Senz’altro da leggere questo libro di Luca Ricolfi: “il follemente corretto”. Edizioni "La nave di Teseo".
L’autore sottopone a esame e critica severa l’ideologia politicamente corretta e l’involuzione che questa ha subito negli ultimi 10, 15 anni. Involuzione che ha trasformato il politicamente corretto classico, già molto criticabile, in quello che Ricolfi chiama “il follemente corretto”.
In cosa consiste tale involuzione? Soprattutto nell’allargamento sempre più ampio della fascia dei soggetti che il politicamente corretto vorrebbe sottoporre a tutela, nelle aggressioni sempre più radicali al linguaggio, nell’imposizione sempre più ampia di vincoli e limiti alla libertà di espressione.
L’aggressione alla lingua è, a parere di Ricolfi uno dei campi prediletti del follemente corretto. Si parte, per fare solo un esempio, negando il valore ontologico della differenza sessuale e questo porta alla pretesa di mettere al bando alcune parole, giudicate “offensive”, come padre e madre, poi si prosegue in una china che raggiunge le sublimi vette dell’assurdo. Le parole “maschio” e “femmina” vanno bandite non solo quando si riferiscono al sesso, ma anche in contesti che col sesso nulla hanno a che vedere, ad esempio quando riferite alle prese e agli spinotti elettrici. Stessa sorte capita ad altre parole, lontane dal campo sessuale. La parola “cieco” sarebbe “offensiva”, a partire da questa discutibilissima premessa si arriva a chiederne la proibizione anche in contesti che nulla hanno a che vedere con la cecità delle persone, ad esempio quando si parla di una vicolo cieco.
La prima parte del libro costituisce una autentica fenomenologia del follemente corretto, molto bella e interessante, anche se, lo confesso, è difficile leggerla senza sentirsi ribollire di indignazione.
Nella parte conclusiva l’autore esamina la nascita del politicamente e follemente corretto, gli strumenti che ne hanno agevolato la diffusione, fondamentalmente l’enorme importanza assunta dai social, e la spinta che questa ideologia malata dà alla formazione di nuove elites e al sorgere di nuove discriminazioni, esclusioni e contrasti, soprattutto quello fra strati benestanti e iper acculturati (spesso in realtà crassamente ignoranti) e gente comune. Infine, piccola fiammella di speranza, Ricolfi analizza le tare logiche del follemente corretto, i conflitti che la sua espansione provoca anche all’interno dei suoi seguaci, come quello fra le femministe classiche e teorici del sesso “fluido”, tutti fattori che possono far sperare in una inversione di tendenza.
Luca Ricolfi era ed è un uomo di sinistra, ma, come altri, si pensi a Federico Rampini, mantiene una ammirevole onestà intellettuale e lucidità di pensiero. Come uomo di sinistra è convinto che il follemente corretto nuoccia in ultima analisi alla sinistra stessa che ha ormai abbandonato i suoi referenti classici, la classe operaia e i lavoratori in generale; per far proprie le esigenze e i valori di minoranze molto spesso faziose e lontane dal sentire della quasi totalità dei ceti disagiati. Quale che sia il giudizio su queste posizioni di Luca Ricolfi il suo resta un libro importante, una pietra nello stagno del pensiero dominante su tutti i media.
Lo ripeto: decisamente da leggere