domenica 28 dicembre 2014

LA BONTA' PELOSA, E ZUCCHEROSA

L'occidente di oggi è letteralmente sommerso da una densa, zuccherosa melassa. Un sentimento tanto diffuso e reclamizzato quanto insincero: la bontà. Non la bontà vera, quel sentimento che ci porta a condividere le altrui sofferenze. Una bontà “alla moda” che ha poco a che vedere con l'umana solidarietà verso chi soffre, e che anzi spesso si accoppia con la totale indifferenza nei confronti delle sventure autentiche. E' la bontà che spinge molti occidentali a solidarizzare non con le vittime di mostruose violenze ma con i loro carnefici, che provoca scoppi di indignazione a senso unico, e rende molti “buoni” sordi ciechi e muti di fronte a drammi di immani dimensioni.
Questa “bontà”, che sarebbe meglio chiamare “buonismo” se il termine non fosse un po' troppo abusato, può essere definita come la pretesa che tutti i problemi del mondo possano essere risolti con il dialogo, la reciproca comprensione, la migliore conoscenza di chi è “diverso” da noi. Conoscere, amare, dialogare sono le tre parole magiche. Si abbandonino i pregiudizi, si guardi dritto negli occhi chi erroneamente riteniamo nemico ed i problemi saranno risolti.
Una simile convinzione si basa, non può non basarsi, su una precisa concezione del mondo. Per i sostenitori del “dialogo” sempre e comunque il mondo sarebbe sostanzialmente buono ed armonioso. Se così non fosse la pretesa di risolvere ogni problema con l'amore e la reciproca comprensione sarebbe priva di ogni fondamento. Se il malvagio fosse davvero tale dialogare con lui sarebbe fatica sprecata, e adottare il suo punto di vista renderebbe malvagi anche noi. Così si stabilisce che il malvagio altro non è che un apparente malvagio, un diverso che noi, nella nostra arroganza, giudichiamo malvagio.

Bastano le telegrafiche considerazioni che abbiamo appena fatto a mettere in luce il carattere aporetico della bontà “buonista”. Una simile “bontà” predica di continuo il dialogo e l'amore ma resta del tutto indifferente di fronte allo spettacolo raccapricciante delle vittime di coloro con i quali si pretende di dialogare.
Inoltre, la visione di un mondo buono ed armonioso, una sorta di enorme palla di zucchero filato, non solo fa a pugni con la realtà empirica, ma contrasta radicalmente con gli stessi presupposti da cui partono i teorici del “dialogo”. Si, perché se davvero il mondo fosse tanto dolce come ce lo presentano i “buoni” non si capisce perché ci sarebbero tanti problemi da risolvere, col “dialogo”, ovviamente. Se c'è tanto bisogno di “amore”, “comprensione” e “dialogo” vuol dire che il mondo tanto armonioso e traboccante di amore in fondo non è.
Tutta la mielosa bontà che ci viene versata addosso dai media ad ogni ora del giorno e della notte si basa in fondo su un trucchetto da illusionista: la sostituzione del mondo reale con l'immagine ideologica del mondo. Nel mondo reale esistono la violenza e le guerre, l'odio ed il fanatismo. Nella immagine ideologica del mondo tutto questo scompare. L'odio e la violenza fanatica si dissolvono ed al loro posto resta la melassa leggermente soffocante dei buoni sentimenti.
Però anche dopo che il mondo reale è stato sostituito con la sua immagine ideologica i problemi restano, del tutto immutati. Anche i “buoni” devono prendere atto che non tutto va nel migliore dei modi, sul pianeta terra, è la loro stessa martellante propaganda dei buoni sentimenti a dimostrarlo.
E così, per cercare di spiegare l'inquietante presenza di un male che resiste a tutti i tentativi di rimozione, il “buono” compie un secondo giochetto di prestigio: dopo aver sostituito al mondo la sua immagine ideologica addebita i mali che pure nel mondo restano, all'occidente. Il male autentico consisterebbe nella boria occidentale, nel pervicace rifiuto di “comprendere il diverso”. Fanatismo ideologico e religioso, totalitarismo, condizione servile della donna, teocrazie fondamentaliste, tutto scompare, meglio, tutto diventa colpa dei viziosi occidentali asserviti al “Dio denaro”. In molte parti del mondo le adultere vengono lapidate o frustate a morte, gli apostati decapitati, i cristiani crocifissi, gli oppositori politici rinchiusi nei lagher? La colpa è di chi non lapida e non crocifigge, e neppure sbatte in galera gli oppositori politici. La colpa è nostra, nostra che non aiutiamo abbastanza i popoli dei paesi poveri, che a volte tanto poveri poi non sono, che non rispettiamo i loro costumi e la loro cultura, costumi e cultura che spesso prevedono, appunto, fustigazioni e lapidazioni, decapitazioni e crocifissioni.
La cosa curiosa è che nel loro entusiasmo tanti presunti buoni non si rendono conto di quanto sottilmente razziste siano le loro concezioni. L'occidente sarebbe il responsabile degli altrui crimini esattamente come i genitori di un bambino un po' difficile sono responsabili delle monellerie del figlio. Solo per noi valgono i concetti di libera scelta e responsabilità personale. Gli altri sono una sorta di minorati mentali incapaci di intendere e di volere. Noi abbiamo la responsabilità delle loro azioni malvagie, loro non hanno colpe, come non hanno colpe, né meriti, i ragni o i topi (nessuno però pretende di “dialogare” con topi e ragni). Gratta un po' il buono e viene fuori il razzista, un razzista di tipo nuovo, particolarmente stupido, che ci invita a dialogare con chi viene amorevolmente collocato fuori dalla dimensione etica.

Come tutti i sentimenti assolutizzati la bontà mielosa e pelosa oggi di moda in occidente non può ovviamente, essere generalizzata. Il “buono” propaganda un amore universale, ma basta parlare pochi minuti con lui per rendersi conto che sono in molti ad essere esclusi da questo suo zuccheroso amore. Il “buono” ama tutti, ma non ama chi, ad esempio, nega che la colpa di tutti i mali del mendo sia di noi occidentali, ed ama ancora meno chi si permette di incolpare di qualcosa i nostri “fratelli” mussulmani; addirittura odia, il nostro “buono”, coloro che ritengono che si debba rispondere con la forza ai crimini di chi uccide in nome di Dio. Appena ha a che fare con simili personaggi il nostro “buono” diventa subito cattivello. Abbandona i toni angelici, il mite sorriso scompare dal suo volto, la voce gli diventa stridula ed alte urla escono dalla sua angelica gola. Il “buono” politicamente corretto dialoga coi carnefici senza troppo badare alle loro vittime, ama i diversi ma detesta chi non confonde la sua soffocante melassa con la vera bontà. Il “buono” non ama tutto e tutti, prova antipatie, oltre che simpatie, arriva ad odiare, a volte, alcuni esseri umani.
Il “buono” politicamente corretto non è diverso in fondo dagli altri uomini: ama a volte e a volte non ama, può addirittura detestare qualcuno, come accade a tutti qualche volta, nel corso della vita.

Diversamente dagli altri esseri umani però il buono politicamente corretto ama o detesta, o addirittura odia gli esseri umani non per come questi realmente sono, ma per come appaiono nella caricatura ideologica che egli si è fatto di loro.
Dietro alla classe o al ceto sociale, alla cultura, alla civiltà c'è, sempre l'uomo. Ed è doveroso criticare l'azione di certi gruppi sociali, o le caratteristiche di certe culture e certe civiltà precisamente perché offendono e degradano l'uomo. La persona davvero buona tiene ferme le differenze fra esseri umani e gruppi sociali. Può ad esempio detestare l'Islam ma prova una profonda umana vicinanza per una adultera di sincera fede mussulmana condannata alla lapidazione. Avversa l'Islam non perché oppone a questa religione un opposto fondamentalismo, ma perché pratiche come la lapidazione sono quanto di più radicalmente disumano si possa immaginare. I “buoni” politicamente corretti invece prima riducono l'uomo alla funzione sociale: non esiste l'uomo, esistono le classi, o le culture, o le civiltà e se sei membro di una classe o di una civiltà “condannata dalla storia” non sei, mai, innocente, sei colpevole dei crimini, veri o presunti, della tua classe o della tua civiltà. Una volta compiuta questa inaccettabile equiparazione i “buoni” politicamente corretti si affrettano a trasformare in caricature quegli stessi soggetti collettivi che hanno posto a fondamento della storia, escludendo da questa gli autentici esseri umani. La borghesia ad esempio è trasformata in una classe di sanguisughe, un manipolo si sfruttatori che mira solo ad opprimere gli operai. Se Tizio è imprenditore cessa per ciò stesso di essere un uomo, è solo un imprenditore, poi cessa anche di essere imprenditore per diventare “padrone”, ed il padrone, si sa, è un vampiro assetato di sangue operaio. Prima l'uomo scompare nel gruppo sociale, poi il gruppo diventa la caricatura di se stesso e può essere oggetto del più veemente odio che si possa immaginare.
Una sorte opposta tocca, ovviamente, ad individui e gruppi che i “buoni” politicamente corretti ritengono degni di amore e rispetto. Il terrorismo islamista ad esempio non riguarda gruppi, non ha alle spalle modi di pensare ed agire, culture, è solo la risultante dell'azione individuale di pochi squilibrati. La stessa “bontà” che in certi casi assimila senza riserve il singolo al gruppo dissolve ora qualsiasi legame di gruppo. E se, malgrado tutto, il gruppo resta, viene ridotto a caricatura, ma non più caricatura malvagia, caricatura “buona”. L'Islam viene trasformato in una “religione di pace”, aperta, laica, tollerante, cosa facile, tutto sommato, dopo che tutti i suoi aspetti, diciamo così, “discutibili” sono stati definiti “azioni di singoli squilibrati”. L'imprenditore è per definizione un vampiro, l'islamico è, sempre per definizione, un uomo aperto, laico e tollerante. E la realtà? Ma suvvia, lo sanno tutti che la realtà non esiste. Non esistono fatti, solo interpretazioni.

Non deve stupire che la bontà zuccherosa e pelosa che opprime oggi l'occidente detesti il principio di realtà. Il rifiuto di questo fondamentale principio ha origini antiche. Senza andare troppo indietro nel tempo ci si può fermare alla scuola di Francoforte ed alla critica del pensiero scientifico che la ha caratterizzata. Disincanto e matematizzazione del mondo, fisica moderna, leggi scientifiche... pura risultante della alienazione prodotta dal sistema capitalistico, meglio ancora, come specificherà Marcuse, dalla società industriale avanzata, simbolo di progresso tecnico. L'oggettività del mondo non esiste se non come oggettività opprimente imposta all'uomo da un sistema disumano. Fatte tutte le distinzioni (che non sono distinzioni da poco) i “buoni” di oggi proseguono su questa strada. Sostituiscono al mondo ciò che loro pensano del mondo, costruiscono dei fantocci polemici da odiare e degli zuccherosi pupazzi di peluche da amare. Eliminano dal mondo fanatismo, irrazionalità, odi religiosi e li sostituiscono con onnipotenti multinazionali, finanzieri ebraici, agenti di CIA e Mossad. Riducono a trascurabili dettagli fustigazioni e lapidazioni, sgozzamenti e crocifissioni ed incolpano di questi dettagli il corrotto occidente. Quanto al terrorismo, si tratterebbe di una naturale reazione all'arroganza sionista ed occidentale, messa in atto con rudimentali “armi giocattolo”. E i principali, grandi attentati terroristi? Quelli sono, è ovvio, la risultante di diabolici complotti di americani ed israeliani.
Una volta trasformato in questo modo il mondo il nostro “buono” può ricoprirlo col suo amore smisurato, e deturparlo col suo altrettanto smisurato odio.
Non bisogna farsi ingannare dalle parole, e meno ancora dalla zuccherosa melassa che lo circonda: nessuno è tanto malvagio quanto il buono politicamente corretto. E' un “buono” molto strano, capace solo di amare chi odia, e di odiare il resto del genere umano. La pura negazione della bontà.

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