Alcuni brani tratti da scritti presenti in “Fra filosofia e
politica”
Da: “La morale di Kant”
… La
possibilità di universalizzare una norma è un elemento essenziale
della morale. In assenza di questo elemento la morale degenera
inevitabilmente nel relativismo o nella stucchevole morale dei buoni
sentimenti che ne costituisce spesso l’anticamera. Ognuno ha la sua
morale perché ognuno ha la sua scala di valori. (...)
Ma l’universalizzazione non può essere fine a se stessa. In sé la
possibilità di universalizzare un imperativo non basta a renderlo
buono. Se l’imperativo “uccidetevi a vicenda” fosse
universalizzabile non sarebbe per ciò conforme alla morale. Un
imperativo è davvero morale quando ci comanda di rispettare
universalmente qualcosa che è positivo per l’uomo, che gli
consente di svilupparsi liberamente. E’ morale rispettare la vita,
la libertà, l’autonomia degli esseri umani e la norma che ci
impone di farlo non vale solo per me o per pochi altri, magari per i
miei amici ed i miei familiari. La forma universale dell’imperativo
morale vieta l’autoesenzione, non consente che qualcuno possa
riservare a se solo qualche diritto o possa ritenersi esentato
dall’obbligo di fare ciò che il dovere impone. Proprio per questo
pone dei limiti alle nostre azioni, ci impedisce di violare i diritti
degli altri e può impedircelo precisamente perché questi diritti
sono universali, (...) La forma universale che deve assumere la
norma morale è quindi essenziale, ma lo è in quando difende e
tutela universalmente cose che riguardano gli esseri umani in carne
ed ossa, persone empiricamente determinate che vivono qui ed ora nel
mondo (o che ci vivranno)….
Da “La logica di Hegel”
...Il tentativo di Hegel di
“superare” il principio di non contraddizione e con esso la
logica solo formale, la conoscenza finita e la stessa umana finitezza
hanno però un esito del tutto insoddisfacente.
In primo luogo Hegel ritiene di non dover nulla all’esperienza sensibile ma è invece enormemente debitore nei suoi confronti. Tutti i passaggi “logici” con cui Hegel tenta di “dedurre” dal puro pensiero il suo contenuto sono presi di peso dall’esperienza, dalla scienza del suo tempo o dall’esperienza storica. Hegel cerca di dare forma di divenire razionale a ciò che è e resta irrimediabilmente dato. (…)
In secondo luogo (e questa è forse la cosa più grave) il sistema di
Hegel sembra costantemente avvilupparsi su se stesso, girare a vuoto.
A si definisce tramite B e B tramite A, ma, qual è il significato
reale, comprensibile, di A e di B? B rimanda ad A, A rimanda a B, il
vero di entrambi è nella sintesi, nella totalità dinamica di questi
rimandi, ma né A, né B né la loro sintesi riescono in questo modo
a dare di se stessi un significato definito. Se non avessimo già un
qualche concetto di cosa siano A e B potrebbe questo esserci dato
dal gioco di rimandi, di affermazioni e negazioni in cui si risolve
la dialettica hegeliana? No evidentemente. Ed ancora, come può un
ente “trapassare” nell’altro, “accennare” all’altro se è
in questo “trapassare”, in questo “accennare” che l’ente
diventa ciò che è? Come può A relazionarsi con B se ciò che A
significa è il risultato della relazione con B?
(…) Il
principio di non contraddizione ci permette di relazionare gli enti
fra loro ma impedisce ad un ente di passare nell’altro, di essere
nel contempo se stesso e l’altro, l’altro e se stesso. Per
questo il principio di non contraddizione, a differenza del principio
di contraddizione, è il fondamento stesso del discorso sensato e
comprensibile...
Da “Alienazione seconda parte
Marx”
...Trasformando
in enti logici gli enti reali la dialettica impone alla storia un
corso predeterminato e totalmente illusorio, lontano anni luce dalla
scienza di cui i marxisti affermano essere sostenitori.
La
alienazione rappresenta una fase di questo processo predeterminato,
fase necessaria, destinata però ad essere superata. Uscito da se
l'uomo torna a se, recupera la sua essenza umana dopo averla perduta.
Ma proprio qui nascone le contraddizioni. Come può un ente che è
fuori di se, un ente alienato, desiderare il superamento della sua
condizione alienata? L'uomo alienato non è, val la
pena di ripeterlo, un uomo
oppresso, tenuto in catene, impossibilitato a sviluppare quanto di
meglio c'è in lui. Un uomo tenuto prigioniero può desiderare e
desidera liberarsi dalle sue catene appunto perché queste lo
opprimono in quanto ente positivo uomo.
Ci si può ribellare contro qualcosa quando questo qualcosa opprime e
limita ciò che siamo. Un uomo che vive in un abbruttente miseria
desidera un certo livello di benessere, lo schiavo vuole essere
libero, ognuno pretende il rispetto dei suoi
simili. Ma si può desiderare il benessere, la libertà, il rispetto,
proprio in quanto si è uomini.
La propria umanità è il presupposto della lotta per la propria
emancipazione. Ma l'uomo alienato non è propriamente un uomo, un
ente positivo che desidera realizzare appieno la sua positività. E'
un non uomo, un ente
negativo che, appunto perché
tale, ha desideri, aspirazioni, bisogni che appartengono per intero
al suo essere negativo. I desideri, i bisogni, le aspirazioni di un
ente negativo, alienato, non possono essere che il riflesso della sua
alienazione, non possono contenere alcun anelito alla liberazione. Se
desidero recuperare la mia essenza vuol dire che in realtà non la ho
davvero persa…
Da
“Sul materialismo storico e la presunta assoluta centralità
dell’economia”
...Si è
fatto un accenno agli eventi distruttivi. In effetti questi sorgono
spesso in ambiti che con l'economia hanno relativamente poco a che
fare. Che le guerra abbiano sempre origine economica è ormai un
luogo comune. Comodo luogo comune che serve ad assolvere, ad esempio,
ideologia e religione che invece con la guerra hanno avuto a che fare
spesso e volentieri.
Perché dovrei fare la guerra a Tizio per
impossessarmi del suo denaro e non perché lo considero un mostro che
per il solo fatto di esistere offende i miei sentimenti più
profondi? Possono convivere due stati uno dei quali considera l'altro
un ricettacolo di corruzione in grado di infettare, prima o poi, i
suoi stessi cittadini? Pensare che ci si possa ammazzare solo per
denaro è una variante dell'idea secondo cui l'unico obiettivo che
gli esseri umani perseguono è la ricerca del benessere materiale, ma
questo è, molto semplicemente, falso. Il fanatismo religioso o
ideologico, l'odio nei confronti di certe razze o certi popoli, la
convinzione assoluta che certi pseudo ideali debbano
comunque affermarsi, costi quel che
costi, son tutte cose che esistono e non riguardano solo sparuti
gruppi di intellettuali. Le fedi irrazionali, gli ideali assoluti,
gli stessi grandi filosofemi totalitari, debitamente banalizzati e
semplificati, diventano spesso luoghi comuni popolari, sentimenti
diffusi a livello di massa, esaltanti obiettivi collettivi, con le
ben note conseguenze. Si elimini la componente fideistica, ideologica
dalla storia ed eventi come la shoah, l'eliminazione del kulak in
quanto classe o il fondamentalismo islamico diventano inspiegabili.
Certo, qualcuno trova sempre qualche pozzo di petrolio o qualche
contratto commerciale che spiegherebbe tutto. Però, contratti
commerciali se ne fanno ovunque, e ovunque c'è qualche appetibile
materia prima. Non ovunque però ci sono guerre e massacri…
Da
“L’ospite indesiderato”
...Esiste una autonomia del
mondo dal soggetto? Il mondo esisteva prima che apparisse un
qualsiasi soggetto senziente? E' evidente che nella mia
esperienza io sono in costante rapporto col mondo ed il mondo è in
costante rapporto con me, ma il punto è: il mondo esiste solo nella
mia esperienza o la mia esperienza mi rivela, in piccolissima parte,
il mondo? Non appena il problema sia posto in questi termini esso
inevitabilmente si amplia. Quasi tutti i soggettivisti parlano di
soggetto ma usano poi spesso e volentieri il pronome “noi”.
Parlano delle rappresentazioni “nell'uomo” ed intendono
rappresentazioni in Tizio, Caio e Sempronio, addirittura si
riferiscono alle rappresentazioni degli animali. Ma se il mondo è
rappresentazione, se esiste solo in relazione al soggetto, a
quale soggetto è relazionato?
In chi è
rappresentazione? Basta porre la domanda per avere la risposta: gli
altri soggetti sono per me oggetti,
oggetti esterni come
le case ed i gatti; se il mondo esiste solo relazionato al soggetto
esiste relazionato a me,
è rappresentazione in me.
Tutto il resto, compresi gli altri esseri umani esistono solo come
mie rappresentazioni.
Con quale fondamento allora posso parlare di Tizio, Caio e Sempronio
come di soggetti senzienti distinti da me? Io vedo Tizio, parlo con
lui, lo sento. Ma se Tizio esiste solo come rappresentazione in me
posso ipotizzare che io sia a mia volta rappresentazione
in lui? In realtà io non ho, non ho mai avuto e non posso avere la
rappresentazione di Tizio che vede me come sua rappresentazione. Se
io posso essere rappresentazione in Tizio allora Tizio non è, non
può essere, solo rappresentazione in me, è, deve essere, almeno in
parte, autonomo da me...
Da
“Il coleottero di Wittgenstein”
...Il
linguaggio privato non distrugge solo la possibilità
di un discorso intersoggettivo, rende impossibile anche il dialogo
del soggetto con se stesso, mina l'unità dell'io pensante quindi
anche la possibilità stessa del pensiero.
“Immaginiamo”
scrive Wittgenstein sempre nelle ricerche
filosofiche,
“una tabella che esista solo nella nostra memoria, per esempio, un
vocabolario. Mediante un vocabolario possiamo giustificare la
traduzione di una parola X
con una parola Y.
Ma sarà il caso di parlare di giustificazione anche quando questa
tabella venga consultata solo nell'immaginazione? Ebbene, si tratterà
appunto di una giustificazione soggettiva. Ma la giustificazione
consiste nell'appellarsi ad un ufficio indipendente. (…)
Non
ci troviamo qui di fronte allo stesso caso? No; perché questo
procedimento deve effettivamente evocare il ricordo esatto.
Se non fosse dato controllare
l'esattezza dell'immagine mentale dell'orario ferroviario, come
potrebbe questa confermare l'esattezza del ricordo precedente?
(sarebbe come acquistare più copie dello stesso giornale per
assicurarci che le notizie in esso contenute siano vere)”. (7)
Il
soggetto di Cartesio è solo con le sue sensazioni che si trasformano
immediatamente in ricordi. Ogni controllo sulla esattezza dei ricordi
si basa sul confronto fra un ricordo e l'altro, si tratta quindi di
un controllo che non porta a nulla, non può garantire certezza
alcuna, esattamente come comprare più copie dello stesso giornale
non ci permette di verificare l'esattezza di quanto quel giornale
riporta...
Da
“Il cancro del politicamente corretto”
...Il
liberalismo democratico rende compatibili universale e particolare,
diritti dell’uomo e tutela delle sue
particolarità. L’impostazione politicamente corretta combina
invece un universalismo fasullo che nega le particolarità ed un
particolarismo di tipo tribale che nega i diritti universali. Cattivo
universale e cattivo particolare insomma e loro combinazione
nichilista. Più nello specifico l’impostazione politicamente
corretta dà importanza all’universale laddove questo non dovrebbe
avere rilevanza, da invece importanza al particolare laddove questo
non conta, non può né deve contare.
L’universalismo
democratico e liberale, ad esempio, non nega le particolarità
nazionali, anzi, il diritto delle nazioni all’autodecisione è un
tipico diritto democratico liberale. (…)
Proprio questo invece
negano i teorici politicamente corretti del migrazionismo privo di
limiti e regole. Tutti abbiamo pari dignità quindi ognuno ha il
“diritto” di stabilirsi dove vuole, indipendentemente da
qualsiasi limite, vincolo e controllo. Il mondo non deve avere
confini, nostra patria è il mondo intero. Qui un universalismo
fasullo nega una particolarità estremamente rilevante, negando in
questo modo uno dei fondamentali diritti universali dell’uomo:
quello, appunto, di riconoscersi in determinate nazioni, culture,
civiltà.
D’altro canto gli stessi “no border”
politicamente corretti rivendicano con forza la tutela delle
particolarità nazionali, etniche e culturali all’interno dei
vari stati, occidentali. Ognuno può entrare come e quando gli
pare in Italia o in Europa, ma, una volta entrato, ha il diritto di
difendere la propria particolarità anche contro e malgrado le leggi,
i regolamenti, gli usi ed i costumi dei paesi ospitanti…
Da
“Lo stato che non dovrebbe esistere”
Tutti si
indignerebbero sinceramente se qualcuno dicesse che l’Italia, o la
Francia, o l’Egitto non hanno diritto di esistere in quanto stati
indipendenti, ma le cose cambiano se qualcuno dice che Israele non ha
diritto di esistere in quanto stato. Di nessuno stato si dice oggi
che ha diritto di esistere. E’ ovvio, scontato che la Russia o
il Cile o qualsiasi altro stato abbiano diritto di esistere,
non occorre ripeterlo. Per Israele no. Nel caso di Israele il
semplice affermare il suo diritto all’esistenza scatena
discussioni, dubbi, polemiche. (...)
La maledizione di Israele
sta nella sua origine. La nascita di Israele è una macchia
indelebile, una sorta di peccato originale (...) più radicali non si
fanno troppi scrupoli: Israele è nato dalla cacciata dei palestinesi
dalle loro terre, dicono, quelle terre devono essere ridate ai
palestinesi, punto e basta. (...)
Chi ragiona in modo simile (e sono in tanti a farlo, anche nel
democratico e laico occidente) commette, in primo luogo, un
fondamentale errore di principio e, in secondo luogo, dimostra di
ignorare la storia. L’errore di principio è abbastanza evidente.
TUTTI i popoli di TUTTI gli stati del mondo occupano oggi
terre che cinquanta, o cento o mille anni fa erano di altri popoli.
La nascita di TUTTI gli stati è stata caratterizzata da
violenze. (...) Se si dovesse contestare il diritto ad esistere di
tutti gli stati la cui origine è stata caratterizzata da qualche
violenza nessuno stato avrebbe oggi diritto di esistere.
(...)
Se proprio si volesse andare indietro nel
tempo per stabilire chi abbia oggi il diritto di vivere in
"Palestina" si dovrebbe concludere che gli ebrei e solo
loro hanno questo diritto. Un tempo infatti gli ebrei
vivevano nella terra che oggi alcuni chiamano "Palestina" e
in quella terra non vivevano i "palestinesi" (...
I primi coloni ebrei in Palestina si
impossessarono della terra che intendevano colonizzare in maniera
assai poco violenta: comprandola dai palestinesi. La compra
vendita di terra proseguì per molto tempo, malgrado le pressioni di
chi guardava con ostilità i nuovi venuti...
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