venerdì 21 novembre 2014

UNA VALUTA PALESTINESE?

palestina-israele


In Europa sembra si stia diffondendo una autentica smania di riconoscere la “Palestina”. Eppure questo stato, che tutti hanno voglia di riconoscere, è alquanto strano. Si tratta di uno stato dai confini imprecisati e di cui non si conosce la capitale; uno stato che non si sa da chi sia governato, privo di esercito regolare, di una magistratura e di una polizia dotate di vera giurisdizione ed autentici poteri di controllo sulla popolazione. Uno stato privo di una propria valuta e di una propria banca centrale. Su quest'ultimo punto vorrei spendere due parole.

A Gaza ed in Cisgiordania circola il NIS, (new Israeli shekel, la moneta israeliana) e gli accordi di di Oslo prevedevano esplicitamente che nei territori amministrati dalla autorità nazionale palestinese (ANP) circolasse la valuta israeliana. Questo è oggi oggetto di forti critiche da parte dei nemici di Israele. La “Palestina” non ha una propria valuta, dicono costoro, il che deprime la sua economia. Però le resistenze israeliane ad una valuta autonoma palestinese sono piuttosto comprensibili. Gaza dipende da Israele per le forniture di gas e acqua, i malati palestinesi vengono curati negli ospedali israeliani, la maggioranza degli abitanti di Gaza lavora in Israele. Non si vede perché gli israeliani dovrebbero accettare di vedersi pagare i loro servizi (quando sono pagati) e le loro merci in una moneta ultra svalutata. Un paese non può volere l'autonomia valutaria ed essere, insieme, la provincia assistita di un altro paese. Gaza vuole una sua valuta? Allora dovrebbe cercare di renderla minimamente competitiva e dovrebbe, soprattutto, rendersi davvero economicamente autonoma. Perché mai un commerciante israeliano dovrebbe accettare in pagamento una valuta con la quale non potrebbe comprare praticamente nulla? Chi teorizza una valuta autonoma per la Palestina dovrebbe accettare che gli operatori israeliani fossero liberi di rifiutare i pagamenti in tale valuta, ma una cosa simile sarebbe subito tacciata di “razzismo”.
Si possono fare considerazioni simili riguardo al fatto che la gran maggioranza dei palestinesi lavora alle dipendenze di ditte israeliane. Questo sarebbe la prova, per alcuni, del “colonialismo” di Israele. In realtà essere pagati con valuta israeliana conviene ai palestinesi, visto che a Gaza i prezzi sono più bassi e si può comprare con un NIS più merce di quanta se ne possa comprare in Israele. In ogni caso il fatto che i palestinesi lavorino in Israele dimostra solo che a Gaza non c'è sviluppo economico ed in Israele si, il che non ha nulla a che vedere col “colonialismo”.

Un paese vero, che aspiri al riconoscimento internazionale e ad instaurare relazioni commerciali con altri paesi deve avere una valuta in grado di interessare i possibili partner. Allo stesso modo, un paese che aspiri al riconoscimento internazionale non può dipendere in toto dalla economia di un altro paese. Se l'ottanta per cento della manodopera italiana lavorasse in Francia l'Italia sarebbe un paese vero? E avrebbe senso per un simile paese la richiesta di una autonomia valutaria?
Il problema autentico allora non è quello del presunto “colonialismo” israeliano o della mancanza a Gaza ed in Cisgiordania di una valuta palestinese. Il problema vero è riassumibile in una domanda: I governanti del presunto stato palestinese mirano allo sviluppo economico? Vogliono che si sviluppi una industria palestinese? Che si producano beni e servizi palestinesi minimamente competitivi? Vogliono che a Gaza ed in Cisgiordania sorgano scuole ed università qualificate? Che si diffondano un commercio ed un credito efficienti? Basta fare la domanda giusta per avere la risposta. E la risposta è NO.
I miliardi di aiuti internazionali che la “Palestina” ha ricevuto non sono stati spesi in fabbriche, scuole ed ospedali, ma in armi (o sono finiti nelle tasche di qualche leader carismatico). A Gaza è fiorente l'industria dei tunnel e i caporioni da Hammas, con il beneplacito di quelli della ANP, preferiscono che i giovani si allenino al martirio piuttosto che frequentare buone scuole ed università.
Il problema di Gaza e della “Palestina” è quindi politico, non economico. I leader palestinesi non sono minimamente interessati allo sviluppo perché la lotta contro Israele monopolizza tutte le loro attenzioni, anche se questa lotta ha evidenti effetti negativi per la loro economia. Molti denunciano le conseguenze economiche negative del muro israeliano, ma se i palestinesi rinunciassero sul serio al terrorismo quel muro potrebbe cadere. Denunciano altresì la mancanza di un aeroporto internazionale a Gaza. Ma, a cosa servirebbe questo aeroporto? Agli spostamenti di merci e passeggeri o alla guerra infinita contro Israele?
Cercare di eliminare dal mondo l'”entità sionista” ha conseguenze economiche disastrose per tutti, ma soprattutto per i palestinesi; questo però sembra interessarli poco. Salvo poi lamentarsi del fatto che in Israele tutti i fondamentali indicatori economici siano enormemente migliori che non a Gaza o in Cisgiordania. Per i fanatici e gli ipocriti i successi economici sono la prova del carattere malvagio di un popolo e di uno stato. Lavorare e produrre sono una colpa, qualcosa di intrinsecamente “colonialista”! La cosa triste è che c'è un buon numero di persone che a queste idiozie ci crede.

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