domenica 29 novembre 2015

IN DIFESA DEL NATALE




Il Natale è sotto attacco. Il preside che aveva rinviato a Gennaio inoltrato la festa di Natale per “non turbare i sentimenti degli studenti di altre religioni” (chissà quali) si è dimesso. I genitori di alcuni studenti musulmani avevano fatto sapere di non avere nulla contro le celebrazioni del Natale. Una notizia consolante che dimostra, tra l'altro, che a volte gli occidentali politicamente corretti sono più realisti del re. Ma la nostra più importante festività resta comunque nel mirino. Si cerca di sminuirne al massimo il significato, qualcuno verrebbe celebrarla in maniera “laica”, altri, eruditissimi, “scoprono” che il Natale non è sempre esistito. Un tempo, più o meno nello stesso periodo, si celebrava la festa del Sol invictus. Non potremmo ripristinarla?
Il motivo vero di questo attacco alla più importante festa dell'occidente è evidentissimo: si vuole evitare ogni attrito, reale o potenziale, vero o presunto, con i musulmani. Di solito però questa motivazione viene celata, nascosta da considerazioni di tipo “laico”. Il nostro è uno stato laico, si dice, e lo stato laico considera la fede alla stregua di un fatto privato. Ognuno celebri quindi il Natale in casa sua, privatamente, ma non pretenda che ci siano celebrazioni pubbliche di una festa cristiana. Quindi basta coi canti, le poesie, le feste scolastiche dedicate al Natale.
Tutto chiaro no? Beh... veramente non troppo. Perché, se le cose stanno così, non si vede perché mai il giorno di Natale non si debba andare regolarmente a lavorare. In nome del laicismo dovremmo tutti recarci ai posti di lavoro il 25 Dicembre, e se qualcuno proprio volesse festeggiare il “compleanno di Gesù” potrebbe sempre chiedere un giorno di ferie, che il suo capo gli concederebbe “compatibilmente con le esigenze di servizio”.
Tutti, ovviamente, si guardano bene dal fare simili proposte. Eliminiamo pure canti, inni e poesie natalizie, ma se diciamo alla gente di andare a lavorare il 25 Dicembre, scoppia un casino infernale. E così qualcuno inventa la festa dell'Inverno, o della neve, o del del Dio sole ed altre simili amenità. La laicità è salva e non si rinuncia ad un giorno, magari più di uno, di meritato riposo. Però, se il problema è quello di assicurare un giorno di riposo ai lavoratori italiani non si vede perché questo debba essere il 25 Dicembre. L'inverno, la neve ed il Dio sole si possono festeggiare anche il sei gennaio, in fondo. I tentativi di conservare le festività natalizie stravolgendone il senso dimostrano solo una spaventosa dose di ipocrisia.

Chi attacca il Natale dice di farlo in nome della laicità dello stato, ma si tratta di una evidente mistificazione. Laicità dello stato significa che non esiste una religione di stato, che lo stato riconosce a tutti la libertà religiosa e di culto, fatte salve le esigenze dell'ordine pubblico e la tutela delle libertà di tutti. Significa ancora che lo stato non discrimina i cittadini in base alla loro fede, che tutti, quale che sia il credo in cui si riconoscono, possono partecipare ai pubblici concorsi, votare o essere votati. Per non dilungarsi troppo, lo stato laico è, nella sostanza, lo stato liberal democratico, quello che riconosce e tutela tutte le libertà della persona, compresa la essenziale libertà religiosa.
Lo stato laico, lo si evince da quanto appena detto, non è uno stato neutrale rispetto ai valori, al contrario, si basa su alcuni valori forti: libertà individuale, sacralità della vita umana, democrazia, tutela del dissenso. Il pluralismo dei valori non riduce la società libera ed il suo stato a scatole vuote, ma si fonda su alcuni, pochi ma importantissimi, valori. In tutto questo non c'è nulla di paradossale, a meno di non voler definire “paradosso” le condizioni stesse di esistenza di ogni democrazia liberale.
Allo stesso modo lo stato laico non è uno stato che disconosce il valore della tradizione o che assume di fronte a questa una posizione "neutrale". Qualsiasi stato, tutte le società, si basano su qualche tradizione, sono il risultato di una storia, il punto di approdo, sempre mobile e transitorio, di movimenti sociali profondi. La nostra storia e le nostre tradizioni fanno di noi ciò che siamo, plasmano la nostra identità. Tutto questo non è per nulla sciovinistico, non rimanda ad alcuna gretta chiusura in se stessi, al contrario, fonda la possibilità stessa del confronto con gli altri. Senza il riconoscimento della propria identità il dialogo con chi ha identità diverse risulta impossibile. Un uomo privo di identità, un essere umano ridotto a contenitore vuoto, mera virtualità, non può dialogare, discutere o confrontarsi con nessuno. Allo stesso modo, una società priva di memoria storica, valori condivisi, tradizioni  pubblicamente riconosciute non ha nulla da offrire alle altre; dialogare, confrontarsi con una simile società è privo di interesse. Si dialoga e ci si confronta col diverso, ma il diverso, per essere tale, deve prima di tutto essere se stesso, avere una storia, delle tradizioni, una identità. 

Lo confesso francamente: non sono credente. In materia di fede penso di potermi definire agnostico. Questo però non mi impedisce di riconoscere l'enorme valore della religione nella nostra storia e nelle nostre tradizioni. Noi siamo ciò che siamo anche grazie alla religione cristiana. Negare un fatto tanto evidente è impossibile. Basta passeggiare per il centro di una qualsiasi città italiana od europea, visitare un museo, leggere un manuale di storia per capire fino a che punto la religione sia parte di noi. Un non credente che neghi il valore e l'importanza della religione nel forgiare la nostra identità è un po' come un non aristotelico che neghi l'importanza dell'aristotelismo nella formazione della cultura occidentale. Non occorre condividere la “metafisica” di Aristotele per vedere nello stagirita uno dei padri dell'occidente, esattamente come non occorre credere nel dogma della trinità per sentire proprie la “pietà” di Michelangelo, “l'ultima cena” di Leonardo o la “passione secondo Matteo” di Bach.
Il Natale è la festa più importante dell'occidente cristiano, è parte ineliminabile della nostra storia, delle nostre tradizioni e della nostra identità. Ed è parte della storia privata di ognuno di noi. Ricordo con commozione e nostalgia l'ansia con cui tanti anni fa, la notte della vigilia, aspettavo i doni che mi avrebbe portato Gesù bambino. Quella mia lontana ansia è diventata l'ansia dei miei figli prima, di mio nipotino poi. Per me e per moltissimi come me, credenti o non credenti, il Natale è, è sempre stato, qualcosa di totalmente diverso da un giorno di riposo o anche da una festa solo privata. E', è sempre stato, una
festa pubblica, pubblicamente riconosciuta, che si trascorre con i propri cari, un momento in cui si rinsaldano i sentimenti di amore, affetto ed amicizia con chi ci è più vicino e si rinnovano i legami di comune appartenenza che ci uniscono a tutti gli altri. Si eliminino o si annacquino tradizioni come quella del Natale e questi legami pubblici e privati inevitabilmente si allentano. Ci si ritrova, tutti, ad essere più soli, più estranei l'un l'altro; nella sostanza, più poveri, interiormente poveri.
Se fosse vero che festeggiare pubblicamente il Natale ed altre ricorrenze religiose distrugge la laicità dello stato dovremmo concludere che al mondo non esiste un solo stato laico. Se davvero la sanzione statale di alcune festività e tradizioni religiose contrastasse con la libertà individuale un paese come gli Stati Uniti d'America diverrebbe per noi un mistero. Le banconote statunitensi portano sul retro la scritta: “in god we trust”: noi confidiamo in Dio. Il presidente degli Stati Uniti giura sulla Bibbia all'inizio del suo mandato. A qualcuno tutto questo appare, forse non del tutto a torto, eccessivo. Di certo però non ha impedito agli stati Uniti di essere il paese forse più individualista dell'occidente ed al governo americano di tutelare in maniera rigorosa le libertà individuali. Semmai il riconoscersi in una comune storia, in tradizioni, anche religiose, comuni impedisce all'individualismo di degenerare in diffidenza ed estraneità generalizzate, fa si che si possa essere “rudi individualisti” e sentire nel contempo l'importanza del legame con gli altri.

Va detto chiaro e tondo: rinunciare al pubblico riconoscimento di alcune, fondamentali, tradizioni religiose è impossibile se non si vuole cadere in un assoluto nichilismo. Gli estremisti di un male interpretato laicismo lo dicano: intendono cambiare il nome di innumerevoli vie e piazze? Forse in Italia di chiese ce ne sono un po' troppe, lo ammetto. Che vogliono fare gli estremisti del laicismo? Distruggerne un po'? E vogliono cambiare il calendario? Pretendono che nei libri di storia le date non si dividano più in avanti e dopo Cristo?
E da quale evento vorrebbero, di grazia, che si iniziassero a conteggiare gli anni? Dovremmo dire che siamo nell'anno 226 perché conteggiamo gli anni a partire dal 1789, data dello scoppio della rivoluzione francese? Forse però un comunista non accetterebbe un tale punto di partenza. Per lui oggi saremmo nel 98, visto che gli anni si dovrebbero conteggiare a partire dal 1917. E, solo per capire, che dovremmo fare della Domenica, che significa Dies domini? Coloro che si impegnano in ricorrenti crociate (azz... crociate, sa molto di religione... che guaio) contro i canti di Natale ed i crocifissi nelle aule scolastiche si decidano, avanzino proposte complessive e coerenti, per favore.
In realtà, val la pena di ripeterlo, l'attacco al Natale, e non solo a quello, non ha nulla a che vedere con il laicismo e la difesa delle libertà personali. Si attacca il Natale per non urtare la suscettibilità dei numerosi musulmani che vivono nel nostro paese, tutte le altre giustificazioni sono solo ridicoli tentativi di mascheramento di questa palese verità. L'attacco al Natale, ben lungi dall'essere una difesa della laicità e delle libertà personali è, al contrario, un cedimento alle pretese, a volte reali, altre immaginarie, di chi la laicità e la libertà personale molto semplicemente le odia. Prova ne sia che gli stessi che strillano spesso e volentieri a favore della laicità si prosternano letteralmente di fronte alle più intollerabili manifestazioni di integralismo religioso.

Il più delle volte l'attacco al Natale non è diretto. Lo si è già detto: nessuno proporrebbe di andare a lavorare il 25 Dicembre. E così si cerca non di distruggere il Natale ma di snaturarlo. Il Natale va festeggiato in maniere “laica” ha detto il preside di un istituto scolastico. Incredibile! Festeggiare il Natale in maniera “laica” è come festeggiare una vittoria militare in maniera antimilitarista o una vittoria della propria squadra di calcio in maniera non calcistica. Si festeggia la vittoria nella prima guerra mondiale organizzando un dibattito sul tema: “le guerre si vincono solo non facendole”. L'Inter vince lo scudetto e questo viene festeggiato con una fiaccolata in memoria delle vittime della strada . Arriva il Natale e lo si “festeggia” cantando le canzoni di Endrigo e De Andrè e recitando le poesie di Rodari. Le canzoni di De Andrè ed Endrigo possono piacere o non piacere, ognuno le può ascoltare quando vuole a casa sua o in un teatro, quanto alle poesie di Rodari, tutti, se vogliono, sono liberi di leggersele per conto proprio. Ma anche se si trattasse delle poesie e delle canzoni più belle del mondo non hanno nulla a che vedere col Natale. Come non ha nulla a che vedere col Natale la festa di papà inverno o del Dio sole che qualcuno cerca di sostituire, più o meno surrettiziamente, alla festività cristiana. Il Natale è quella cosa lì, quella cosa inserita nella nostra storia, nelle nostre tradizioni, nella nostra vita. E' quella cosa che ci emoziona e ci coinvolge, ci fa sentire in qualche modo uniti, e per tutto questo va pubblicamente riconosciuta. Le feste sono parte di noi, non è possibile sostituirle con cose nuove, inventate o riesumate ad hoc. Forse un tempo la festa del Dio Sole coinvolgeva la plebe romana, oggi non fa pulsare d'emozione il cuore di nessuno. Personalmente non ho alcun interesse ad una simile festività e penso che nessun altro lo abbia. Gli occidentali eruditi possono fornire a tutti ponderosi volumi di coltissime dissertazioni: “sapete, un tempo si festeggiava la tal festa... solo dopo è arrivato il Natale... ”
Si può solo rispondere loro: “E allora? A noi non frega assolutamente nulla che un tempo ci sia stata, al posto del Natale, questa o quella festa. Da un sacco di secoli c'è una festa che chiama
NATALE, è parte di noi, e noi vogliamo festeggiare questa. E la vogliamo festeggiare pubblicamente per quella che è, con le sue immagini, i suoi canti, le sue cerimonie, le sue poesie. Voi non volete festeggiarla? Fate pure, nessuno vi obbliga, ma non ci rompete le palle, per favore!!!”
Ecco. Signori occidentali “buoni”, “dialoganti”, politicamente corretti, almeno a Natale fateci la grazia:
non ci rompete le palle!!!

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