domenica 10 maggio 2015

ISRAELE E LE RISOLUZIONI ONU

I giardini di Tizio e di Caio confinano. Quello di Tizio è piccolo ma tenuto benissimo, quello di Caio invece è grande, ma lasciato in gran parte nel più totale abbandono.
Dal suo giardino pieno di ortiche Caio lancia di continuo sassi nel giardino di Tizio. A volte, nottetempo, scavalca le recinzioni, distrugge fiori ed aiuole, poi scappa e torna sul suo territorio.
Un bel giorno Tizio perde la pazienza ed invita Caio a smetterla. Fra i due nasce una lite, vengono alle mani, Tizio ha la meglio.
“Ora farò in modo che aggredirmi ti sia molto difficile” dice Tizio a Caio, e mette in atto quanto promesso. Occupa una parte del giardino di Caio e costruisce un muro molto alto per separarlo dalle restanti proprietà del suo rissoso vicino. “Ora le tue pietre non potranno raggiungere tanto facilmente i miei fiori”, afferma, “ed anche scavalcare la recinzione ti sarà molto difficile”.
I vicini dei due però protestano, si rivolgono ad un giudice. Questi esamina quanto accaduto ed alla fine decide che:
1) Tizio deve restituire a Caio la parte di giardino occupata.
2) Caio la deve smettere di lanciar sassi e compiere incursioni notturne nel giardino di Tizio.
Caio però non la smette neppure per un giorno con le sue aggressioni. Si procura una fionda e continua a bombardare la proprietà di Tizio. Non solo, dichiara a gran voce che non riconosce a Tizio il diritto di avere un suo giardino. “Le terre su cui sorge il giardino di Tizio un tempo appartenevano alla mia famiglia”, afferma, “e devono tornare ad esserlo, fino al giorno del giudizio”.
“Io quelle terre le ho regolarmente acquistate dai tuoi nonni e l'atto di acquisto è stato riconosciuto valido da tutti i giudici” replica Tizio, “comunque, se tu continui con le aggressioni io non abbandono la parte di giardino che ho occupato, anzi, visto che non mi piace lasciarla piena di ortiche, comincio a farci dei lavori”.
Tizio si comporta di conseguenza. Non abbandona il giardino occupato e compie in esso dei notevoli lavori di miglioria. Tuttavia ribadisce di esser pronto a restituire quel terreno a Caio, se questi rinuncerà alle aggressioni e riconoscerà il suo diritto alla proprietà. Non solo, un bel giorno, per cercare di farla finita con i continui litigi, restituisce una parte del giardino occupato. Caio però trasforma la terra che gli è stata restituita in una base da cui lanciare di continuo pietre sui fiori di Tizio, questi risponde per le rime e gli scontri fra i due non accennano a finire.
I vicini sono indignati con Tizio. “Ma come, il giudice gli ha imposto di restituire il territorio abusivamente occupato e lui non lo fa”, esclamano. “Tizio cerca di apparire rispettoso della legge ma è il primo a non applicarla! Non rispetta le decisioni delle corti di giustizia! E' un bandito, un pirata, un fuorilegge! BOICOTTIAMOLO!!!”

La storiella cerca di ritrarre, così, alla buona, la situazione dello stato di Israele nei suoi rapporti con i palestinesi e gli stati Arabi. “Israele non rispetta le risoluzioni dell'ONU” dicono questi, e tale accusa è ormai diventata un luogo comune. La ripetono, con incessante monotonia, sia gli implacabili nemici di Israele che i suoi “amici critici”. Strani amici che nelle loro “critiche amichevoli” ripetono più o meno le stesse cose che dicono coloro che Israele vorrebbero cancellarlo dalla faccia della terra. Lo diceva il dottor Joseph Goebbels: se si ripete continuamente una menzogna molti alla fine ci credono; questo è accaduto alla storiella su Israele che non rispetta le risoluzione ONU. In molti ci credono, anche fra coloro che non amano Hammas né il fondamentalismo islamico. Ma, stanno davvero così le cose? Davvero è Israele, e solo lui, a non rispettare le risoluzioni ONU? Per verificarlo esaminiamo la risoluzione che più di tutte israele è accusato di non aver rispettato: la 242 approvata il 22 novembre 1967 dal consiglio di sicurezza delle nazioni unite. La data è importante: questa risoluzione venne approvata al termine della famosa guerra dei sei giorni, quella in cui Israele sconfisse in brevissimo tempo una forte coalizione di stati arabi, capitanati dall'Egitto di Nasser, che non facevano mistero delle loro intenzioni: distruggere lo stato di Israele, punto e basta.
La famosa risoluzione dice:

“Il Consiglio di Sicurezza,
(…) Sottolineando che l’acquisizione dei territori con la guerra è inammissibile e che è necessario operare per una pace giusta e duratura, che consenta ad ogni stato della regione di vivere in sicurezza (…)
Afferma che il compimento dei principi della Carta esige l’instaurazione di una pace giusta e durevole nel Medio Oriente, che dovrebbe comprendere l’applicazione dei due seguenti principi:
a) Ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel recente conflitto;
b) Fine di tutte le pretese e di tutte le situazioni di belligeranza e rispetto e riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni stato della regione e del loro diritto di vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, al riparo da minacce ed atti di forza; ….”

C'è innanzitutto da fare una precisazione formale sul punto a). La traduzione italiana riportata parla di “ritiro dai territori occupati”, l'originale inglese però mette la preposizione from che, a voler essere precisi, si traduce con da. Quindi, non di ritiro dai territori occupati si dovrebbe parlare ma di ritiro da territori occupati. La differenza è rilevante: nel primo caso Israele si sarebbe dovuto ritirare da tutti i territori, nel secondo da alcuni, ed in effetti anni dopo Israele si sarebbe ritirato dal Sinai e dalla striscia di Gaza. Questi sono cavilli, è vero, ma val la pena di ricordarli visto che i filo palestinesi sono spesso molto cavillosi, quando c'è di mezzo Israele. Il punto davvero importante tuttavia è un altro: è vero che il consiglio di sicurezza chiede il ritiro dai (o da) territori occupati, ma chiede anche il “rispetto e riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni stato della regione”. Insomma: Israele si deve ritirare ma gli arabi lo devono riconoscere e rispettare, devono cioè rinunciare al loro obiettivo storico: cancellare lo stato ebraico dalla faccia della terra. Ora è precisamente questo riconoscimento e questo rispetto che sono mancati, sempre. Per i suoi critici, magari “amichevoli”, Israele deve rinunciare ai territori conquistati al termine di una guerra in cui ha sconfitto chi lo voleva distruggere, ma gli altri, gli arabi, i palestinesi, possono non riconoscerlo, possono continuare a parlare di “entità sionista”, possono bombardarlo con “bombe giocattolo” e piacevolezze di questo genere. Un po' quanto accade ai due protagonisti della storiella: Tizio deve rendere a Caio la parte di giardino occupata, ma Caio può continuare a lanciar sassi contro giardino di Tizio. Tutto molto giusto, molto “legale”.
In realtà la più importante risoluzione ONU da sempre clamorosamente violata è la
181 del 29 novembre 1947, quella sulla divisione della Palestina che dava vita a due stati: uno ebraico, lo stato di Israele, e l'altro arabo. La famosa formula: “due popoli due stati” sarebbe realtà da quasi 68 anni se gli arabi avessero accettato la risoluzione 181. Così non è stato. Un minuto dopo la sua approvazione gli arabi hanno aggredito il neonato stato ebraico ed è scoppiata una guerra che non è ancora finita. Altro che “Israele che non accetta le risoluzioni ONU”, sono gli arabi ed i palestinesi a non accettarle, da 68 anni.

Israele è uno stato grande, più o meno, quanto la Lombardia, popolato da sette – otto milioni di abitanti, sorge su un terreno desertico e privo di ricchezze naturali, ed è circondato da grandi stati con popolazioni spesso fanatizzate che sognano solo di distruggerlo. Nel corso della sua storia Israele non ha praticamente mai conosciuto una vera pace, né la conosce oggi. E' ovvio che uno stato che vive in una costante situazione di guerra cerchi di ingrandirsi e di dotarsi di confini più sicuri. Ed è anche inevitabile che se uno stato conquista dei territori prima o poi alcuni dei suoi cittadini ci vanno ad abitare, in quei territori. Pensare che il problema dei territori possa essere risolto semplicemente tornando ai confini del 1948 significa ignorare 68 anni di guerre e non capire, non
VOLERE capire, che:
1) quei confini sarebbero oggi indifendibili dagli israeliani.
2) La situazione sociale di alcuni territori è cambiata rispetto al 1948.
Tutto questo non precluderebbe la restituzione di gran parte dei territori occupati e la nascita di uno stato palestinese se i palestinesi accettassero di vivere
accanto e non al posto di Israele e se non considerassero offensiva la sola presenza di insediamenti israeliani nei loro territori.
Quali diritti civili e politici dovrebbero avere i cittadini ebrei di un futuro stato palestinese? Questo è un quesito politico di importanza decisiva che molti fra i critici di israele fingono di dimenticare. Per loro Israele dovrebbe restituire  i territori e gli israeliani che li abitano dovrebbero semplicemente abbandonarli, come è avvenuto per Gaza. Questo però è non solo assai poco “umanitario”, ma del tutto irrealistico. Molti arabi vivono oggi in Israele, godono dei fondamentali diritti civili e politici, possono pregare in una delle circa 200 moschee che esistono nello stato ebraico, votano ed hanno una loro rappresentanza in parlamento. Qualcuno deve spiegare perché mai invece dei cittadini ebrei non potrebbero vivere e godere dei fondamentali diritti, ed avere propri luoghi di culto, in uno stato palestinese. Di nuovo ci troviamo di fronte ad esempio di doppia morale: la minima violazione dei diritti dei palestinesi da parte di Israele viene additata come prova del carattere “razzista” di questo stato. Invece appare normale che a Gaza chiunque sia, o si ritiene sia, amico di Israele venga considerato una “spia” e linciato, o fucilato al termine di processi farsa. Piaccia o non piaccia la cosa, è molto difficile che su queste basi gli israeliani possano accettare la nascita di uno stato palestinese. E' difficile dar loro torto.

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