I politicamente corretti di casa nostra hanno dichiarato guerra alle parole. Il periodico cattocomunista “famiglia cristiana”, l'”Avvenire” e l'immancabile presidente della camera, signora Laura Boldrini, vogliono ripulire il linguaggio. Una parola uccide quanto un proiettile, affermano, e vogliono che nessuno dia del “terrorista” ad un mussulmano o della “ladra” ad una rom. Ovviamente nei confronti di altre parole gli angioletti del politicamente corretto non sono altrettanto severi. Le parole da vietare sono quelle che possono offendere i nostri fratelli mussulmani, o i “migranti” o i rom. Dire “terrorista” ad un mussulmano è come sparargli, ma dirlo ad un giovanotto che milita in un gruppo di estrema destra no. E dare della “ladra” ad una giovane rom è intollerabile, ma non lo è definire “amico dei mafiosi” un tale che ha votato Forza Italia. “Negro” è una parola che ha l'effetto di un proiettile mentre “razzista” ha l'effetto di una affettuosa carezza. Come tutte le guerre anche quella contro le parole distingue fra amici e nemici.
Molto spesso chi afferma che parole e
proiettili sono più o meno la stessa cosa usa poi i proiettili
contro le parole, e spedisce chi ha la sventura di usare qualche
parola proibita in comodi lagher, ma, non formalizziamoci. In Italia,
come in tutti i paesi civili, non si può insultare nessuno. Se io do
del “terrorista” ad un mussulmano lo insulto, quindi, già ora,
senza bisogno di censure, non posso farlo. Se la guerra contro
le parole politicamente scorrette si riducesse a questo sarebbe
innocua ma anche di desolante banalità.
Ed infatti non si riduce a questo. Io non posso dare del “terrorista” ad un mussulmano che passa per strada: può benissimo darsi che quel mussulmano non solo non sia terrorista ma neppure condivida quello che i terroristi islamici fanno in giro per il mondo. Però posso benissimo dire che la religione islamica, per i valori che propugna, incoraggia, giustifica e favorisce il terrorismo. In questo caso io non lancio una accusa verso una singola persona, che, in quanto tale, va motivata e provata in maniera rigorosa, esprimo un giudizio politico su un movimento politico e religioso e questo è mio diritto poterlo fare. Se dire che l'integralismo islamico è terrorista costituisce un insulto, allora lo è anche dire che il nazismo è una ideologia razzista o che il comunismo predica la presa violenta del potere da parte del partito della classe operaia. Per le anime belle politicamente corrette non si può dire che l'Islam alimenta il terrorismo, ma solo che Alì, Hassam e Mohamed sono terroristi e sono, per puro caso, anche islamici. Ma, se le cose stanno così, non si può neppure dire che il nazismo era anti semita, ma solo che Franz, Adolf e Strauss erano antisemiti e, per puro caso, militavano nel partito nazionalsocialista. Quello che i cattocomunisti e le anime belle politicamente corrette propongono è, puramente e semplicemente, la fine di ogni discorso che abbia una valenza ed una portata generale, la sua riduzione ad una serie di giudizi strettamente individuali.
E barano, naturalmente. Si, barano perché quelli che vogliono proibire sono i discorsi degli altri. Coloro che protestano contro le “brutte” parole sono a volte gli stessi che strillano contro l'imperialismo americano o che definiscono “nazisti” gli israeliani; alcuni di loro sono amici di chi bruciando in pubblici cortei bandiere americane o israeliane offende interi popoli. Loro, i “buoni” politicamente corretti, fanno, eccome, i loro bravi, anzi, cattivi, discorsi di carattere generale; loro possono fare generalizzazioni, non intendono ridursi nell'ambito angusto di una serie di giudizi su singoli eventi scollegati da ogni considerazione sulla cultura, la società, la civiltà in cui tali eventi si manifestano.
Per il pensiero liberale al centro di tutto sta il singolo. Ogni singolo essere umano ha, in quanto tale, la sua dignità, il suo valore, alcuni inalienabili diritti. Far parte del genere umano è più importante che far parte di una certa razza, o classe, o sesso, o civiltà.
I marxisti a suo tempo rifiutavano questa impostazione. Non conta l'uomo, meno che mai l'individuo, si tratta di astrazioni. Non esistono individui ma borghesi, proletari, signori feudali, contadini. L'uomo veniva risolto integralmente nel gruppo sociale.
E, dall'estrema destra, alcuni rispondevano: “no, non nel gruppo sociale ma in quello etnico, nazionale, razziale”... L'uomo è, di nuovo, una astrazione, esistono i bianchi e i neri, gli italiani ed i francesi, gli occidentali e gli orientali. Ad essere decisivo era di nuovo il gruppo, il collettivo.
Oggi pare che i dinosauri della destra ideologica si siano quasi del tutto estinti, e quelli della sinistra ideologica si siano invece ravveduti. Oggi vogliono sentire solo discorsi strettamente riferiti agli individui. Niente generalizzazioni esclamano, solo fatti, fatti singolari, delimitati, privi di sfondo. Sono disonesti, lo abbiamo visto, in questa loro pretesa: solo alcuni devono essere obbligati a stare ai fatti e basta. Però, cosa pretendiamo? E' comunque un bene che, dopo decenni di collettivismo becero, questi angioletti abbiano scoperto il valore della individualità. No, non è un bene. Non lo è non solo perché la loro scoperta è inficiata da disonestà intellettuale, ma perché il loro novello individualismo è becero almeno quanto lo era il loro passato collettivismo.
Lo capirebbe un bambino. Ad essere centrale è l'uomo, il singolo essere umano, ma da questo non segue che il far parte di certi gruppi sia qualcosa di irrilevante. Essere “uomo” è più importante che essere “occidentale”, ma questo non vuol dire che le idee, i valori, gli stili di vita degli uomini occidentali siano gli stessi di quelli di altri esseri umani che vivono in altre civiltà. E' vero, sgozzare un innocente è qualcosa che offende tutti gli esseri umani, mussulmani, buddisti o cristiani che siano, esattamente come garantire a chiunque un processo equo migliora le relazioni umane sotto tutte le latitudini. Ma, appunto, si sgozzano gli innocenti in certi contesti culturali e si garantiscono processi equi in altri. I valori, gli usi e costumi, gli stili di vita in auge in una certa civiltà, la nostra, hanno la capacità di rispondere ad esigenze universali degli esseri umani; altri valori, usi e costumi, stili di vita, che pure esistono in certe altre civiltà, invece riescono solo a peggiorarli, gli esseri umani. Essere universalisti non vuol dire teorizzare che le differenze fra le civiltà siano irrilevanti, meno che mai vuol dire teorizzare che si debba parlare solo di eventi singoli, privi di sfondo culturale. Vuol dire, al contrario, capire alcuni valori, sorti per una serie di circostanze storiche in una certa civiltà, sono potenzialmente liberatori per tutti.
I politicamente corretti che hanno dichiarato guerra a certe parole accettano questa impostazione? Assolutamente no. Per loro parlare di universalità di certi valori è una forma intollerabile di imperialismo culturale. Nessuna cultura è, in nulla superiore alle altre. Processi equi e linciaggi, divorzio e lapidazione delle adultere, libertà di pensiero e pena di morte per gli apostati, tutto è sullo stesso piano, guai a stabilire delle gerarchie normative. Gli angioletti del politicamente corretto sguazzano nel relativismo culturale, “rispettano” le altrui culture, anche quando queste comprendono fustigazioni, poligamia ed infibulazioni.
Questo atteggiamento però ha un grosso limite: non può essere sostenuto quando gli esponenti della “altre culture” rivolgono contro di noi le loro angeliche attenzioni. Se un nostro fratello mussulmano si facesse esplodere in una pizzeria a Milano non si potrebbe dire “beh... è la sua cultura...”. Non lo si potrebbe fare perché qualcuno potrebbe rispondere: “dichiarare guerra al suo paese è la nostra cultura...”. Il giustificazionismo diventa insostenibile se siamo noi ad essere messi in mezzo. Si tratta di una posizione ipocrita e venata, in fondo, di razzismo? Si, certamente, ma non è ipocrita e razzista sostenere, ad esempio, che la lapidazione delle adultere può essere accettata se riguarda le donne iraniane mentre il divorzio va benissimo per quelle italiane o francesi? Accettare gli orrori solo perché riguardano gli altri è una spregevole forma di razzismo, ma gli angioletti questo non lo sanno.
Comunque, le anime belle non possono limitarsi a farfugliare qualcosa sulle “culture” quando ci siamo di mezzo noi. Ed eccoli allora abbandonare il loro collettivismo culturale infarcito di relativismo per abbracciare il più spinto individualismo giuridico. Un mussulmano si è fatto esplodere in una pizzeria? No, non un mussulmano, ma il signor Ali, che è casualmente mussulmano. Prima le culture giustificavano tutto, ora, letteralmente, scompaiono. Restano gli individui, nudi, svuotati di ogni caratteristica culturale, isolati da ogni contesto. Individui, questi si, del tutto astratti, irreali, ridotti a meri fantasmi. Non generalizziamo strillano le anime belle. Il loro “individualismo” non è altro se non il tentativo di difendere i soggetti collettivi che loro amano visceralmente. L'invito a “non generalizzare”, la riduzione di tutto al “singolo”, servono solo a salvare dalla riprovazione delle persone di buon senso quelle culture che scaldano i loro cuoricini generosi.
Non generalizziamo. E' sensato un invito simile? NO, assolutamente.
Domani sorgerà il sole. Il tumore allo stomaco è una malattia mortale. Gli antichi greci erano un popolo molto intelligente. I leoni sono carnivori. Tutte queste affermazioni sono delle, o si basano su, generalizzazioni. Ogni nostro discorso e, prima ancora, ogni nostro atto sono infarciti di generalizzazioni. “Prendi l'ombrello se esci, il cielo è pieno di nuvole, potrebbe piovere”. Chi non ha mai fatto o non si è sentito fare una simile raccomandazione? Beh... si tratta di una generalizzazione. Senza la generalizzazione e la sua sorella: l'inferenza induttiva, la nostra esperienza si ridurrebbe ad una serie scollegata di attimi, un caos di eventi scollegati fra loro, puramente inintelleggibile. Lo aveva ben capito il vecchio Hume, che, nel momento stesso in cui negava fondamento logico alla induzione, le conferiva un enorme valore pratico, e lo aveva capito altrettanto bene Kant, che cercò a sua volta di conferire ad induzione e generalizzazione la loro base logico razionale, non interessa qui indagare con quanto successo.
Certo, esistono le cattive generalizzazioni. Le generalizzazioni affrettate, imprecise, non sufficientemente corroborate dall'osservazione. Ed esistono le generalizzazioni dogmatiche, quelle di chi ritiene che la generalizzazione porti a risultati definitivi, privi di eccezioni. In realtà la generalizzazione non porta mai a risultati assolutamente certi. L'eccezione è sempre possibile. Fra gli antichi greci ci sono certamente stati degli imbecilli, ed è possibile che esistano forme non mortali di tumore allo stomaco. Logicamente è anche possibile che domani il sole non sorga o che esista un leone non carnivoro, se e quando se ne scoprirà uno lo si dovrà osservare e studiare, non certo negarne l'esistenza.
Ma il fatto che la generalizzazione non porti a risultati certi, non sia paragonabile alla logica o alla matematica, non ne sminuisce affatto l'importanza. Non la sminuisce soprattutto nel campo che qui ci interessa, quello politico-sociale e culturale. Di certo nella Germania nazista vivevano molti tedeschi non antisemiti, ma, aveva o non aveva un ebreo ottimi motivi per non sentirsi sicuro in quel paese? In un quartiere malfamato vivono certamente molte persone per bene, ma ha o non ha ragione una ragazzina ad essere timorosa se deve attraversare quel quartiere da sola, in piena notte? Non tutti i mussulmani sono terroristi, è vero, anzi, in gran maggioranza non lo sono; ma è del tutto immotivato il sospetto che fra di loro ci sono molti terroristi, molti, moltissimi di più di quanti ce ne possono essere fra i cattolici o fra i buddisti? Proviamo a non generalizzare e la Germania hitleriana cessa di essere malata di antisemitismo, scompaiono i quartieri pericolosi e l'integralismo islamico diventa una invenzione di Oriana Fallaci. Peccato però che i fatti abbiano la testa dura.
La guerra che le anime belle hanno dichiarato a certe parole si basa sul nulla. E' solo l'ennesimo, tentativo di tappare la bocca a chi non accetta la dittatura buonista, il pensiero unico politicamente corretto. Tentativo che cerca ipocritamente di far leva sui buoni sentimenti, di travestirsi da individualismo tollerante, umanitarismo, simpatia per chi è diverso da noi. Ma nulla è meno buono che cercare di giustificare l'esaltazione della morte presente in certe culture, nulla è meno tollerante che tollerare gli intolleranti, nulla è meno rispettoso del diverso che non ritenerlo degno di quei diritti che per noi sono cosa normale.
Non bisogna farsi ingannare: i peggiori cattivi sono oggi coloro che a tutte le ore, in tutte le occasioni, con tutti i pretesti cercano di apparire “buoni”.
Ed infatti non si riduce a questo. Io non posso dare del “terrorista” ad un mussulmano che passa per strada: può benissimo darsi che quel mussulmano non solo non sia terrorista ma neppure condivida quello che i terroristi islamici fanno in giro per il mondo. Però posso benissimo dire che la religione islamica, per i valori che propugna, incoraggia, giustifica e favorisce il terrorismo. In questo caso io non lancio una accusa verso una singola persona, che, in quanto tale, va motivata e provata in maniera rigorosa, esprimo un giudizio politico su un movimento politico e religioso e questo è mio diritto poterlo fare. Se dire che l'integralismo islamico è terrorista costituisce un insulto, allora lo è anche dire che il nazismo è una ideologia razzista o che il comunismo predica la presa violenta del potere da parte del partito della classe operaia. Per le anime belle politicamente corrette non si può dire che l'Islam alimenta il terrorismo, ma solo che Alì, Hassam e Mohamed sono terroristi e sono, per puro caso, anche islamici. Ma, se le cose stanno così, non si può neppure dire che il nazismo era anti semita, ma solo che Franz, Adolf e Strauss erano antisemiti e, per puro caso, militavano nel partito nazionalsocialista. Quello che i cattocomunisti e le anime belle politicamente corrette propongono è, puramente e semplicemente, la fine di ogni discorso che abbia una valenza ed una portata generale, la sua riduzione ad una serie di giudizi strettamente individuali.
E barano, naturalmente. Si, barano perché quelli che vogliono proibire sono i discorsi degli altri. Coloro che protestano contro le “brutte” parole sono a volte gli stessi che strillano contro l'imperialismo americano o che definiscono “nazisti” gli israeliani; alcuni di loro sono amici di chi bruciando in pubblici cortei bandiere americane o israeliane offende interi popoli. Loro, i “buoni” politicamente corretti, fanno, eccome, i loro bravi, anzi, cattivi, discorsi di carattere generale; loro possono fare generalizzazioni, non intendono ridursi nell'ambito angusto di una serie di giudizi su singoli eventi scollegati da ogni considerazione sulla cultura, la società, la civiltà in cui tali eventi si manifestano.
Per il pensiero liberale al centro di tutto sta il singolo. Ogni singolo essere umano ha, in quanto tale, la sua dignità, il suo valore, alcuni inalienabili diritti. Far parte del genere umano è più importante che far parte di una certa razza, o classe, o sesso, o civiltà.
I marxisti a suo tempo rifiutavano questa impostazione. Non conta l'uomo, meno che mai l'individuo, si tratta di astrazioni. Non esistono individui ma borghesi, proletari, signori feudali, contadini. L'uomo veniva risolto integralmente nel gruppo sociale.
E, dall'estrema destra, alcuni rispondevano: “no, non nel gruppo sociale ma in quello etnico, nazionale, razziale”... L'uomo è, di nuovo, una astrazione, esistono i bianchi e i neri, gli italiani ed i francesi, gli occidentali e gli orientali. Ad essere decisivo era di nuovo il gruppo, il collettivo.
Oggi pare che i dinosauri della destra ideologica si siano quasi del tutto estinti, e quelli della sinistra ideologica si siano invece ravveduti. Oggi vogliono sentire solo discorsi strettamente riferiti agli individui. Niente generalizzazioni esclamano, solo fatti, fatti singolari, delimitati, privi di sfondo. Sono disonesti, lo abbiamo visto, in questa loro pretesa: solo alcuni devono essere obbligati a stare ai fatti e basta. Però, cosa pretendiamo? E' comunque un bene che, dopo decenni di collettivismo becero, questi angioletti abbiano scoperto il valore della individualità. No, non è un bene. Non lo è non solo perché la loro scoperta è inficiata da disonestà intellettuale, ma perché il loro novello individualismo è becero almeno quanto lo era il loro passato collettivismo.
Lo capirebbe un bambino. Ad essere centrale è l'uomo, il singolo essere umano, ma da questo non segue che il far parte di certi gruppi sia qualcosa di irrilevante. Essere “uomo” è più importante che essere “occidentale”, ma questo non vuol dire che le idee, i valori, gli stili di vita degli uomini occidentali siano gli stessi di quelli di altri esseri umani che vivono in altre civiltà. E' vero, sgozzare un innocente è qualcosa che offende tutti gli esseri umani, mussulmani, buddisti o cristiani che siano, esattamente come garantire a chiunque un processo equo migliora le relazioni umane sotto tutte le latitudini. Ma, appunto, si sgozzano gli innocenti in certi contesti culturali e si garantiscono processi equi in altri. I valori, gli usi e costumi, gli stili di vita in auge in una certa civiltà, la nostra, hanno la capacità di rispondere ad esigenze universali degli esseri umani; altri valori, usi e costumi, stili di vita, che pure esistono in certe altre civiltà, invece riescono solo a peggiorarli, gli esseri umani. Essere universalisti non vuol dire teorizzare che le differenze fra le civiltà siano irrilevanti, meno che mai vuol dire teorizzare che si debba parlare solo di eventi singoli, privi di sfondo culturale. Vuol dire, al contrario, capire alcuni valori, sorti per una serie di circostanze storiche in una certa civiltà, sono potenzialmente liberatori per tutti.
I politicamente corretti che hanno dichiarato guerra a certe parole accettano questa impostazione? Assolutamente no. Per loro parlare di universalità di certi valori è una forma intollerabile di imperialismo culturale. Nessuna cultura è, in nulla superiore alle altre. Processi equi e linciaggi, divorzio e lapidazione delle adultere, libertà di pensiero e pena di morte per gli apostati, tutto è sullo stesso piano, guai a stabilire delle gerarchie normative. Gli angioletti del politicamente corretto sguazzano nel relativismo culturale, “rispettano” le altrui culture, anche quando queste comprendono fustigazioni, poligamia ed infibulazioni.
Questo atteggiamento però ha un grosso limite: non può essere sostenuto quando gli esponenti della “altre culture” rivolgono contro di noi le loro angeliche attenzioni. Se un nostro fratello mussulmano si facesse esplodere in una pizzeria a Milano non si potrebbe dire “beh... è la sua cultura...”. Non lo si potrebbe fare perché qualcuno potrebbe rispondere: “dichiarare guerra al suo paese è la nostra cultura...”. Il giustificazionismo diventa insostenibile se siamo noi ad essere messi in mezzo. Si tratta di una posizione ipocrita e venata, in fondo, di razzismo? Si, certamente, ma non è ipocrita e razzista sostenere, ad esempio, che la lapidazione delle adultere può essere accettata se riguarda le donne iraniane mentre il divorzio va benissimo per quelle italiane o francesi? Accettare gli orrori solo perché riguardano gli altri è una spregevole forma di razzismo, ma gli angioletti questo non lo sanno.
Comunque, le anime belle non possono limitarsi a farfugliare qualcosa sulle “culture” quando ci siamo di mezzo noi. Ed eccoli allora abbandonare il loro collettivismo culturale infarcito di relativismo per abbracciare il più spinto individualismo giuridico. Un mussulmano si è fatto esplodere in una pizzeria? No, non un mussulmano, ma il signor Ali, che è casualmente mussulmano. Prima le culture giustificavano tutto, ora, letteralmente, scompaiono. Restano gli individui, nudi, svuotati di ogni caratteristica culturale, isolati da ogni contesto. Individui, questi si, del tutto astratti, irreali, ridotti a meri fantasmi. Non generalizziamo strillano le anime belle. Il loro “individualismo” non è altro se non il tentativo di difendere i soggetti collettivi che loro amano visceralmente. L'invito a “non generalizzare”, la riduzione di tutto al “singolo”, servono solo a salvare dalla riprovazione delle persone di buon senso quelle culture che scaldano i loro cuoricini generosi.
Non generalizziamo. E' sensato un invito simile? NO, assolutamente.
Domani sorgerà il sole. Il tumore allo stomaco è una malattia mortale. Gli antichi greci erano un popolo molto intelligente. I leoni sono carnivori. Tutte queste affermazioni sono delle, o si basano su, generalizzazioni. Ogni nostro discorso e, prima ancora, ogni nostro atto sono infarciti di generalizzazioni. “Prendi l'ombrello se esci, il cielo è pieno di nuvole, potrebbe piovere”. Chi non ha mai fatto o non si è sentito fare una simile raccomandazione? Beh... si tratta di una generalizzazione. Senza la generalizzazione e la sua sorella: l'inferenza induttiva, la nostra esperienza si ridurrebbe ad una serie scollegata di attimi, un caos di eventi scollegati fra loro, puramente inintelleggibile. Lo aveva ben capito il vecchio Hume, che, nel momento stesso in cui negava fondamento logico alla induzione, le conferiva un enorme valore pratico, e lo aveva capito altrettanto bene Kant, che cercò a sua volta di conferire ad induzione e generalizzazione la loro base logico razionale, non interessa qui indagare con quanto successo.
Certo, esistono le cattive generalizzazioni. Le generalizzazioni affrettate, imprecise, non sufficientemente corroborate dall'osservazione. Ed esistono le generalizzazioni dogmatiche, quelle di chi ritiene che la generalizzazione porti a risultati definitivi, privi di eccezioni. In realtà la generalizzazione non porta mai a risultati assolutamente certi. L'eccezione è sempre possibile. Fra gli antichi greci ci sono certamente stati degli imbecilli, ed è possibile che esistano forme non mortali di tumore allo stomaco. Logicamente è anche possibile che domani il sole non sorga o che esista un leone non carnivoro, se e quando se ne scoprirà uno lo si dovrà osservare e studiare, non certo negarne l'esistenza.
Ma il fatto che la generalizzazione non porti a risultati certi, non sia paragonabile alla logica o alla matematica, non ne sminuisce affatto l'importanza. Non la sminuisce soprattutto nel campo che qui ci interessa, quello politico-sociale e culturale. Di certo nella Germania nazista vivevano molti tedeschi non antisemiti, ma, aveva o non aveva un ebreo ottimi motivi per non sentirsi sicuro in quel paese? In un quartiere malfamato vivono certamente molte persone per bene, ma ha o non ha ragione una ragazzina ad essere timorosa se deve attraversare quel quartiere da sola, in piena notte? Non tutti i mussulmani sono terroristi, è vero, anzi, in gran maggioranza non lo sono; ma è del tutto immotivato il sospetto che fra di loro ci sono molti terroristi, molti, moltissimi di più di quanti ce ne possono essere fra i cattolici o fra i buddisti? Proviamo a non generalizzare e la Germania hitleriana cessa di essere malata di antisemitismo, scompaiono i quartieri pericolosi e l'integralismo islamico diventa una invenzione di Oriana Fallaci. Peccato però che i fatti abbiano la testa dura.
La guerra che le anime belle hanno dichiarato a certe parole si basa sul nulla. E' solo l'ennesimo, tentativo di tappare la bocca a chi non accetta la dittatura buonista, il pensiero unico politicamente corretto. Tentativo che cerca ipocritamente di far leva sui buoni sentimenti, di travestirsi da individualismo tollerante, umanitarismo, simpatia per chi è diverso da noi. Ma nulla è meno buono che cercare di giustificare l'esaltazione della morte presente in certe culture, nulla è meno tollerante che tollerare gli intolleranti, nulla è meno rispettoso del diverso che non ritenerlo degno di quei diritti che per noi sono cosa normale.
Non bisogna farsi ingannare: i peggiori cattivi sono oggi coloro che a tutte le ore, in tutte le occasioni, con tutti i pretesti cercano di apparire “buoni”.