Sono abbastanza note le teorie del vecchio Thomas Robert Malthus.
Nel
“saggio sul principio della popolazione”
Malthus afferma che mentre le risorse alimentari a disposizione del
genere umano aumentano in progressione aritmetica la popolazione
aumenta in progressione geometrica. Da qui la previsione di una
inevitabile penuria. Se non si frena l’aumento della popolazione ci
sarà una povertà generalizzata. Come frenare l’aumento della
popolazione? Un ruolo possono svolgerlo le guerre e le carestie, un
altro, preferibile, il disincentivo al matrimonio ed alla natalità.
Malthus è favorevole alla limitazione delle nascite ed è anche
nettamente contrario a qualsiasi tipo di politiche caritatevoli ed
assistenziali. Migliorando il tenore di vita delle classi povere tali
politiche portano ad incrementare la natalità e contribuiscono
all’acutizzarsi del contrasto fra risorse e popolazione. Visto che
il contrasto insanabile fra risorse e popolazione porta ad un futuro
di miseria per tutti ogni miglioramento delle condizioni generali di
vita va frenato. La scelta è fra una miseria meno generalizzata oggi
ed una generalizzata domani. Altre vie non esistono.
Alla base
delle teorie malthusiane sta un fenomeno innegabile, che tutti o
quasi gli economisti hanno tenuto in grande considerazione: la
limitatezza delle risorse a disposizione dell’uomo. L’uomo è un
essere razionale finito, penosamente dipendente dall’ambiente
circostanze. Proprio per questo non è possibile il regno del
bengodi: per potere migliorare le condizioni di vita occorre il
lavoro, inteso non come autorealizzazione ma come fatica. L’attività
economica si basa principalmente su questo: calcolo del rapporto
costi benefici, confronto fra onerosità del lavoro ed utilità dei
suoi frutti. Però, quella che per molti economisti è una
caratteristica della attività economica diventa per Malthus un
limite assoluto alle prospettive di crescita del benessere. Una cosa
è il calcolo del rapporto costi benefici in una situazione di
risorse limitate, altra cosa considerare la limitatezza delle risorse
come limite assoluto ad ogni miglioramento della condizione umana.
Affermare che ogni miglioramento richiede uno sforzo è cosa del
tutto diversa dal teorizzare l’inutilità di ogni sforzo ai fini
del miglioramento.
Le teorie di Malthus, suscitarono da
subito discussioni e polemiche. Molti le accolsero con grande favore,
con il passare del tempo tuttavia risultò abbastanza chiaro che
l’economista inglese era incorso in almeno due errori
fondamentali.
Il primo era la sottovalutazione dello sviluppo
tecnologico. L’applicazione della scienza e della tecnica ai
processi produttivi, agricoltura compresa, ed il parallelo,
prodigioso moltiplicarsi della produttività del lavoro dovevano
smentire clamorosamente la profezia malthusiana di una crescita solo
aritmetica delle risorse alimentari a disposizione degli esseri
umani. Nei paesi sviluppati l’agricoltura assorbe oggi una parte
largamente minoritaria della forza lavoro totale, eppure basta a
soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione molto superiore
a quella dei tempi in cui Malthus visse.
In secondo luogo
l’esperienza doveva smentire la previsione malthusiana secondo cui
un continuo incremento del benessere era destinato a provocare un
aumento incontrollato della natalità. In effetti è vero che, sino
ad un certo punto, l’aumento del benessere causa un aumento di
popolazione, superati certi livelli tuttavia la tendenza tende a
bloccarsi. Nei paesi sviluppati i livelli di natalità si
contraggono; in una prima fase l’incremento della popolazione
continua ma è dovuto sostanzialmente all’allungarsi della vita
media. Successivamente l’incremento demografico tende quasi ad
azzerarsi e la popolazione totale a stabilizzarsi. Oggi l’incremento
demografico riguarda le aree arretrate del pianeta, non quelle
economicamente sviluppate. In queste semmai si presenta un problema
opposto: quello di un decremento demografico potenzialmente assai
pericoloso.
Entrambi i punti chiave del malthusismo si
rivelarono errati, quanto meno, le previsioni di lungo periodo
dell’economista inglese risultarono errate anche se, raffrontate a
situazioni di breve periodo e a paesi particolari, potevano
mostrarsi corrette. Le teorie di Malthus furono però sottoposte a
dure critiche anche dal punto di vista etico. Con la sua teoria della
popolazione Malthus considera la miseria milioni di esseri umani come
un qualcosa di sostanzialmente immodificabile e questo apparve, non a
torto, moralmente inaccettabile a molti suoi critici. Per la gran
parte dei democratici, dei socialisti, anche per molti liberali
Malthus divenne quasi il simbolo di una reazione nemica di ogni
progresso ed emancipazione.
In effetti per lungo tempo il
malthusianesimo è stato una delle filosofie ufficiali delle forze di
destra più reazionarie. A suo modo era malthusiano Adolf Hitler; la
sua teoria dello “spazio vitale” si basa su premesse malthusiane.
Hitler non ha alcun interesse per il genere umano, a lui interessano
solo i tedeschi “ariani”. Questi sono, nella sua ideologia
malata, soffocati in una spazio troppo ristretto e non dispongono di
sufficienti derrate alimentari. Da qui l’esigenza della conquista
dello “spazio vitale”. I territori dell’Europa dell’est
dovevano diventare grandi colonie agricole, popolate da fieri
agricoltori “ariani” che avrebbero fornito alla Germania
nazionalsocialista le necessarie risorse alimentari. Agli “ariani”
teutonici occorrevano spazio ed alimenti e questi potevano essere
procurati solo con la spada. In Hitler le teorie malthusiane si
combinano con elementi a loro estranei come il razzismo e lo
sciovinismo, senza tuttavia perdere molto delle loro caratteristiche
fondamentali.
Eppure quel “bieco reazionario” di Malthus è
oggi uno dei fondamentali punti di riferimento teorici del
radicalismo ecologico. Un punto di riferimento su cui spesso si cerca
di stendere una cortina di silenzio, un amico di cui un po’ ci si
vergogna, simile a quei parenti poveri che si è restii ad invitare
alle riunioni di famiglia, ma non per questo meno importante. Piaccia
o non piaccia la gran maggioranza se non la totalità delle
teorizzazioni del radicalismo ecologico sono infarcite di
malthusianesimo.
Si rifà direttamente a Malthus il ministro
per la transizione ecologica Roberto Cingolani quando afferma che il
nostro pianeta è “stato programmato” per tre, al massimo tre
miliardi e mezzo di abitanti (programmato da chi? Da Dio forse? Il
ministro è in contatto mistico col creatore?).
Sono
sicuramente ed estremisticamente malthusiane le farneticazioni di
Greta Thunberg che vede la fine del mondo fra otto, nove anni al
massimo ed è nella sostanza malthusiana l’enciclica papale
“Laudato si”. Certo, in quella enciclica papa Bergoglio
nega che alla base del “degrado del pianeta” ci sia la
sovrapopolazione, ma lo fa solo per sostenere la tesi, di chiara
origine malthusiana, che un eccesso di consumo porta all’esaurimento
delle risorse e alla distruzione della “casa comune”. Possiamo
sopravvivere anche se siamo tanti a condizione di consumare poco,
questa una delle tesi della “laudato si”. In questo modo
però il malthusianesimo papale perde ciò che di scientificamente
accettabile esisteva nelle stesse tesi di Malthus. Perché se può
essere in parte fondata l’ipotesi che una crescita esponenziale
della popolazione si può scontrare con la limitatezza delle risorse
a nostra disposizione, poco o nulla ha di scientifico la tesi papale
secondo cui si può avere, insieme, crescita della popolazione,
miglioramento delle condizioni di vita nei paesi arretrati ed abbandono di
fonti di energia primarie come nucleare, petrolio e gas naturale a
condizione di combattere il “consumismo compulsivo”. Malthus
aveva almeno il pregio della coerenza. Questo manca in uno dei
documenti chiave dell’odierno misticismo pseudo ecologico.
I
teorici dell’odierno misticismo ecologico apportano però una
fondamentale variazione allo schema malthusiano. Questo, lo si è
visto, è caratterizzato dalla fortissima sottolineatura del
contrasto fra crescita della popolazione umana e limitatezza delle
risorse, soprattutto di quelle alimentari. In Malthus l’uomo resta
centrale: è lui la vittima della limitatezza delle risorse. Ad
essere immodificabile è l’umana miseria perché ogni tentativo di
ridurne l’area si scontra col dato dei rendimenti agricoli
decrescenti, quindi con l’insufficienza di alimenti a disposizione
degli esseri umani. Gli attuali mistici dell’ecologia continuano a
parlare di limitatezza delle risorse, da decenni prevedono che entro
poco tempo queste sono destinate ad esaurirsi, parlano di erosione
delle superfici coltivabili, innalzamento degli oceani, scarsità
d’acqua, in breve, superano di gran lunga in pessimismo il vecchio
Malthus. Tuttavia i mistici di oggi affiancano a queste tematiche
un’altra fosca previsione: quella della fine del pianeta. Il
punto centrale dell’odierno catastrofismo ecologico (o pseudo tale)
non è più l’uomo, è il pianeta. Il vero dramma non è
costituito dalla miseria cui il genere umano è condannato dalla
limitatezza delle risorse, questa resta presente nell’ideologia
dell’ecologismo mistico, ma perde la sua centralità. L’umana
miseria diventa solo un aspetto di una catastrofe più profonda la
cui principale vittima è nostra madre terra. La limitatezza delle
risorse è quasi sostituita come causa del dramma da un nuovo mostro:
il consumismo compulsivo. Contrariamente a quanto profetizzava
Malthus l’area della miseria si è enormemente ridotta negli ultimi
due secoli, ma questo non ha affatto eliminato dal nostro orizzonte
la tragedia incombente: ne ha anzi amplificato la portata: più
consumiamo più prepariamo la nostra estinzione e, cosa ancora più
grave, la morte del pianeta.
Il pianeta: questo è il nuovo
protagonista, e il consumo il nuovo nemico. Il malthusianesimo
classico è una teoria economica, l’attuale ecologismo mistico poco
o nulla ha a che vedere con l’economia o, più in generale, con la
scienza: siamo di fronte ad una nuova religione, un neopaganesimo con
“il pianeta” o la natura al posto di Dio, gli ecosistemi che
sostituiscono le nature angeliche e l’orrido consumismo compulsivo
nel ruolo di novello Satana. E come tutte le religioni, e tutte le
ideologie, il misticismo ecologico ha i suoi sacerdoti ed i suoi
profeti, le sue proibizioni, le sue scomuniche ed il suo indice dei
libri proibiti. Qualcuno vorrebbe anche i suoi tribunali
dell’inquisizione ed i suoi roghi, ma questi non sono ancora
pronti, per fortuna.
Per quanto ovvio val forse la pena di
sottolineare che la critica del neopaganesimo pseudo ecologico non ha
nulla a che vedere col rifiuto di una seria politica di protezione
dell’ambiente, al contrario. In realtà gran parte delle proposte
pratiche degli ecologisti mistici non avrebbero solo, se messe in
atto su larga scala, effetti economici devastanti, avrebbero effetti
quasi altrettanto devastanti a livello ambientale. Sostituire carbone
e petrolio, gas naturale e nucleare con eolico e solare non
provocherebbe solo crisi economiche gravissime, deturperebbe il
paesaggio in maniera irrimediabile; riempirebbe aree enormi di
territorio di pale eoliche e pannelli solari con effetti distruttivi
su fauna e flora selvatiche. Se ne vedono già alcuni assaggi
osservando le pale eoliche che fanno brutta mostra di se su alcuni
rilievi alpini.
I fatti, la prassi sono in effetti il punto
debole di tutti i mistici neopagani dell’ecologia. Quando si entra
nel concreto e si passa dalle declamazioni teoriche alla volgare
azione concreta emerge subito la debolezza del neomalthusianesimo
pseudo ecologico.
Emerge la inadeguatezza ridicola di certe
proposte. Si teorizza la fine del mondo prossima ventura ed intanto
si chiede, e si ottiene, la sostituzione dei sacchetti di plastica
nei supermercati. Si prevedono ondate di siccità destinate a
distruggere intere specie animali, quella umana compresa, ed intanto
dagli schermi televisivi una voce suadente ci invita a non
risciacquare i piatti prima di inserirli nella lavastoviglie, per
“risparmiare acqua”, ovviamente. Assolutamente ridicolo.
Ed
emerge la totale incomprensione, tipica dei fanatici neo malthusiani,
delle conseguenza, anche ambientali, delle crisi economiche.
I
mistici dell’ecologia pensano, con tutta evidenza, che il blocco
dello sviluppo economico non abbia conseguenza alcuna sull’ambiente.
Nulla è più sciocco di una simile convinzione. Un mondo povero,
quasi privo di energia, caratterizzato da disoccupazione di massa è
da sempre del tutto indifferente alle tematiche ambientali. Se il
problema è il pasto quotidiano la preservazione dei ghiacciai o
della biodiversità passano completamente in secondo, terzo o ultimo
piano. L’attività dei primi uomini, i cacciatori raccoglitori, era
quanto di meno ecologico si possa immaginare. Non distruggeva
radicalmente l’ambiente solo perché i nostri lontanissimi antenati erano troppo pochi per poterlo
fare.
Abbiamo visto che i nuovi mistici dell’ecologia
sono nella sostanza seguaci di un malthusianesimo di tipo nuovo,
diverso da quello classico ma che parte da presupposti assai simili a
quelli dell’economista inglese. Esiste però una ulteriore
differenza fra il malthusianesimo classico e le attuali filosofie
neomalthusiane, e questa differenza riguarda precisamente le azioni
concrete, la prassi politica.
I Malthusiani classici si
limitavano a contrastare le politiche tendenti a combattere la
povertà. Combattere la miseria oggi significa solo preparare una
maggiore miseria domani, sostenevano. Come abbiamo visto la causa
unica o assolutamente prevalente della miseria era per loro lo
squilibrio fra risorse e popolazione ed ogni tentativo di migliorare
la situazione economica delle classi povere non faceva altro, in
prospettiva, che peggiorare le cose. Tuttavia Malthus e i malthusiani
“classici” non creavano con le loro politiche la povertà, si
limitavano a considerarla un dato immodificabile. In questo i
neomalthusiani sono profondamente diversi: sono le loro politiche
a creare situazioni malthusiane,
sia di tipo economico
che ambientale.
Tipiche a questo proposito le proposte
neomalthusiane in tema di energia. I neomalthusiani parlano di
continuo, come i loro maestri classici, di risorse, soprattutto
energetiche insufficienti, ma sono proprio le loro politiche a
rendere scarse, in prospettiva scarsissime, quindi del tutto
insufficienti le risorse. Un ampliamento del nucleare,
meglio ancora il nucleare a fusione
renderebbero
assai abbondanti le risorse energetiche, ma i neomalthusiani
si oppongono con tutte le forse al nucleare di
qualsiasi tipo…
Considerazioni analoghe si possono fare in
tema ambientale. Se ne è già
parlato: le proposte neomalthusiane in tema di energia, se applicate
su larga scala, avrebbero effetti ambientali devastanti ed effetti
ambientali ancora più devastanti avrebbe la ricomparsa a livello di
massa di situazioni di miseria, conseguenza necessaria del blocco
dello sviluppo economico. A suo tempo Beppe Grillo si entusiasmò per
l’aereo solare: un mostro enorme in grado di trasportare, a
velocità ridottissima, due persone. Cosa succederebbe se milioni di
persone si servissero di simili, mostruosi trabiccoli per volare?
Avremmo aeroporti di migliaia di chilometri quadrati, davvero
un bel regalo per l’ambiente!
Non val la pena di dilungarsi
con gli esempi: sia dal punto di vista economico che ambientale i
neomalthusiani fanno proposte destinate a creare situazioni in cui le
profezie malthusiane risultino corrette. Un po’ come chi dopo aver
previsto una crisi economica mette in atto politiche
che portano
alla
suddetta crisi, salvo poi
vantarsi
della la correttezza delle
sue previsioni.
E’
singolare la parabola di Malthus e del malthusianesimo. L’economista e
pastore anglicano, inizialmente presentato da
tutti i progressisti, veri o presunti,
come il
campione della più dura reazione ha trovato in tempi recenti schiere
di sostenitori proprio fra quelle forze di sinistra che a suo tempo
lo
disprezzarono. Marx ignorò
il grumo di verità presente nelle tesi fondamentali di Malthus:
qualsiasi tipo di sviluppo economico deve fare i conti col dato della
limitatezza delle risorse a disposizione degli esseri umani. In Marx
non si trova alcun discorso specifico sulla natura. Il filosofo di
Treviri considera la natura solo nei suoi rapporti con l’uomo, la
chiama addirittura “corpo inorganico dell’uomo” e non si pone
mai il problema del carattere
limitato di questo “corpo inorganico”;
per questo può ingenuamente
profetizzare un
futuro di assoluta abbondanza e di totale assenza di problemi. Anche
Marx prevede crisi catastrofiche, ma in lui queste sono legate al
blocco dello sviluppo causato dal capitalismo. Gli odierni seguaci di
Marx cercano di conciliare,
spesso senza averne chiara consapevolezza,
i due vecchi nemici: Marx e Malthus. Conservano
il catastrofismo presente
almeno in alcune parti dell’opera di Marx e l’odio di questi per
l’economia di marcato. Oggi però alla radice del catastrofismo non
c‘è più il marxiano mancato sviluppo delle forze produttive
sociali ma la
malthusiana
scarsità di risorse combinata
con l’eccesso di
popolazione, cui i neomalthusiani aggiungono il dolore per le
malattie del pianeta.
Il
reazionario ed il rivoluzionario giungono in questo modo a toccarsi,
quasi a strizzarsi benevolmente l’occhio a vicenda.
E anche
questo non è, a ben vedere le cose, un fenomeno nuovo.
Non conoscevo questo personaggio e questa teoria.
RispondiEliminaComunque anche se gli oceani dovessero crescere, paradossalmente la terra asciutta aumenterebbe. I paesi vicini all'Artico, la Groenlandia e l'Antartide sono schiacciati dal peso dei ghiacci anche del periodo Wurm, e a poco a poco si stanno gonfiando. Dovrebbero recuperare la bellezza di 200 metri sopra il livello del mare in assenza totale di ghiacci.
Comunque, da buona non credente del riscaldamento globale antropico, m'aspetto ancora cicli di lunghi periodi glaciali tipo il Wurm, e di più brevi periodi interglaciali tipo l'Olocene (che stiamo vivendo ora).