sabato 3 gennaio 2015

LA PACE E' SEMPRE POSSIBILE... O NO?

Papa Benedetto cercava sempre o quasi di argomentare ciò che diceva. Papa Francesco no, lui fa affermazioni apodittiche su cui si può solo acconsentire.
LA PACE E' SEMPRE POSSIBILE, ha detto il giorno di Capodanno. Non ha cercato di spiegare come la pace sia sempre possibile, si è limitato ad affermarlo, e la sua affermazione assomiglia tanto ad uno slogan.
In realtà tutti sanno che la pace non è sempre possibile. Era possibile, per fare solo un esempio, la pace con Hitler? E cosa avrebbe significato per gli ebrei una simile pace? La pace è sempre possibile solo se si identifica la pace con la resa, la mera accettazione passiva di ogni prevaricazione. Una simile pace però ha effetti ancora più devastanti di una guerra.
E' questo in realtà il significato autentico dello slogan mieloso secondo cui la pace sarebbe sempre possibile. Chi fa proprio un simile slogan carica di responsabilità solo coloro che sono vittime di aggressioni e prevaricazioni. L'appello del papa non è rivolto, per venire al sodo, all'Isis. Il santo padre sa benissimo che i fanatici dell'isis neppure le ascoltano, le sue parole. E' rivolto a chi dovrebbe contrastare l'Isis con le armi. Dire che “la pace è sempre possibile” vuol dire invitare le vittime del fondamentalismo a non reagire, comunque a non reagire con le armi, soprattutto vuol dire invitarle a non chiedere, non pretendere, interventi armati a loro sostegno. Si tratta, nei fatti, al di là delle buone intenzioni, di un appello a stare buoni, a “comprendere” chi sgozza, vende donne sulle piazze dei mercati, impala, crocifigge.
Esaltare genericamente la pace fra i boia e le vittime non significa neppure assumere una posizione “equidistante”, non può esistere equidistanza fra vittime e boia, significa rendere più difficile il lavoro di chi ai boia dovrebbe opporsi. Questo non ha nulla a che vedere con l'equidistanza, al contrario.

Per i pacifisti, veri o presunti che siano, la domanda fondamentale è “pace o guerra?”. In realtà non è questa la domanda fondamentale. Oggi la stragrande maggioranza delle persone civili non considerano un valore la guerra, il che non esclude che esistano, e siano importanti, le virtù militari.
Nessuno oggi in occidente vuole la guerra per la guerra, sogna di conquistare la gloria sul campo di battaglia. La vera domanda allora non è “pace o guerra?” ma: “a cosa è possibile rinunciare in nome della pace?”.
Si può rinunciare a tutto pur di avere la pace? Saremmo disposti a vivere in una società in cui esiste lo schiavismo, non esiste nessuna libertà di pensiero e le donne sono ridotte ad un ruolo men che servile, pur di non prendere le armi in difesa del nostro stile di vita e dei nostri valori fondamentali? Il problema è tutto qui. In occidente la guerra ormai è considerata un mezzo, non un fine. E' un mezzo da non usare mai, quale che sia la posta in gioco? Allora rassegnamoci: i nostri figli o i nostri nipoti vivranno in società in cui nessuno di noi vorrebbe vivere neppure per un paio di giorni.
Certo, gli amanti della pace a qualunque costo negano una simile eventualità. Per loro i “cattivi” non esistono. Fanatismo, irrazionalità, odio sono una invenzione di finanzieri sionisti e manager delle grandi multinazionali. E' facile teorizzare un mondo d'amore quando il mondo reale è stato sostituito dalla sua zuccherosa immagine ideologica.

Chi è disposto a rinunciare a tutto pur di avere la pace si considera di solito molto “buono”, una sorta di santo. Rinunciando a tutto pur di avere la pace si salvano vite umane, dice, e nulla è tanto importante quanto salvare vite di nostri simili.
Non intendo affrontare il problema se davvero una vita disumana sia preferibile alla morte, o al rischio della morte, mi limito a chiedere: stanno davvero così le cose? E' o non è vero che a volte la forza militare è l'unico mezzo per impedire orribili massacri, o quanto meno per ridurne la portata? Scegliere la “pace” in casi simili non equivale a permettere che di vite umane ne vengano distrutte in quantità industriali?
L'olocausto è avvenuto in tempo di guerra, ma non aveva alcuna relazione con la guerra, anzi, se Hitler avesse condotto in maniera più razionale la guerra non avrebbe sprecato ingenti quantità di uomini e mezzi in un genocidio che non aveva relazione alcuna con le operazioni belliche.
Il comunismo staliniano e maoista ha prodotto decine di milioni di cadaveri, in tempo di pace.
Lo sterminio di quasi un quarto della popolazione cambogiana ad opera dei Kmer rossi di Pol Pot è avvenuto, anch'esso, in tempo di pace, nell'assordante silenzio del mondo.
Non è vero che solo la guerra distrugge vite umane. Ne distrugge altrettante una pace ipocrita che consiste nel lasciare che i boia facciano tranquillamente il proprio lavoro

Non sto sostenendo la tesi che si debba intervenire militarmente contro ogni dittatura. Un intervento militare è un atto gravissimo, dalle conseguenze a volte imprevedibili, da valutare con la massima freddezza ed attenzione. Ma non è neppure sostenibile la tesi di coloro che vorrebbero la pace sempre e comunque, ad ogni costo, qualsiasi cosa accada. Soprattutto, è inaccettabile la pretesa che questo desiderio di pace ad ogni costo sia qualcosa di eticamente superiore. Non lo è! Si può decidere di non effettuare un intervento militare. Questo non intervento, lasciando campo libero ad un regime criminale, causerà numerose vittime, ma le conseguenze di un intervento potrebbero essere ancora più disastrose. Ma, appunto, qui non siamo di fronte a scelte etiche, solo ad una valutazione il più razionale possibile del rapporto costi benefici. L'etica astrattamente intesa, la kantiana etica dei principi, richiederebbe semmai l'intervento militare contro ogni regime tirannico. E' la ragione calcolante, e la connessa etica della responsabilità, a spingere a valutazioni più ponderate. I pacifisti che si atteggiano a persone molto “morali”, molto attente al valore della vita umana, in realtà non lo sono per niente. Sono attenti solo alle vittime della guerra, meglio, della guerra condotta da certi paesi, quelli occidentali. Ma sono sordi, ciechi e muti di fronte allo spettacolo di vite umane mietute a milioni da regimi indecenti, in situazioni di angelica pace.

Non è vero quindi che la pace è sempre possibile. A volte lo è, altre volte no. A volte la pace ha, come la guerra, dei costi che val la pena di sostenere, altre volte i costi della pace, o della guerra, sono insostenibili.
Certo, in astratto la pace è la cosa migliore del mondo. Un mondo di persone morali, tolleranti, comprensive sarebbe un mondo di pace perpetua, e sarebbe anche un ottimo mondo.
Però, sarebbe ottimo anche un mondo privo di malattie e sofferenze, penuria e dolore.
Ma non è, e probabilmente non sarà mai, questo il mondo in cui viviamo. Dire: “la pace è sempre possibile” in fondo è un po' come dire: “la salute è sempre possibile” o: “il benessere, la felicità sono sempre possibili”. Sciocchezze.
La pace va pazientemente e realisticamente costruita, come vanno pazientemente costruiti decenti livelli di benessere e realisticamente ridotto l'impatto delle malattie e della sofferenza. Nulla però contribuisce tanto a costruire una pace solida quanto la sconfitta di chi fa del fanatismo e della prevaricazione la sua ragione di vita. Questo coloro che credono, o affermano di credere, che “la pace è sempre possibile” non lo capiranno mai.

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