Non occorrevano particolari doti divinatorie per prevedere episodi come quello di Torsapienza. E non ne occorrono per prevederne altri, magari brutti, inquinati sul serio da rigurgiti razzisti.
Cosa si aspettavano le anime belle di casa nostra? Speravano davvero che l'ingresso di decine, forse centinaia, di migliaia di clandestini in un paese già prostrato dalla crisi economica portasse un “pacifico ed arricchente dialogo fra diversi”? Una persona sana di mente poteva davvero pensare che la presenza nelle periferie delle grandi città di migliaia di persone prive di lavoro non si sarebbe trasformata in degrado, illegalità, violenza?
Eppure sembra che sia QUESTO il pensiero delle anime belle. Il sindaco diRoma Marino ha affermato, con faccia contrita, che “una cosa è l'accoglienza, altra cosa la violenza”. Poverino, neppure è sfiorato dal dubbio che fra “accoglienza” di un numero spropositato di clandestini e violenza ci possa essere un qualche nesso causale.
I commentatori televisivi dal canto loro cinguettano che il vero problema non sono i “migranti” ma “il degrado delle periferie”, come se l'ingresso massiccio di “migranti” nelle periferie non contribuisse al degrado. Certo, se ogni migrante fosse ospitato in un villino ed avesse garantito un reddito, diciamo, fra i 2.000 ed i 3.000 euro mensili il degrado sarebbe minore. Peccato che la ricchezza abbia il pessimo difetto di NON esistere in natura. Qualcuno la deve produrre...
Altri ancora, dopo avere, all'inizio,
bollato gli abitanti di Torsapienza con l'epiteto di “razzisti”,
hanno cambiato registro. “Gli abitanti di Torsapienza”, dicono,
“vogliono che lo stato li protegga da tutti, italiani o stranieri,
neri o bianchi che siano”. Il discorso non fa una piega, in
astratto: chi delinque deve essere perseguito, indipendentemente
dalla nazionalità o dal colore della pelle. Peccato che l'immigrazione
incontrollata abbia trasformato certi quartieri in “terre di
nessuno” in cui a delinquere sono, in maggioranza, i non italiani. E,
cosa si dovrebbe fare, di grazia, per proteggere i cittadini?
Piazzare un poliziotto in assetto di guerra ogni cento metri?
L'azione delle forze dell'ordine è destinata a restare tragicamente
insufficiente in situazioni di totale degrado, a meno che non si
vogliano militarizzare intere aree urbane. Qualcosa non solo di
estremamente costoso, ma di pericoloso per la democrazia e le libertà
di tutti. Il punto è sempre lo stesso: occorre evitare il degrado,
quanto meno ridurlo, invece nulla favorisce il degrado, l'illegalità
e la violenza più della politica delle porte aperte.
Ci sono poi gli intellettuali “profondi” che dispensano dai media le loro lezioni di filosofia morale. Uno scrittore di cui non ricordo il nome, non credo però che sia un novello Dostoevskij, ha pontificato l'altra sera in un TG.
“A Torsapienza”, ha detto, “è in corso una guerra fra poveri, e le guerre fra poveri sono una cosa bruttissima. Non occorre guerra ma dialogo, comprensione l'uno delle ragioni dell'altro”.
Molto, molto commovente. Però, è proprio sicuro questo insigne scrittore che a Torsapienza siano tutti poveri? O che lo siano come i “migranti”? Si dice “guerra fra poveri” e subito si pensa a due disoccupati in lotta fra loro per accaparrarsi l'unico posto di lavoro disponibile, ma stanno così le cose nelle periferie degradate?
Ho vissuto in gioventù, quindi alcuni secoli fa, in un quartiere del centro storico di Genova, molto bello, ma “degradato”, anche se di un degrado assai diverso da quello che caratterizza oggi certe terre di nessuno urbane. Non ero ricco ma, tutto sommato, forse neppure particolarmente povero. Io lavoravo in banca, mia moglie in una grande azienda, avevamo due bambini piccoli. Ciò che ci rendeva la vita impossibile non era la lotta con altri poveri per il lavoro o qualche sovvenzione statale. Erano branchi di ragazzotti che giravano fino a notte tarda sotto le finestre di casa nostra con rumorosissime moto da cross, bar da cui salivano in continuazione urla e musica a tutto volume, il non poter parcheggiare, la sera, l'auto vicino a casa per il timore di trovartela sfasciata la mattina dopo, o non trovartela affatto, il clima di violenza diffusa che respiravi ovunque.
Una volta ho affrontato un gruppo di ragazzotti che facevano casino sotto casa nostra più o meno all'una di notte. “Se non ve ne andate”, ho detto loro, “vi caccio io a calci”. “E io conosco uno che domani ti pianta un coltello nella pancia” ha risposto uno dei teppistelli. Lo confesso, non mi aspettavo una simile reazione e non ho saputo come reagire. Ancora qualche reciproca minaccia, poi li ho mandati a fan... e son tornato a casa. I teppistelli dopo un po' hanno tolto il disturbo. Non troppo tempo dopo abbiamo abbandonato quel quartiere, e la città. Amavamo Genova, ad anche il bel quartiere in cui avevamo vissuto, ma abbiamo preferito acquistare una casa fuori città. Tutto questo con la “guerra fra poveri” non c'entra nulla, assolutamente nulla.
La triste realtà è che certi quartieri erano, fino a un po' di tempo fa, più o meno vivibili. Dopo che sono diventati zone di insediamento per “migranti” sono diventati invivibili. Questo le anime belle non lo capiscono, o non lo vogliono capire. Anche perché vivono, LORO, in quartieri ben diversi, lontani da ogni degrado.
Ci sono poi gli intellettuali “profondi” che dispensano dai media le loro lezioni di filosofia morale. Uno scrittore di cui non ricordo il nome, non credo però che sia un novello Dostoevskij, ha pontificato l'altra sera in un TG.
“A Torsapienza”, ha detto, “è in corso una guerra fra poveri, e le guerre fra poveri sono una cosa bruttissima. Non occorre guerra ma dialogo, comprensione l'uno delle ragioni dell'altro”.
Molto, molto commovente. Però, è proprio sicuro questo insigne scrittore che a Torsapienza siano tutti poveri? O che lo siano come i “migranti”? Si dice “guerra fra poveri” e subito si pensa a due disoccupati in lotta fra loro per accaparrarsi l'unico posto di lavoro disponibile, ma stanno così le cose nelle periferie degradate?
Ho vissuto in gioventù, quindi alcuni secoli fa, in un quartiere del centro storico di Genova, molto bello, ma “degradato”, anche se di un degrado assai diverso da quello che caratterizza oggi certe terre di nessuno urbane. Non ero ricco ma, tutto sommato, forse neppure particolarmente povero. Io lavoravo in banca, mia moglie in una grande azienda, avevamo due bambini piccoli. Ciò che ci rendeva la vita impossibile non era la lotta con altri poveri per il lavoro o qualche sovvenzione statale. Erano branchi di ragazzotti che giravano fino a notte tarda sotto le finestre di casa nostra con rumorosissime moto da cross, bar da cui salivano in continuazione urla e musica a tutto volume, il non poter parcheggiare, la sera, l'auto vicino a casa per il timore di trovartela sfasciata la mattina dopo, o non trovartela affatto, il clima di violenza diffusa che respiravi ovunque.
Una volta ho affrontato un gruppo di ragazzotti che facevano casino sotto casa nostra più o meno all'una di notte. “Se non ve ne andate”, ho detto loro, “vi caccio io a calci”. “E io conosco uno che domani ti pianta un coltello nella pancia” ha risposto uno dei teppistelli. Lo confesso, non mi aspettavo una simile reazione e non ho saputo come reagire. Ancora qualche reciproca minaccia, poi li ho mandati a fan... e son tornato a casa. I teppistelli dopo un po' hanno tolto il disturbo. Non troppo tempo dopo abbiamo abbandonato quel quartiere, e la città. Amavamo Genova, ad anche il bel quartiere in cui avevamo vissuto, ma abbiamo preferito acquistare una casa fuori città. Tutto questo con la “guerra fra poveri” non c'entra nulla, assolutamente nulla.
La triste realtà è che certi quartieri erano, fino a un po' di tempo fa, più o meno vivibili. Dopo che sono diventati zone di insediamento per “migranti” sono diventati invivibili. Questo le anime belle non lo capiscono, o non lo vogliono capire. Anche perché vivono, LORO, in quartieri ben diversi, lontani da ogni degrado.
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