giovedì 21 maggio 2015

VOGLIAMO DIRCELA TUTTA?




Vogliamo dircela tutta? Fare un attentato è facile. Non un attentato alla vita del capo dello stato o del presidente del consiglio, un attentato che miri a distruggere vite umane a casaccio. Un giovanotto si procura una mitraglietta, cosa non difficile, visto che esiste il mercato clandestino delle armi, malgrado i moniti di papa Francesco; poi entra in un centro commerciale, simbolo del consumismo vizioso, e comincia a sparare sulla gente. Il gioco è fatto. Un bel po' di consumisti infedeli muoiono, e ben gli sta. Se il giovanotto è fanatico al punto giusto può sostituire la mitraglietta col giubbotto al tritolo, il risultato non cambia. Se in Italia si avesse la buona abitudine di chiamare le cose col loro nome il gesto dell'ormai celebre Kabobo sarebbe da definire attentato. Un attentato in tono minore, certo, compiuto a colpi di piccone, senza spari ed esplosioni, con pochi, insignificanti morti ammazzati, ma un attentato non dissimile, nella sostanza, da altri. Ma noi definiamo “attentato” solo quello compiuto con esplosivo o armi da fuoco da persone affiliate a qualche gruppo terrorista ufficialmente riconosciuto. Facciamo finta di non vedere il fenomeno inquietante del terrorismo diffuso, dell'odio cieco che spinge persone apparentemente “normali” ad uccidere, a casaccio.

Impazza la polemica sulla vicenda del tunisino arrestato. L'intelligence ha lavorato bene tuona Alfano, no,  male, replica Salvini. In effetti pare che il giovanotto sia entrato ed uscito come voleva dal nostro paese e questo lascia alcuni dubbi sull'efficacia dei nostri servizi di intelligence. Questo però ha una importanza secondaria Nessuna intelligence, nessuna polizia, per quanto abile e bene organizzata, è in grado di impedire attentati se si prosegue con la politica delle porte aperte. Pensare che sia possibile controllare le migliaia di persone che tutti i santi giorni sbarcano sulle nostre coste, tra l'altro prive di documenti, è semplicemente ridicolo. Una parte non irrilevante di queste persone neppure transita nei centri di accoglienza ormai al collasso: arriva qui da noi e sparisce, punto e basta.

Azzardo una ipotesi. Penso che in Italia non si sia ancora verificato un grave attentato per il semplice motivo che questo non conviene ai caporioni del terrorismo. L'Italia è il ventre molle dell'Europa, la porta aperta attraverso la quale i “migranti”, e fra loro gli eventuali terroristi, arrivano nel vecchio continente. Un attentato grave rischierebbe di chiuderla, questa porta, o di renderla un po' meno aperta. Non amo i complottisimi e le dietrologie, ma non escluderei qualche sorta di tacito accordo del tipo: “noi facciamo gli umanitari e vi facciamo entrare, voi evitate i botti”. Si tratta solo di una IPOTESI, ci tengo a sottolinearlo, ma forse non è completamente campata in aria. Comunque, anche a prescindere da ogni considerazione etica, un simile accordo, SE ci fosse, alla lunga non ci salverebbe da attentati. In primo luogo perché i leader delle organizzazioni terroriste non ragionano in termini di confronto razionale fra costi e benefici e potrebbero decidere di fare ciò che non sembrerebbe esser per loro conveniente, in secondo perché esiste il fenomeno del terrorismo diffuso, di coloro che non fanno parte di alcun gruppo organizzato, ma ci odiano, e potrebbero decidersi ad agire, un giorno o l'altro.

Il pericolo più grave è costituito dalla nostra infinità stupidità pseudo “umanitaria”. Quella che ci fa confondere con normali flussi migratori un autentico esodo, che ci spinge a definire in blocco “perseguitati politici” uomini che a volte sarebbero da annoverare fra i persecutori, che ci impedisce di vedere i problemi economici, politici, sociali, di sicurezza inevitabilmente connessi alla accoglienza senza limiti e controlli.
Spero che tutto questo non si traduca, a breve, in lacrime e sangue. Lo spero, ma ci credo poco.

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