La commissione europea ha valutato in 120 miliardi di euro annui il “costo” della corruzione in Europa, e in 60 miliardi quello in Italia. Le cifre non sono comparabili perché ottenute seguendo diversi criteri, hanno affermato gli euroburocrati, senza tuttavia esplicitare di che criteri si tratti. Questo è già un primo, grosso, limite. Come si è arrivati a cifre simili? Sorge il sospetto che queste possano essere gonfiate, o sgonfiate, semplicemente introducendo, o non introducendo, nei codici dei vari paesi nuove tipologie di reato. Basta che un codice penale dichiari reato una attività fino a ieri lecita ed ecco che il "costo" della corruzione subisce una impennata. Però, è chiaro che un questo caso siamo di fronte ad puro effetto statistico. Il costo globale delle attività corruttive è sempre lo stesso, solo, da un certo momento in poi vengono dichiarate "corruttive" attività in precedenza considerate perfettamente legali. Un po' come quando si dice che i casi di ubriachezza sono in continuo aumento perché la legge ha stabilito che chi beve mezzo bicchiere di vino è, per definizione, "ubriaco". Non intendo negare che il peso della corruzione in Italia sia molto elevato, ma sarebbe bene che ci fosse maggior rigore e maggior precisione quando si sparano cifre francamente impressionanti.
Quali che siano stati i criteri con cui sono state estrapolate, è chiaro infatti che simili cifre sono destinate ad avere sulla pubblica opinione un impatto molto pesante. Sessanta miliardi di euro annui sono un sacco di soldi, e si tratterebbe di soldi “sottratti” all'economia. Ecco la causa della crisi si diranno in molti. Si “recuperino” quei 60 miliardi ed avremo sviluppo, lavoro, occupazione. E, come recuperarli? Con leggi più severe, maggiori controlli, più potere ai magistrati. Come nel caso della peste di Milano magistralmente descritta dal Manzoni, la soluzione è lì, a portata di mano. Si sbattano in galera i “nuovi untori”, i corrotti, e tutto sarà risolto.
Ma, anche prendendo per buone le cifre fornite dalla commissione europea, le cose stanno davvero così? E' molto, molto dubbio. Negli ultimi venti anni la lotta alla corruzione si è di certo intensificata, la magistratura ha visto aumentare, e di molto, il suo potere, sono state fatte nuove leggi, inasprite le pene, il segreto bancario è stato di fatto abolito. Eppure la corruzione è cresciuta in maniera esponenziale. Malgrado gli strilli, le urla, la riduzione progressiva delle garanzie a difesa degli imputati, i processi condotti con criteri quanto meno “discutibili”, la corruzione dilaga, dicono. Esattamente come i linciaggi degli untori non fermavano la peste, il dilagante giustizialismo forcaiolo può poco contro la corruzione. E' la commissione europea a dircelo, proprio nello stesso momento in cui propone più controlli, meno garanzie, più potere ai magistrati.
La commissione europea non lo dice, ma una delle cause della corruzione va cercata nell'incredibile aumento del peso della politica nella vita sociale ed economica dei vari paesi europei, a partire dall'Italia.
Il sistema economico non solo è soggetto ad una pressione fiscale folle, ma deve subire il peso di una folle regolamentazione. La vita economica è letteralmente bloccata da leggi, leggine, normative molto spesso assurde; per tutto occorre chiedere un permesso, una autorizzazione, e permessi ed autorizzazioni spesso tardano ad arrivare, perché negli uffici pubblici l'efficienza e la produttività non sono sempre di casa. La causa prima del peso esagerato della corruzione sta precisamente in questa situazione, a cui ha contribuito moltissimo proprio la commissione europea. In 170.000 (CENTOSETTANTAMILA) pagine fitte fitte, e che aumentano tutti i giorni, da Bruxelles si pretende di stabilire tutto: dal diametro della pizza ai criteri con cui “collaudare” gli stivali di gomma, dalla temperatura del caffè espresso alla portata degli sciacquoni.
Non occorre una grande mente per capire che dove tutto è regolamentato e deciso a livello politico la corruzione prospera. Se la mia possibilità di lavorare è legata alla decisione di un piccolo, o di un grande, burocrate la tentazione di “ungere le ruote” diventerà spesso irresistibile, anzi, a volte “ungere la ruote” sarà l'unico mezzo per poter lavorare, non essere costretto a chiudere.
I famosi 60 miliardi annui che sarebbero il prezzo della corruzione sono sottratti all'economia, agli investimenti produttivi, si dice, ma, stanno davvero sempre così le cose?
In certi casi si, ovviamente. Se una gara di appalto viene falsata da qualche mazzetta elargita a politici compiacenti e un certo lavoro viene assegnato ad una ditta che offre condizioni meno vantaggiose, siamo di fronte ad un danno rilevante per l'economia: la corruzione colpisce in questo caso l'efficienza e la produttività.
Ma ci sono, o possono esserci, casi diversi. Esaminiamo qualche altro esempio.
Tizio, imprenditore, ha bisogno di una autorizzazione per poter iniziare un lavoro. Si reca al competente ufficio comunale e gli viene detto che per quella autorizzazione occorrono tre mesi. Occorrono tre mesi non perché qualcuno ritarda consapevolmente la pratica di Tizio, ma perché quelli sono i tempi di quell'ufficio. Per Tizio un ritardo di tre mesi vuol dire una perdita molto forte, quindi, che fa? Paga una mazzetta ed in una settimana ha l'agognata autorizzazione. In questo caso il problema non è tanto la mazzetta quanto l'inefficienza e la scarsa produttività del pubblico ufficio. La mazzetta semmai ha costituito un vantaggio per la attività economica: ha snellito una procedura ed accelerato l'inizio di un lavoro importante.
Caio è titolare di una piccola officina meccanica. Subisce un controllo dal quale emerge che questa non è conforme alle normative europee: il tetto è più basso di tre centimetri rispetto a quanto indicato dagli euroburocrati. Caio deve mettersi a norma, ma non è in grado di farlo. Chiede al funzionario dell'ispettorato del lavoro di chiudere un occhio, e gli allunga una mazzetta. In questo caso il problema vero è costituito dalla iper regolamentazione cui è sottoposta l'attività produttiva. La mazzetta semmai, evitando il fallimento di Caio, ha svolto una funzione economica positiva.
Sempronio è titolare di un bar. La guardia di finanza rileva che spesso non batte gli scontrini fiscali. Sempronio è evasore, lo aspetta una multa che gli taglierà le gambe, forse lo porterò al fallimento. Sempronio paga un ufficiale della guardia di finanza e salva la situazione. In questo caso il problema è il carico fiscale eccessivo. La mazzetta, permettendo a Sempronio di superare una situazione complicatissima, ha avuto, di nuovo, una funzione economica positiva.
Il partito X riceve denaro pubblico che deve servire a finanziare la sua attività politica. Il tesoriere ed i dirigenti di questo partito però spendono gran parte di quel denaro in privati bagordi. Si tratta una azione riprovevole dal punto di vista etico, ma priva di conseguenze negative dal punto di vista economico. Il denaro pubblico regalato al partito era comunque sottratto agli investimenti ed alla produzione; dal punto di vista economico che sia stato speso in propaganda o in bagordi non cambia minimamente le cose.
Con questo non è assolutamente mia intenzione difendere la corruzione. Quello che voglio dire è che la corruzione costituisce solo una faccia, una delle tante, di un sistema elefantiaco, burocratico, invasivo ed inefficiente. Si riduca la pressione fiscale, si semplifichi la pubblica amministrazione, la si renda davvero efficiente, si riducano drasticamente le norme mantenendo solo quelle davvero indispensabili al buon funzionamento dell'economia e la corruzione è destinata a diminuire, e di molto.
La strada indicata dai burocrati della UE, e destinata a trovare entusiastiche adesioni fra gli italici forcaioli, è invece diametralmente opposta: più regole, più controlli, più potere ai magistrati, meno garanzie a tutela delle libertà dei cittadini. Cosi sulle deboli spalle di economie sempre più in crisi continueranno a gravare il peso di una pressione fiscale esagerata, di normative spesso demenziali, della corruzione, e a queste si aggiungerà il peso di inchieste giudiziarie spesso scarsamente fondate e quasi sempre, in Italia almeno, di secolare lunghezza. Tanto per parlare chiaro, perché non si calcola, ogni tanto, il peso economico della cattiva giustizia? Quanti sono i lavori fermi in seguito ad inchieste di cui non si intravede mai la fine? Quante le attività interrotte, i milioni di euro gettati al vento, le energie sprecate? Sarebbe interessante riuscire ad appurarlo.
Ma non riusciremo mai a saperlo, probabilmente. Sono in troppi oggi, in Italia e non solo, ad essere interessati a che si diffonda sempre più una mentalità da “dagli all'untore!”.
Tutti strillano “dagli all'untore!”, sia i demagoghi ignoranti che molti raffinati euroburocrati. I primi fanno del giustizialismo forcaiolo la base del loro successo politico, i secondi possono, accusando i moderni untori, stendere un pesante velo di omertà sulle malefatte della loro politica. L'euro, le politiche di austerità, la smania programmatoria della UE sono innocenti, colpevoli di tutto sono solo gli evasori ed i corrotti.
La caccia all'untore non permise di sconfiggere la peste, quella all'evasore corrotto, presentato come la causa di tutti i mali, non permetterà di uscire dalla crisi, di questo possiamo star certi. Aggiungerà solo danno ai danni, soprattutto, renderà noi tutti un po', o forse molto meno, liberi. Purtroppo.
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