giovedì 26 ottobre 2023

LA GUERRA NON RISOLVE MAI ALCUN PROBLEMA?

 

Lo si sente dire abbastanza spesso: “la guerra non risolve mai alcun problema”. Bella frase, molto ad effetto, ma… sarà vero che la guerra non risolve mai alcun problema? Vediamo.
Se dire che la guerra non risolve alcun problema significa che è enormemente meglio cercare di risolvere i problemi non con la forza ma col negoziato, la trattativa e il compromesso non si può che concordare. Le moderne democrazie occidentali in fondo sono proprio questo: ingegnosi sistemi istituzionali volti a far si che gli inevitabili contrasti di idee, valori, interessi siano risolti pacificamente. In democrazia sono i voti a stabilire chi ha diritto di governare, chi governa deve rispettare le minoranze ed i fondamentali diritti di tutti i cittadini, privilegia certe idee, valori ed interessi senza tuttavia annichilire gli altri. In questo senso la trattativa ed il compromesso sono fondamentali in democrazia ed è esclusa dalla democrazia l’idea stessa della violenza.
Ma da questo NON deriva che sia SEMPRE possibile risolvere TUTTI i contrasti col metodo della trattativa e del compromesso. Trattativa e compromesso sono caratteristiche della democrazia, meglio, della democrazia liberale, ma sono purtroppo molti a non accettare la democrazia liberale e, di conseguenza, a rifiutare il metodo della trattativa e del compromesso.
Il metodo della trattativa può non funzionare per due fondamentali motivi.
In primo luogo c’è chi non accetta tale metodo e pretende di imporre le proprie idee, valori, interessi con la violenza, spesso addirittura col terrore. E chiaro che NON si può negoziare con chi si comporta in questo modo. Si può contrapporre solo la forza a chi fa della violenza la sua unica arma.
In secondo luogo ci cono cose su cui il compromesso e la stessa trattativa sono politicamente impossibili e, prima ancora, moralmente ripugnanti.
Hitler voleva trasformare tutta l’Europa orientale in una enorme colonia agricola destinata a rifornire di alimenti la grande Germania ariana. Era possibile trattare su una simile richiesta? Era politicamente e moralmente accettabile proporre al dittatore nazista un “compromesso” che gli consentisse di colonizzare non tutta ma solo la metà dell’Europa orientale?
Ed ancora, sempre lui, Adolf Hitler, voleva sterminare tutti gli ebrei d’Europa. Era possibile discutere una simile pretesa? Magari proporre al tiranno di non massacrare milioni ma solo centinaia di migliaia di ebrei?
Mi sembra simili domande abbiano una chiara, implicita risposta.
Parlando di problemi di oggi. Hamas NON vuole uno stato palestinese che viva pacificamente accanto ad Israele. Per inciso, questo stato ci sarebbe dal 1948 se gli arabi avessero accettato la delibera ONU sulla divisione della Palestina. Sulle dimensioni di uno stato palestinese che conviva pacificamente con Israele e sulle garanzie che questo dovrebbe dare allo stato ebraico si può discutere, ma non è QUESTO l’obiettivo di Hamas. L’obiettivo di Hamas è la distruzione di Israele e la sua sostituzione con una teocrazia islamica. Per essere più precisi: Hamas vuole non uno stato palestinese ma un grande califfato; in prospettiva pretende che tutte le terre che in passato sono state islamiche tornino ad esserlo. I fondamentalisti fanatici di Hamas guardano al sud Europa oltre che ad Israele. Chi ha dubbi in proposito cerchi in rete il programma di Hamas e se lo legga.
Val la pena di aggiungere che i terroristi di Hamas mirano a riconquistare all’Islam i “miscredenti” non cercando di convincere gli esseri umani della superiorità della loro fede, rispettando chi da questa non è affascinato. No, cercano di imporre il loro fanatismo col terrore e la morte. Pensare che si possa trattare con simili interlocutori è ridicolo.
In definitiva: non è vero che la guerra non risolva mai alcun problema. A volte qualche grosso problema lo risolve. La seconda guerra mondiale ha risolto il problema del nazismo, con costi mostruosi, è vero, costi che però sarebbero stati infinitamente inferiori e se le democrazie occidentali avessero fatto prima la guerra ad Hitler.
Oggi la distruzione militare di Hamas qualche problema lo risolverebbe. Se l’occidente si mostrerà fermo e farà capire ai teocrati iraniani ed ai loro amici che non è il caso di scherzare con la sua enorme forza militare avremo tutti qualche problemino in meno.
E non sarebbe cosa da poco.


martedì 24 ottobre 2023

CAPACITA' DI PENSARE ADDIO

 


E’ possibile paragonare l’uccisione di molti civili tedeschi durante la battaglia di Berlino con i morti ammazzati di Marzabotto, o, peggio ancora, con gli ebrei sterminati nelle camere a gas?
Nessuno penso che abbia mai fatto simili paragoni. Il motivo è molto semplice: i civili berlinesi sono stati coinvolti nell’ultima, furiosa battaglia della seconda guerra mondiale ed in moltissimi hanno trovato morte. I morti di Marzabotto sono stati vittima di uno sterminio che con le operazioni belliche aveva poco o nulla a che fare. Gli ebrei massacrati nelle camera a gas non sono stati vittime degli effetti collaterali che ogni guerra purtroppo genera ma di una deliberata politica di genocidio che nulla aveva a che vedere con le operazioni belliche, anzi, dal punto di vista militare era addirittura controproducente per i tedeschi.
E’ semplicemente assurdo paragonare il tragico coinvolgimento di civili in operazioni militari con il deliberato massacro di civili del tutto scisso da qualsiasi azione militare.
I tagliagole di Hamas sono penetrati in indifesi villaggi israeliani, hanno deliberatamente massacrato civili di ogni sesso ed età, vecchi e neonati compresi, hanno sgozzato, stuprato, preso civili in ostaggio.
In risposta a questa azione degna dei nazisti Israele mira a distruggere militarmente Hamas, a demilitarizzare Gaza. Per far questo si impegna in azioni molto dure contro i suoi nemici mortali e questo, purtroppo, coinvolge o può coinvolgere anche civili.
Non solo, Israele cerca di minimizzare le perdite di civili palestinesi: avvisa in anticipo la popolazione civile di Gaza degli attacchi aerei, blocca l’offensiva per permettere l’evacuazione dei civili, che proprio Hamas cerca di impedire.
Mettere sullo stesso piano i modi di agire di Israele ed Hamas è semplicemente osceno. Chi fa una simile equiparazione pretende, molto semplicemente, che Israele non si difenda, lasci le cose come stanno in attesa del prossimo massacro. Di fatto, al di là delle flebili condanne, è dalla parte di Hamas.
Altrettanto osceno è parlare, come molti fanno, di “vendetta israeliana”. NO, disarmare Hamas, demilitarizzare Gaza NON è una vendetta, è una azione militare volta a tagliare gli artigli ad un nemico mortale dello stato ebraico.
La presa di Berlino non è stata una vendetta, non è stato una vendetta lo sbarco di Normandia, quando nel gennaio del 1945 gli alleati hanno superato il Reno non hanno messo in atto nessuna vendetta, hanno inferto un colpo durissimo alla morente bestia nazista.
Si tratta di concetti tanto semplici, che è imbarazzante esporli.
Ma molti, troppi occidentali sembra abbiano perso qualsiasi capacità di pensare.

mercoledì 18 ottobre 2023

OFFESA E DIFESA

 

Lo sanno tutti: Israele avvisa la popolazione civile di Gaza prima di sferrare un attacco o di effettuare un bombardamento, invita i civili ad evacuare. In questo modo offre un notevole vantaggio anche ai terroristi di Hamas: chi deve subire un attacco è infatti avvantaggiato dal fatto di sapere in anticipo dove l’attacco avrà luogo. Qualcuno può citare in tutta la storia un altro stato che si comporti o si sia comportato in questo modo? Quando hanno cinto d’assedio Leningrado le armate naziste hanno forse permesso l’evacuazione della popolazione civile? E quando i russi sono giunti alle porte di Berlino l’armata rossa ha forse frenato la sua avanzata per consentire l’evacuazione dei civili berlinesi? Si comportano forse in questo modo i russi in Ucraina? Eppure è così che si comporta lo stato ebraico. Possibile che a tanti sfugga la enorme differenza etica fra questo modo di comportarsi e quello dei terroristi di Hamas che fanno deliberatamente strage di civili?
Ma a tanti questo non basta. Gli attacchi a Gaza, sostengono, arrecano comunque inevitabili lutti e gravissime sofferenze alla popolazione civile, quindi sono attacchi criminali.
Il problema a questo punto riguarda non le sofferenze dei civili, purtroppo inevitabili in ogni guerra, comunque questa sia condotta, ma il diritto stesso di Israele a difendersi.
E’ vero, difendendosi Israele è inevitabilmente destinato ad arrecare sofferenze alla popolazione di Gaza, ma Israele ha o non ha il diritto di difendersi? E come va inteso tale diritto? Questo è il punto da chiarire.

Per qualcuno Israele NON ha il diritto di difendersi. Non ha questo diritto perché NON ha diritto di esistere. La stessa esistenza di Israele è un crimine, una sorta di peccato originale che si estende a tutti i suoi abitanti, neonati compresi. Israele non deve esistere, quindi non ha diritto a difendere la sua esistenza. I civili israeliani sono non dovrebbero essere, condividono il peccato originale del loro stato, quindi non hanno diritto di difendersi da chi li vuole massacrare. Si tratta di una tesi aberrante, addirittura oscena che non mi interessa neppure confutare, ma ha almeno il pregio della coerenza.
Altri fanno un discorso diverso. Israele, dicono, ha il diritto di difendersi ma tale diritto si ferma alle porte di Gaza. Se i terroristi di Hamas attaccano un villaggio is
raeliano con l’intento di massacrarne la popolazione civile gli israeliani hanno diritto di difendersi, ma non di inseguire fin dentro Gaza gli assalitori eventualmente messi in fuga. Gli israeliani hanno il diritto di intercettare un missile palestinese, ma non di attaccare le basi da cui questo missile parte. Gaza è una sorta di santuario che non si può toccare anche se da quel santuario partono ed in quello si rifugiano i terroristi che fanno stragi in Israele. Per fare un paragone storico: l’aviazione britannica avrebbe avuto il diritto di abbattere gli aerei tedeschi diretti a Londra, ma non di bombardare gli aeroporti di partenza. Il diritto dei popoli aggrediti dal mostro nazista avrebbe dovuto fermarsi ai confini e sui cieli della Germania. Pochi, mi pare, hanno sostenuto concezioni tanto bizzarre.

Concezioni tuttavia che sono state e sono sostenute, mutatis mutandis, anche in occasione della guerra in Ucraina, nell’incredibile, surreale dibattito sulla differenza fra armi offensive ed armi difensive.
L’Ucraina ha diritto di difendersi, hanno sostenuto molti, ma deve avere solo armi difensive. Ha diritto di difendere le sue città ma non di contrattaccare per liberare quelle conquistate dai russi. Se usa armi “offensive” o contrattacca la sua cessa di essere una guerra difensiva.
La lancia è il prototipo delle armi offensive, lo scudo di quelle difensive. Se Tizio viene attaccato da Caio armato di lancia e scudo lo si può aiutare fornendogli lo scudo
ma non la lancia, altrimenti la sua non sarebbe più una azione difensiva. Sembra incredibile ma c’è gente che ragiona in questo modo. Non a caso chi ha sostenuto simili barzellette ha in seguito mutato posizione: non bisogna dare nessuna arma, sia offensiva che difensiva, agli ucraini, punto e basta. Guarda caso il campione di questi giri di valzer è stato ed è il signor Giuseppe Conte.
Povero occidente!


lunedì 16 ottobre 2023

LA MONTAGNA INCANTATA

 Ho letto “La montagna incantata” una prima volta circa 17 anni fa. Attraversavo un momento di difficili condizioni di salute e non ho affrontato romanzo di Thomas Mann con la dovuta, necessaria concentrazione; pur riconoscendo l’importanza e la grandezza del romanzo lo ho giudicato “troppo intellettualistico”.
Ho riletto in questo periodo il capolavoro di Mann e sono costretto a mutare parere. “La montagna incantata” è un romanzo semplicemente stupendo. Si tratta certamente un libro “difficile”, ma la sua è la tipica difficoltà del capolavoro.
La trama è abbastanza nota. Il giovane Hans Castorp si reca al sanatorio del Berghof, sulle Alpi svizzere, per visitare il cugino Joachin Ziemssen, da tempo ricoverato perché affetto da tubercolosi. Inizialmente pensa di doversi trattenere per tre settimane, poi scoprirà di essere a sua volta malato ed il suo soggiorno in montagna si protrarrà per ben sette anni. Il romanzo ci fa vivere le vicende umane ed intellettuali del giovane Castorp, i suoi incontri, le sue esperienze, il suo graduale distacco dal modo di vivere della “pianura” e la sua graduale assimilazione al mondo del sanatorio. Quel mondo che diventa nel romanzo di Mann il punto di incontro di tutte le principali correnti del pensiero europeo nel periodo che precede la grande tragedia del primo conflitto mondiale: la scienza, lo scientismo, con incursioni nel mondo della psicanalisi e addirittura, con chiari significati simbolici, del paranormale, il progressismo democratico, il razionalismo ingenuo, la rivolta contro la ragione con i suoi inevitabili risvolti autoritari e nichilisti. In questa griglia intellettuale si svolgono le vicende umane del giovane protagonista, le sue relazioni con gli ospiti del sanatorio, il rafforzamento dell’amicizia nei confronti del cugino, ansioso di tornare “a valle” per intraprendere la carriera militare. In quell’atmosfera rarefatta il giovane Castorp si innamora perdutamente di madame Chauchat, giovane, affascinante donna che passa la vita da un sanatorio all’altro, facendo letteralmente perdere la testa a più di un uomo. Il suo è un amore fatto di sguardi, intese silenziose, parole non dette. Un amore platonico al cui fondo sta tuttavia una fortissima carica erotica. Solo dopo molto tempo, in una memorabile notte di carnevale, Castorp troverà il coraggio di rivelare i suoi sentimenti a madame Chauchat, che però proprio l’indomani deve partire. Tornerà, molto tempo dopo, accompagnata da un amante: l’incredibile, ricchissimo signor Peeperkorn, incarnazione della sensualità della vita in tutti i suoi aspetti, una sorta di Dionisio nietzchiano, di scarsa levatura intellettuale ma dotato di una enorme, invadente personalità che conquista il giovane Castorp, spegnendo in lui la ogni traccia di gelosia.

I veri protagonisti intellettuali del romanzo sono tuttavia Lodovico Settembrini e Leo Naphta.
Il massone Settembrini è un umanista pervaso di razionalismo, fede nel progresso, amore per la libertà e la democrazia. Il suo ottimismo idealistico è però tanto ingenuo da apparire a volte quasi comico. Settembrini crede in una ragione quasi onnipotente, capace di cancellare dal mondo ogni dolore e con questo tutto ciò che nel mondo esiste di oscuro, arazionale, non spiegato e non spiegabile. Vuole un mondo unificato dai valori della libertà, e pare davvero convinto che l’umanità si avvii versa una sorta di ininterrotta felicità; non a caso Castorp lo definisce fra se e se “suonatore di organetto”.
Naphta, ebreo convertito al cristianesimo, gesuita cui la malattia (e forse anche i superiori, preoccupati dai risvolti nichilisti del suo pensiero) ha interrotto la carriera, è l’antagonista di Settembrini. Naphta rappresenta la rivolta contro la ragione, detesta l’idea di progresso, è per il dogma contro il libero pensiero, l’autorità contro la democrazia. Per lui le idee di Settembrini altro non sono che ipocrisie borghesi, esaltazione dell’individuo egoistico staccato e contrapposto al collettivo di cui è parte. E’ tale l’avversione di Naphta contro qualsiasi razionalismo che nel corso delle sue discussioni con Settembrini non esista ad esaltare quanto di oscuro, corruttibile, miserabile esiste nell’uomo. Una sorta di miscuglio fra Dio e Satana, gli rimprovera Settembrini, ma la mistura non spaventa Naphta: meglio questa che l’ipocrisia borghese con la miserabile adorazione del Dio denaro ad essa collegata. In questo modo Naphta giunge ad accostarsi al comunismo e profetizza, facendo inorridire Settembrini, l’avvento di una rivoluzione comunista che spazzerà via l’insopportabile alienazione borghese e mercantile. Non c’è che dire: un gran salto profetico, di interesse anche attuale, dai tribunali della sacra inquisizione alla dittatura proletaria...
I due antagonisti vorrebbero conquistare alle loro idee il giovane Castorp che però non segue né l’uno né l’altro. Il giovane prova sentimenti di umana simpatia per Settembrini, ma comprende bene l’ingenuità di molti aspetti del suo pensiero. E’ affascinato dalla ferrea, sottile logica di Naphta, che spesso ha la meglio negli scontri dialettici col rivale, ma non lo segue nell’abisso del nichilismo, ed arriva a definirlo “terrorista”. Castorp raggiunge faticosamente un suo equilibrio intellettuale: riconosce l’importanza del male e della morte ma non ne sposa l’oscurità, piuttosto li vede come una dura via da seguire per raggiungere un autentico rinnovamento spirituale.

Sarebbe però erroneo considerare “la montagna incantata” come una sorta di panoramica del pensiero europeo nel periodo precedente la grande guerra, una sorta di grande saggio storico filosofico. No, “la montagna incantata” è innanzitutto un romanzo, una grande opera di narrativa. Un romanzo ricco di considerazioni filosofiche, carico di simbolismi, la cui grande forza sta però nella potenza narrativa, nella capacità di coinvolgere il lettore nella vita nel sanatorio, nei suoi tempi, cerimonie, frivolezze. Un grande romanzo in cui la narrazione raggiunge a volte le vette di un realismo addirittura spietato, capace di comunicare al lettore sentimenti di autentica angoscia nelle pagine dedicate alla descrizione del dolore e della morte.
la montagna incantata” può infatti essere considerato un romanzo sul tempo e sulla morte.
Sul tempo non tanto per le considerazioni profonde che su questo mistero fanno Naphta e Settembrini e, soprattutto, il giovane Castorp, che si rivela rapidamente assi diverso dal bonaccione borghese che all’inizio poteva apparire. Romanzo sul tempo, sul tempo soggettivo, non quello di Newton od Einstein, quello della quotidiana esperienza in cui ognuno di noi collega nell’istante ricordi ed aspettative. Romanzo sul tempo, dicevo, perché immerge il lettore nel tempo del sanatorio, del tutto diverso da quello della “pianura”. Il sanatorio è caratterizzato dalla lentezza del tempo. Come accadrebbe ad un viaggiatore spaziale che si muovesse a velocità vicine a quella della luce il tempo del sanatorio si dilata. Sua unità di misura sono i mesi e gli anni, non i giorni o le settimane. Ed anche quel tempo “lento” si modifica a seconda delle situazioni. Bellissima a questo proposito la narrazione di una importante esperienza del protagonista. Accortosi di non stare bene il giovane Castorp, sollecitato da una arcigna infermiera, acquista un termometro e si misura la temperatura corporea. Deve tenere il termometro sotto la lingua per sette minuti. Sette minuti, non un tempo breve, una eternità! Ed il lettore è coinvolto in questa eternità, segue il corso dei pensieri, delle sensazioni del giovane, si trova quasi magicamente immerso nel “suo” tempo.
E ancora, romanzo sulla morte; di nuovo non per le dotte considerazioni che Settembrini e Naphta fanno sull’argomento ma perché tutta la narrazione è letteralmente impastata di morte.
Bellissime a questo proposito le parti iniziali del romanzo. Raggiunto il sanatorio questo sembra a prima vista al giovane Castorp assai simile ad un albergo di lusso. Begli arredi, anche se un po kitsch, camerieri gentili, pasti pantagruelici con piatti raffinatissimi. E l’atmosfera sembra, di nuovo, quella di una località di vacanza: chiacchiere frivole, baldi giovanotti, sani all’apparenza, che corteggiano leggiadre fanciulle, belle passeggiate nello splendore delle Alpi svizzere. Ma in questo idillio si sente da subito il puzzo della morte. Mentre sta per raggiungere il sanatorio Castorp vede una slitta. “con quella portano a valle i cadaveri” lo informa il cugino. E quando per la prima volta si avvia verso la grande sala da pranzo sente un rumore, un rumore orribile, mai sentito prima. “E’ una giovane che tossisce”, lo informa di nuovo il cugino... “ne ha per poco…”. Tosse, un colpo dio tosse, ma una tosse mostruosa, un rumore quasi osceno che rivela di colpo la vera natura del posto. I ricoverati rimuovono il pensiero della morte, non parlano delle persone che non entrano più nella elegante sala da pranzo, discutono di sciocchezze, si offendono se qualcuno accenna al… brutto. Ma la morte è li, onnipresente, il suo puzzo si sente.. e lo sente anche il lettore.

La permanenza di Castorp in sanatorio durerà, lo si è detto, ben sette anni durante i quali il ggiovane perde di fatto ogni contatto col mondo “della pianura”. A riportarlo in “pianura” sarà il dramma della grande guerra. Castorp parte per andare a servire il suo paese, abbandona il tempo lento del sanatorio per immergersi nel turbinio bellico che lo travolge. Il romanzo non dice se il giovane sopravvive o meno al grande conflitto, questo tuttavia pone fine ad un’epoca, ed un’altra ne apre. Una epoca nuova e sanguinosa, che si concluderà con una nuova ed ancora più colossale mattanza, e che sembra confermare le previsioni più fosche di Leo Naphta. Un’epoca che siamo riusciti a superare, ma che, vista la situazione attuale del mondo, potrebbe ripresentarsi. Perché sempre e da sempre la civiltà è minacciata dal riemergere della barbarie.

La montagna incantata è in definitiva un grande romanzo, un autentico, assoluto capolavoro. Un libro difficile, di certo non è possibile leggerlo a letto o in treno, ma proprio per questo regala al lettore momenti di profondo piacere intellettuale. La sua difficoltà è quella dei sentieri di montagna: sono faticosi ma quante soddisfazioni regalano a chi li affronta!
Ovviamente apprezzare la grandezza di un romanzo, specie di un romanzo filosofico come “la montagna incantata”, non vuol dire condividere tutte le tesi politiche e filosofiche che in esso sembrano esporre il pensiero dell’autore. Nelle “considerazioni di un impolitico” Mann espresse a suo tempo tesi che difficilmente possono essere condivise da chi ama la democrazia occidentale. In seguito sottopose a critica le idee esposte nel saggio, difese la repubblica di Weimar contro gli attacchi del nazismo e nel 1933 abbandonò la Germania. Non rinnegò però mai del tutto le tesi esposte nelle “considerazioni” e di queste ci sono tracce nella “montagna incantata”.
Ma apprezzare un capolavoro non vuol dire, val la pena di ripeterlo, essere d’accordo con tutta la filosofia di cui è impregnato. Personalmente non concordo affatto, per fare solo un esempio, con l’antioccidentalismo di un Dostoevskij, questo non mi ha spinge a cercare di negare o sminuire il valore di un capolavoro come “i fratelli karamazov”.
Una cosa è certa: “la montagna incantata” è un libro da leggere e meditare. In un momento in cui sugli scaffali delle librerie è esposta molta spazzatura ed in cui nanerottoli letterari vengono presentati come giganti la lettura di un grande capolavoro non solo eleva lo spirito, ma costituisce un ottimo antidoto contro la superficiale volgarità che ci opprime. Non è poco, direi.


mercoledì 11 ottobre 2023

DIRITTI

 

C’è da scommetterci: ora che è in corso l’offensiva israeliana le urla dei “pacifisti” arriveranno al cielo. Da subito del resto hanno detto, più o meno, che “Israele se l’era cercata”. Di fronte ad una azione che richiama alla mente le peggiori brutalità dei nazisti hanno parlato di “terre rubate” ai palestinesi e di Gaza come grande Lager in cui questi sono costretti a vivere.
Chi conosce minimamente la storia sa benissimo che gli israeliani non hanno rubato la terra di nessuno: a suo tempo i coloni ebrei hanno comprato a caro prezzo le terre su cui si sono installati e che hanno reso fertili col loro lavoro. Quanto ai palestinesi costretti a vivere in un lager… beh… gli arabi israeliani godono di tutti i diritti civili, compreso il fondamentale diritto di culto. In Israele esiste addirittura un partito filo palestinese rappresentato in parlamento: esistono forse sinagoghe a Gaza? O un partito filo sionista è presente nel parlamento iraniano? Qualcuno finge di non saperlo, ma quando Gaza è stata consegnata ai palestinesi gli ebrei che ci vivevano sono stati costretti ad abbandonare le loro case, le sinagoghe sono state smantellate, i cadaveri portati via dai cimiteri. La presenza anche solo di un ebreo morto era insopportabile per i fondamentalisti di Hammas ed i loro sostenitori. Poi, liberatisi della diabolica presenza degli ebrei, cosa hanno fatto i fondamentalisti di Hammas ed i loro seguaci? Si sono dedicati a normali, pacifiche attività economiche? NO, hanno trasformato quel territorio in base di partenza per continui attentati terroristici contro Israele, sino all’orrore di questi ultimi giorni. Però per i “pacifisti” Israele non deve reagire, deve “rispettare” Gaza, attendere pazientemente il prossimo massacro.
Va detto una volta per tutte. Israele ha diritto di esistere, difendersi e contrattaccare.
I bambini israeliani hanno diritto di andare a scuola senza esser costretti ad interrompere le lezioni per correre in qualche rifugio.
Le donne e gli uomini israeliani hanno diritto di svolgere tranquillamente le loro attività, senza l’assillo di vedersi piombare sulla testa qualche missile.
Gli israeliani tutti hanno ha diritto ad una vita normale, come quella che vivono, più o meno, italiani, francesi, giapponesi, brasiliani...
Chi nega loro questo diritto va combattuto, senza se e senza ma.
E tanto basta.