrussero tutto ciò che non era conforme alla linea del celeste presidente. Nel periodo culminante della “rivoluzione culturale” in Cina si potevano leggere solo opere di Mao Tze Tung, SOLO QUELLE, in tutti i campi dello scibile umano.
Per Rossanda e gli intellettuali del “Manifesto” questa barbarie era un grandioso tentativo di costruire l'uomo nuovo, capace di meritare la “bellezza infinita” del comunismo.
Per questi intellettuali Stalin andava criticato non per i gulag, i processi farsa, la fame e le carestie che la sua politica provocò nelle campagne, con tanto di sorgere del cannibalismo (fenomeno che si verificò anche nella Cina del “gran balzo in avanti"). No, Stalin andava criticato perché aveva diviso in due tappe la marcia verso il comunismo: la prima, in cui si dovevano sviluppare le forze produttive, la seconda in cui si sarebbero instaurati nuovi ed armoniosi rapporti fra gli esseri umani. NO, le due tappe andavano unificate, come aveva fatto Mao con la “grande rivoluzione culturale proletaria”. La barbarie spacciata per “via nuova” verso la “liberazione”.
La barbarie dal volto umano: questo il parto teorico principale di Rossana Rossanda e del “Manifesto”. Poi, passata la fase alta del “movimento del 68", lei ed i sui compagni smisero di far parlare di se. Qualcuno si riavvicinò alla sinistra ufficiale, altri comparvero in qualche TG ed in molti talk show. Ed iniziarono a difendere la UE e a sparare a zero contro la “retrograda” destra italiana. Nessuno spese un minuto per analizzare e sottoporre a critica le sue posizioni di un tempo. Come le camicie le idee si cambiano senza dir nulla. Anzi, si nega infastiditi di averle mai cambiate.
Probabilmente Rossanda non cambiò nulla delle sue posizioni teoriche. Pare che il suo amore per Mao sia sempre rimasto vivo. E' stata coerente, forse, della lucida coerenza dei fanatici.
Riposi in pace.

venerdì 10 luglio 2020

IERI MOSTRI, OGGI "MODERATI"

Invecchiando si diventa più saggi e, da saggi, si possono superare le vecchie rivalità. Berlusconi non è più un rivale con cui ogni collaborazione è impossibile, i vecchi tabù vanno superati. Oggi si può collaborare con il cavaliere, parola di Romano Prodi!
Parole sagge, solo... solo che Berlusconi non è MAI stato solo un “rivale politico”.
Per oltre venti anni a Berlusconi non sono quasi mai state fatte critiche esclusivamente politiche. Non si criticava Berlusconi perché faceva cose sbagliate, le cose erano sbagliare perché erano fatte da LUI!
Berlusconi non era un rivale, era un criminale. E se qualcuno parlava di lui in termini politici era solo per paragonarlo ad Hitler e per invocare la formazione, contro di lui, come fece il moderato Franceschini, la formazione di un “fronte di liberazione nazionale”.
Quanto al resto, Berluscni era non solo un corruttore, un corrotto ed un grande evasore fiscale, queste tutto sommato erano le accuse meno gravi che gli si muovevano. Berlusconi era un mafioso, il complice se non l'ispiratore diretto di autentiche stragi, un puttaniere pedofilo... chi più ne ha più ne metta. A parte, forse, l'abigeato non c'è reato di cui Berlusconi non sia stato accusato. Berlusconi ha subito decine di processi, almeno una quarantina in venti anni, due all'anno di media. A suo carico sono state aperte centinaia di inchieste, ha subito migliaia di intercettazioni. E' stato l'oggetto privilegiato di tutti i giullari di regime, su di lui sono state scritte decine di libri diffamatori. Personaggi come Marco Travaglio hanno costruito su Berluconi la propria carriera giornalistica.
Nemico del popolo, criminale, stragista, pedofilo, novello Hitler, questo è stato per almeno 25 anni Silvio Berlusconi, tutto meno che un “rivale politico”!
Ora, i casi sono due. O le accuse di cui Berlusconi è stato fatto oggetto per circa 25 anni avevano anche solo un minimo di fondamento, ed allora presentarlo come un semplice “rivale” con cui si può oggi anche collaborare è semplicemente assurdo, oppure queste accuse erano semplici armi per far fuori un nemico politico, ed allora chi per un quarto di secolo le ha usate dovrebbe, se avesse un minimo di dignità, abbandonare la politica.

Ma siamo in Italia e quasi nessuno se la sente di abbandonare la politica e le sue prebende. Così Romano Prodi, dimentico di tutto e fatto saggio dagli anni (ma... non è che quando lottava con Berlusconi fosse un adolescente...) apre al nemico di ieri. Si può collaborare, sussurra sorridente.
Perché mai lo fa? Semplice. Da un lato vorrebbe diventare presidente della repubblica, teme che in parlamento non ci sia una maggioranza sul suo nome, quindi cerca di aprire al nemico di sempre. Dall'altro Prodi e tanti altri capiscono benissimo che l'attuale, sgangherato, governicchio guidato da Conte non è assolutamente in grado di gestire i tempi terribili che si stanno avvicinando. Al voto non si può andare, figuriamoci! Votare in Italia è più o meno un tabù: ci sono i “sovranisti”! Così si cercano pezze d'appoggio. Se una parte dei grillini dovesse seguire il duro e puro Di Battista si potrebbe formare un nuovo governo con l'appoggio di Forza Italia. Il "nemico del popolo" diventerebbe il moderato responsabile capace tenere a galla la baracca.

Qualcuno potrebbe dire: smettiamola di pensare al passato. Si, Berlusconi è stato fatto oggetto di una campagna diffamatoria mostruosa, ma il fatto che oggi tutto questo sia superato dimostra che l'Italia sta diventando un paese normale. E di questo ci si può solo rallegrare.
Purtroppo le cose non stanno così. Non è vero che oggi il vezzo di criminalizzare i rivali politici sia stato superato. Lo si è semplicemente trasferito ad altri. Ieri il mostro era Berlusconi, prima di lui lo è stato Craxi, oggi è Salvini, domani potrebbe essere la Meloni. Cambiano i tempi e le situazioni, ma chi viene identificato come il nemico dell'establishment deve subire attacchi che di politico hanno poco o nulla.
Da un certo punto di vista la situazione è oggi addirittura peggiore. Berlusconi è stato accusato di reati penali, contro Salvini questo è assai difficile, se non altro perché il leader leghista non possiede grandi aziende, quindi pur di colpirlo si trasformano in reati degli atti politici! Il cavaliere era accusato di corruzione, Salvini di sequestro di persona solo perché ha ritardato lo sbarco di alcuni migranti. Un atto che fanno i governanti di qualsiasi paese del mondo diventa in Italia un reato per il quale sono previsti fino a 15 anni di reclusione! Sarebbe “normale” un paese in cui avvemgono simili mostruosità?
NO, l'Italia non era un paese normale quando Berluscon era oggetto di attacchi indecenti e non lo è oggi, quando l'oggetto da tali attacchi è cambiato.
Unica nota leggermente (MOLTO leggermente) positiva: questi attacchi non consentono ai gestori dell'establishment di superare la loro crisi. Dopo Craxi hanno avuto Berlusconi, dopo Berlusconi Salvini, se riuscissero a far fuori il leghista si troverebbero fra i piedi un centro destra guidato dalla Meloni...
la realtà ha la testa dura...

lunedì 29 giugno 2020

CAPOLAVORI "RAZZISTI"?



Pietà Vaticana di Michelangelo Buonarroti: analisi
Michelangelo, come nacque «la più bella opera di marmo» (1ª parte ...
 L'ultima cena" di Leonardo Da Vinci: rivelato un dettaglio che è ...



Gesù non chiese mai l'abolizione dello schiavismo.
Quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'impero romano nessuno chiese che lo schiavismo fosse abolito. Tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio, nell'altro mondo. In questo mondo, di fronte a Cesare, ci sono i liberi e gli schiavi.
Tanto dovrebbe bastare perché i prodi militanti del BLM dichiarino “razzista” il cristianesimo. Questi signori non amano le contestualizzazioni storiche, non cercano mai di inquadrare nella loro epoca eventi e personaggi. Se Tizio, vissuto 5 o 10 secoli fa, sosteneva cose che ai nostri giorni appaiono inaccettabili Tizio è un razzista e come tale va trattato, punto. Ragionando (si fa per dire) in questo modo Cristo dovrebbe esser definito “schiavista”, le sue statue distrutte, i quadri che lo raffigurano sfregiati.
Ma i militanti del BLM non arrivano a tanto. I più accoorti di loro hanno probabilmente abbastanza astuzia da capire che un simile atteggiamento sarebbe controproducente. Non dichiarano quindi “razzista” e “schiavista” il cristianesimo, non condannano Cristo, si limitano a chiedere la modifica del suo aspetto fisico. Cristo non era biondo, non aveva gli occhi azzurri. Rappresentarlo in questo modo è un atto di “suprematismo bianco”. Cristo era nero, o almeno aveva la pelle molto scura, occhi e capelli corvini. Sia quindi rappresentato nero o molto, molto scuro. E le statue ed i dipinti che lo rappresentano diversamente siano rimossi o distrutti. Chi non lo fa è un razzista.
Non so quale fosse il colore della pelle, degli occhi e dei capelli di Cristo, ma di certo non era nero. Chiedere che Cristo venga dipinto nero è un po' come chiedere che il Buddah venga raffigurato con fattezze occidentali. Questi però sono dettagli tutto sommato non troppo rilevanti. Le raffigurazioni del Cristo risentono ovviamente della cultura e dell'epoca storica in cui visse chi le ha fatte. A parte che non mi sembra ci siano tantissimi quadri in cui Cristo viene rappresentato con gli occhi azzurri, nel fatto che gli artisti europei amassero rappresentare Cristo con fattezze europee non c'è nulla di “suprematista” o "razzista". E non c'è neppure alcun deliberato tradimento della verità storica. I pittori che dipinsero Cristo non dovevano fornire al popolo un suo identikit, lo dipinsero come loro lo vedevano e da europei lo dipinsero il più delle volte con fattezze europee. Se un pittore dipingesse un Cristo nero qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una rappresentazione storicamente poco attendibile, ma si rispetterebbe il punto di vista del pittore. Nessuno, credo, chiederebbe la distruzione di un simile quadro, chi lo facesse andrebbe giustamente bollato come razzista. Esiste del resto la madonna nera di Czestochowa e nessuno, mi pare, ha mai chiesto che venga distrutta o rimossa.

Moltissime rappresentazioni di Cristo e della Madonna sono opere d'arte di inestimabile valore.
Nelle foto si possono ammirare due particolari della prima pietà di Michelangelo e l'ultima cena di Leonardo.
La pietà è una statua, quindi non dice nulla sul colore di pelle, occhi e capelli di Cristo e della Madonna, ma le fattezze di entrambi sono sicuramente “bianche”. La pietà è quindi un'opera “razzista” e “suprematista”. Venga rimossa, meglio, distrutta! E stessa fine facciano le altre pietà dei Michelangelo e gli affreschi della Sistina; in uno di questi Adamo ed Eva sono indubitabilmente bianchi! Che orrore!
E l'ultima cena di Leonardo? In questa il Cristo non è biondo, appare castano, e non si riconosce il colore dei suoi occhi, ma è bianco, proprio bianco, non appare neppure un po' abbronzato! Si tratta di una offesa intollerabile. Si copra questo mostruoso affresco se propri non lo si vuole distruggere. E stessa fine facciano altre opere del razzista Leonardo: l'annunciazione ad esempio, o la vergine delle rocce.
Anni fa uno squilibrato colpì a colpi di martello il volto della Madonna della prima pietà, che per fortuna venne magnificamente restaurata. Allora tutti urlarono di orrore di fronte ad un simile gesto vandalico. Oggi se qualche militante “antirazzista” facesse una cosa simile molti giustificherebbero il suo gesto. La follia iconoclasta che ci circonda non distrugge solo l'arte. Spappola i cervelli.
I nuovi barbari vanno fermati, ad ogni costo!

lunedì 8 giugno 2020

RAZZISMO


L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi e spazio all'aperto

Un tempo si definiva “razzista” chi era convinto che alcune caratteristiche inessenziali degli esseri umani, come il colore della pelle o la forma degli occhi, determinassero anche le loro caratteristiche intellettuali e morali. Oggi il termine “razzista” ha invece amplificato all'estremo i suoi significati. Un tempo era razzista chi era convinto che i bianchi fossero, in quanto bianchi, superiori ai neri. Oggi viene definito “razzista” chi ritiene che una CULTURA che ha prodotto Platone ed Aristotele, Kant e Newton, Dante, Shakespeare ed una schiera enorme di altri simili giganti sia sullo stesso piano di culture che non hanno prodotto nulla di simile. Tutte le culture sono uguali, se non ci credi sei “razzista”. E sei ugualmente “razzista” se ti dici convinto che lapidare una adultera, decapitare un apostata o impiccare un gay siano cose moralmente spregevoli, anche se largamente accattate in alcune culture.
Non solo, oggi è “razzista” chi è convinto che i confini debbano continuare ad esistere e i flussi migratori controllati. Tutti possono andare dove pare loro, se non sei d'accordo sei “razzista”.
Non solo. Oggi sei “razzista” se non ritieni che ogni violenza che colpisca uomini e donne di colore debba, SEMPRE, essere interpretata come "razziale”. E se tale violenza razziale esiste questa non deve, MAI esser considerata un fatto isolato, che riguarda singole persone o gruppi. NO, deve sempre riguardare la società nel suo complesso. Se uno spacciatore nigeriano fa a pezzi una ragazza bianca si tratta di un caso di criminalità individuale, privo di ogni aggancio sociale. Un poliziotto americano bianco che uccide un uomo di colore è prova che gli USA sono attraversati da una “pandemia di razzismo”.
Non solo. Oggi sei “razzista” se guardi alla storia con occhi, appunto, da storico. Sei “razzista” se rifiuti di condannare moralmente Aristotele per la sua difesa dello schiavismo, se non riduci Roma antica a immondo mercato di schiavi, o se ritieni grandi uomini come Washington, Lincon o Churchill anche se non avevano sui neri idee simili a quelle di un moderno liberal.
Soprattutto, sei “razzista” se ricordi sommessamente che il razzismo è esistito in un tutte le civiltà. Che lo schiavismo è stato praticato in medio oriente fino alla metà dello scorso secolo, che gli Aztechi erano schiavisti e facevano sacrifici umani, che lo schiavismo esisteva anche in Africa.
No, per non essere definito “razzista” devi flagellare sempre e solo l'occidente. Devi ridurre tutta la storia della nostra civiltà all'abominio del razzismo schiavista e devi, nel contempo, assolvere tutte le altre civiltà, dimenticare i loro numerosissimi abomini.
Per farla breve: se non sei un liberal politicamente corretto sei “razzista”.
E' chiaro che così usata la parola “razzista “perde ogni significato. Tutto è “razzismo", quindi nulla lo è...






domenica 7 giugno 2020

AMERICA AMERICA

Che lo stato dell'informazione sia in Italia semplicemente indecente è noto. Ma c'è chi riesce a distinguersi anche in questa palude di generalizzata indecenza.
Oggi il TG5, principale TG delle reti Mediaset, ha comunicato al popolo bue che almeno UN MILIONE di persone hanno manifestato a Washington contro il razzismo. Lo ha smentito nientemeno che Rai news 24: a Washington hanno sfilato ALCUNE DECINE DI MIGIAIA di manifestanti. Del resto, bastava guardare le immagini per capire che il “MILIONE” sparato dal TG5 era una palla di proporzioni … milionarie!
Non parliamo poi del contenuto dei vari servizi. Da giorni tutti i TG, con insistenza goebbelsiana, continuano a dipingere gli Stati Uniti come un pese in preda ad una pandemia di razzismo, con forze di polizia che si divertono a fare il tiro al nero.
Che negli USA il razzismo esista è innegabile, è legato alla loro storia, al formarsi della identità americana, ma davvero questo ha OGGI le dimensioni che i media ufficiali raccontano? Se così fosse i vari liberal “progressisti” dovrebbero chiedersi a cosa sono serviti gli OTTI ANNI di presidenza Obama, a cosa la tanto celebrata politica della azione positiva, a cosa la presenza massiccia di neri in cariche importanti, nelle stesse forze di polizia, spesso con posizioni dirigenziali, a cosa i tanti stati amministrati proprio dai liberal.
Tutta colpa di Trump? Lo sostiene quel genio di Alan Friedman (quello che sembra Onlio). Per lui tutto andava benone, l'America era la terra di una felice integrazione, poi è arrivato il “tycoon” e tutto è precipitato nel razzismo. Tesi molto profonda ed interessante... però... però gli scontri razziali hanno caratterizzato anche la presidenza Obama, però il Minnesota è OGGI amministrato dai democratici, e il capo della polizia di Minneapolis è un nero... anche loro razzisti fans di Trump?
Chissà... forse il problema non è tanto il razzismo quanto il fallimento delle varie politiche separatiste che hanno caratterizzato la sinistra americana e la presenza negli USA, ed anche in Europa, di idee, sentimenti, interessi ostili non tanto al razzismo quanto alla società pluralista, democratica, in una parola, occidentale.
E' solo una ipotesi certo, ma forse non troppo peregrina...

mercoledì 3 giugno 2020

LO SCHIAVISMO E L'ODIO DELL'OCCIDENTE CONTRO SE STESSO

La schiavitù moderna non riguarda affatto solo l'Europa e gli Stati Uniti. Riguarda anche l'Africa ed il medio oriente, anzi, queste due aree videro un commercio di schiavi addirittura più massiccio di quello fra l'Africa, l'Europa ed il nord America. Il filosofo francese Pascal Bruckner ne “La tirannia della penitenza” ricorda che
“ il primo stato arabo mussulmano ad abolire la schiavitù fu la Tunisia nel 1846, ma la misura divenne efficace solo con la presenza dei francesi nel 1881. L'impero ottomano seguirà questa via verso la fine del diciannovesimo secolo. Questo traffico è stato dichiarato illegale nello Yemen e in Arabia saudita solo nel 1962 ed in Mauritania nel 1980”. Posso permettermi di aggiungere che l'Isis ha riscoperto OGGI la schiavitù e che in alcuni pesi musulmani la condizione delle donne ricorda moto da vicino quella delle schiave.
Dal canto suo Robert Hughes ricorda ne “la cultura del piagnisteo” che
“Jean Bedel Bokassa, incoronato nel 1977 imperatore della Repubblica Centrafricana, (...) possedeva centinaia di schiavi e ogni tanto, per divertirsi, ne massacrava un certo numero”.
Tanto per chiarire, Huges è tutto meno che uomo di “destra”, nel suo libro sottopone a critiche dure, e non sempre giuste a mio avviso, il presidente Regan.
Val la pena di aggiungere che gli ospiti dei gulag staliniani e delle comuni agricole nella Cina maoista erano schiavi a tutti gli effetti. I grandiosi piani quinquennali furono realizzati anche col lavoro forzato di milioni di sventurati.
Eppure quando si parla di schiavitù moderna si ricorda sempre e solo quella americana e se si allarga il discorso al mondo antico ci si concentra sempre sull'antica Roma. La schiavitù è stata caratteristica di tutta l'antichità, ma la civiltà romana è interna all'occidente quindi il suo schiavismo appare particolarmente ripugnante.

Queste considerazioni non dovrebbero neppure esser fatte. Lo schiavismo ha caratterizzato gran parte della storia del genere umano e si è trattato sempre di un fatto moralmente ripugnante, punto.
Oggi però qualcuno usa la storia dello schiavismo per giustificare qualsiasi cosa facciano i discendenti degli schiavi di ieri. Nessuna persona ragionevole può ritenere giusto che se un poliziotto uccide un uomo di colore altri uomini di colore saccheggino super mercati, brucino chiese e sinagoghe, uccidano il primo bianco che vedono. Così i nostri cari “progressisti”, per giustificare l'ingiustificabile, si appellano alla storia. Avete avuto lo schiavismo, ora pagate, strillano.
E, del tutto ignoranti della storia, dimenticano che lo schiavismo non lo abbiamo avuto solo noi.
E, incapaci di pensare, dimenticano che se il loro modo di “ragionare”, si fa per dire, fosse anche solo minimamente corretto allora gli ebrei dovrebbero massacrare un sacco di tedeschi, cristiani e musulmani. E i discendenti degli internati nei gulag dovrebbero bruciare le sedi di ogni partito si sinistra.
Tempo fa una anziana signora ebrea è stata sgozzata a Parigi da un giovane musulmano. Non mi pare che gli ebrei francesi abbiano sparato a vista sugli arabi o bruciato moschee. E quando il comunismo è crollato non c'è stata nessuna caccia all'uomo, mi pare.
Me ne rendo conto, le mie considerazioni per qualcuno sono inutili. L'odio che certi occidentali hanno per la loro civiltà è peggio del Covid 19. Nessuna considerazione è in grado di farlo vacillare. Le persone ragionevoli non possono convincerli. Devono però difendersi dai loro deliri. In maniera pacifica, democratica, ma senza timidezze. Ne va della sopravvivenza di ciò che resta della nostra civiltà.

mercoledì 20 maggio 2020

RENZI O IL POTERE FINE A SE STESSO


Un anno di Renzi premier, ecco le foto "migliori"


Se ad un talk show partecipano Gad Lerner o Laura Boldrini io so in anticipo, più o meno, cosa diranno su un determinato argomento, e so anche che sarò in radicale dissenso con quanto diranno.
Se a partecipare è invece Matteo Renzi le cose cambiano. E' possibile che il leader di Italia viva dica cose molto diverse da quelle che io mi aspetto. E francamente non so se sarò o meno d'accordo con lui.
Una cosa però la so: non esisterà alcun legame fra ciò che Matteo Renzi dirà e ciò che farà. In Renzi le parole sono completamente separate dalle cose. Non si tratta, sia ben chiaro, del famoso “mare” che si estende fra il dire ed il fare e che rende molto difficile, a volte quasi impossibile, realizzare i propri propositi. Renzi quel mare non cerca neppure di attraversarlo. Dopo aver strillato che intende affrontare le onde dell'oceano cambia strada e si avvia di buon passo verso la montagna. E' fatto così...

Per Renzi i discorsi e gli impegni programmatici contano meno di zero. Disse che non sarebbe mai diventato presidente del consiglio senza passaggio elettorale, poi lo divenne grazie ad una manovra tutta interna al suo partito. Rassicurò Letta, poi lo pugnalò alle spalle. Sui migranti è passato dallo slogan “aiutiamoli a casa loro” al sostegno dello ius soli e delle sanatorie. Raggiunse un accordo con Berlusconi e poi si unì a quanti lo cacciarono dal parlamento. Promise a tutti che avrebbe abbandonato la politica se avesse perso il referendum, eppure è ancora qui. Si è detto convinto che Salvini non ha mai commesso alcun reato ma ha votato per la autorizzazione a procedere. Ieri ha sommerso di critiche pesantissime Bonafede, poi gli ha rinnovato la fiducia. Si potrebbe continuare.
Non si tratta, dovrebbe essere chiaro, di un semplice “cambiare idea”. Solo i cretini non cambiano mai idea. Cambia idea chi riflette sulle proprie idee, ne esamina la coerenza, l'accordo o il disaccordo con determinati valori, le confronta con la realtà ed infine, se si convince che sia giusto farlo, le cambia. E se le cambia dice chiaramente che le ha cambiate, e spiega il perché del cambiamento. Cambiare idea vuol dire essere intellettualmente onesti. Per Renzi il discorso è completamente diverso: lui non cambia idea, semplicemente non dà alcun valore alle idee. Le idee non sono per Renzi degli impegni da cercare quanto meno da mantenere. Sono solo degli strumenti per realizzare ciò che davvero gli sta a cuore: il potere. Non il potere per realizzare idee, progetti, programmi, ma idee, progetti, programmi per ottenere il potere.

Da un certo punto d vista Renzi è un bolscevico, un autentico leninista. Come Lenin ed i bolscevichi Renzi fa propri dei programmi non tanto per realizzarli quanto per i vantaggi che agitarli gli può dare in termini di potere. Con una differenza essenziale però nei confronti dei bolscevichi. Questi erano fanaticamente legati ad una idea guida, meglio, ad una fede che orientava tutta la loro azione. L'agitare strumentalmente programmi e parole d'ordine serviva ai seguaci di Lenin per raggiungere il potere e mettere in atto il sogno, meglio, l'incubo, della torsione a 180 gradi dell'uomo e della società. In Renzi non c'è, ovviamente, questo fanatismo inseme grandioso e criminale. Il potere per lui non è lo strumento per un rivolgimento radicale, e terrificante, del mondo. E' solo e semplicemente potere. Presenza forte nelle istituzioni, nei consigli di amministrazione, capacità di stare sempre e comunque a galla, di essere sempre al governo anche se pochi, pochissimi ormai lo votano. Lenin ed i bolscevichi erano fanatici che facevano paura. Non solo ai borghesi. Fecero paura, terrorizzarono, i contadini, il ceto medio, gli intellettuali, gli operai. Renzi non è un fanatico, solo un uomo dalla “ambizioni piccole”, per usare una espressione di Gramsci. Non fa paura a nessuno, al massimo può far rabbia il suo agitarsi per stare sempre a galla, il sostenere costantemente tutto ed il contrario di tutto per qualche poltrona in più.

Prima ancora che rabbia però il “renzismo” suscita disprezzo e, a volte, una certa pena.
Renzi è tutto ciò che la politica, intesa in senso nobile, non deve, non dovrebbe essere. Molti hanno i suoi stessi difetti, in tutti gli schieramenti. In molti antepongono i giochetti di potere, la lotta per le poltrone ad ogni altra considerazione. Basta guardare ai “grillini”, letteralmente terrorizzati dalla prospettiva di perdere lo scranno parlamentare, per rendersene conto. La politica non è un gioco da educande, lo sappiamo bene e chi si fa illusioni in proposito è uno sciocco. Ma in Renzi gli aspetti deteriori della politica raggiungono la loro forma chimicamente pura. In lui l'amore per le poltrone non si combina con la passione politica, si identifica con questa. E' davvero un guaio che quest'uomo da poco abbia ancora un ruolo non secondario nella politica italiana.