lunedì 25 dicembre 2023

FRA FILOSOFIA E POLITICA

 Fra Filosofia e Politica: In difesa del finito

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"Fra filosofia e politici”  -   In difesa del finito

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Il sottotitolo del libro è “in difesa del finito” perché il filo rosso che lega in qualche modo gli scritti su argomenti diversi è la polemica, a volte sotterranea, altre volte esplicita contro le filosofie totalizzanti, quelle che pretendono di depurare il mondo da quanto vi è in questo di dato, arazionale. e che non a caso degenerano spesso in forme pericolose di nichilismo.

Gli scritti del libro possono idealmente dividersi in tre parti.

Nella prima si esaminano la filosofia politica con particolare riferimento ad alcuni grandi pensatori: Kant, Hegel, Marx. Si critica la tendenza all’assoluto, limitata e solo solo latente in Kant, esplicita in Hegel e Marx.
Nei vari scritti si esamina il concetto di alienazione e se ne sottolinea la potenziale pericolosità. Si tratta del materialismo storico e della presunta assoluta centralità dell’economia, si sottopongono a breve esame i legami teorici fra Rousseau e Lenin e si getta uno sguardo sui drammi storici legati alle dottrine di questi uomini.

Nella seconda si esaminano le pericolose derive nichiliste che hanno seguito il sostanziale fallimento delle filosofie della totalità. Si sottolinea in particolare che ogni riduzione del mondo ad insieme di rappresentazioni conduce o si avvicina a quello che in uno scritto chiamo “l’ospite indesiderato”: il solipsismo.
Si prendono in esame alcune possibili alternative alle derive nichiliste di parte della filosofia contemporanea: la critica di Wittgenstein al linguaggio privato, il falsificazionismo popperiano, di cui si critica tuttavia il radicale rifiuto dell’induzione, un fenomenismo che non neghi o riduca al soggetto il mondo reale.

La terza parte comprende alcuni scritti più “leggeri” su argomenti di maggiore attualità. L’Ucraina, Israele ed il suo diritto di esistere, il politicamente corretto ed il linguaggio ad esso collegato, la diffusione del pensiero di Malthus in ambienti apparentemente lontanissimi dall’economista inglese.


lunedì 18 dicembre 2023

NEGRI, CACCIARI E COLLETTI

Leggo che Massimo Cacciari ha speso parole di ammirazione culturale e politica nei confronti di Toni Negri.
Evito le facili polemiche e le frasi ad effetto, evito anche di affrontare un discorso, impossibile in questa sede, sulla filosofia di Negri ed i suoi esiti nefasti.
Mi limito a pormi una domanda: come è possibile che uomini collocati nell’area della sinistra democratica, persone che accettano la democrazia parlamentare, l’economia di mercato, la divisione dei poteri, il pluralismo economico, politico e sociale, in definitiva, i cardini del pensiero liberale, possano poi valutare positivamente il pensiero di chi si è da sempre dichiarato nemico implacabile di ogni forma di liberalismo?
Negri non è stato solo un comunista, è stato un comunista politicamente schierato nell’area dell’estrema sinistra. Lontano anni luce dal liberalismo era quasi altrettanto ostile ad ogni forma di riformismo. Vicino all’ideologia delle brigate rosse si distinse da queste solo perché giudicava non abbastanza “di massa” la loro violenza. Nessuno forse fu più detestato da lui e dai giovani di “autonomia operaia” di Luciano Lama.
E allora, come la mettiamo? Perché valutare positivamente il suo insegnamento? Qualcuno può anche ritenere che Toni Negri sia stato un “grande”, ma, se si dichiara democratico, dovrebbe sentirsi obbligato a far seguire al suo apprezzamento culturale una critica politica rigorosa delle idee di questo presunto “grande”. Invece NO. Si esalta la “grandezza” di Negri senza spendere una sola parola critica su questa presunta “grandezza”, come mai?
La risposta è semplice. Cacciari, e con lui tanti altri, sono stati per anni vicini alle posizioni di Negri, comunque critici implacabili del “capitalismo” e più in generale della filosofia liberale.
Hanno superato gli errori del passato e si atteggiano oggi a pacifici riformisti, ma non hanno mai sottoposto le loro vecchie concezioni ad un esame critico, severo e privo di reticenze. Il percorso politico di un Cacciari è in questo senso radicalmente diverso da quello di un Lucio Colletti.
Colletti è stato un marxista collocato nell’area dell’estrema sinistra. Di fronte all’estremismo nichilista largamente presente nel movimento del 68 ed ai suoi esiti terroristi Colletti, dando prova di una onestà intellettuale non comune, ha sottoposto a critica severa le sue concezioni e, al termine di un faticoso processo intellettuale, ha abbandonato il marxismo. Lo ha fatto senza reticenze: ha detto e scritto chiaramente di averlo abbandonato, soprattutto ha spiegato, di nuovo dando prova di non comune profondità di pensiero, le motivazioni teoriche e filosofiche del suo abbandono; per fare solo un esempio insuperata resta a mio modesto parere la sua critica del materialismo dialettico.
Nulla di tutto questo hanno fatto persone come Cacciari e, insieme a lui, tanti altri.
Ieri erano comunisti rivoluzionari, oggi sono riformisti democratici, quasi liberali. E si offendono se qualcuno ricorda oggi ciò che erano ieri, le filosofia si possono cambiare come la camicia. Erano nel giusto ieri, quando strizzavano l’occhio alla violenza definita "di massa", lo sono oggi, quando chiacchierano di riforme.
Per questo possono parlare con simpatia e condivisione di filosofie che ogni democratico liberale non può che sottoporre a critica severissima, se vuole essere preso sul serio.
Per loro si può essere democratici, addirittura liberali, continuando, almeno a livello teorico, ad essere un po’ leninisti, si possono apprezzare gli USA continuando a provare un pizzico di simpatia per la vecchia URSS, ed ammirando un ex alto funzionario del KGB, si può essere laici e nel contempo “comprensivi” nei confronti di Hamas.
E’ un atteggiamento che non riguarda solo Cacciari. Riguarda la parte maggioritaria della sinistra italica, purtroppo.