domenica 23 aprile 2017

LA FRANCIA

Probabilmente Emmanuel Macron sarà il nuovo presidente dei francesi, tuttavia la partita è forse più aperta di quanto non possa sembrare a prima vista.
Sulla carta Marine le Pen non sembra avere speranze: tutti sono contro di lei. Ed il sistema a doppio turno, il peggiore che sia possibile immaginare, sembra fatto apposta per favorire le grandi alleanze contro il “nemico del popolo”. Marine potrebbe quindi fare la stessa fine del padre, sconfitto da un autentico plebiscito nel 2002. Anche allora ci fu la mobilitazione di tutti contro un uomo considerato, abbastanza a ragione, un estremista di destra. Ma non credo che oggi le cose possano andare nello stesso modo. Le forze cosiddette “populiste” non possono più, oggi, essere presentate come “fasciste e razziste”. Una simile definizione può affascinare i giovanotti dei centri sociali o un buon numero di giornalisti faziosi, non consistenti masse di elettori. I “populisti” non sono, probabilmente, in grado di vincere nell'Europa continentale, ma rappresentano ovunque una parte consistente dell'elettorato. Partiti “populisti” si collocano in numerosi paesi europei al primo o al secondo posto nelle preferenze degli elettori. Intercettano, cosa che dovrebbe far pensare i guru della sinistra, fasce consistenti di voto operaio. Farli passare per “fascisti” è un giochetto destinato a fallire. Per questo Marine le Pen sarà, probabilmente, sconfitta, ma non travolta da una valanga di voti a “difesa dell'Europa democratica”. Le indicazioni di voto date dai leader non contano molto al giorno d'oggi e fra due settimane gli elettori francesi potrebbero riservare a tutti una brutta, o bella, dipende dai punti di vista, sorpresa. Personalmente lo ritengo poco probabile ma... non si sa mai.
Poi c'è il problema delle elezioni legislative. Il nuovo presidente dovrà vedersela con un parlamento di colore diverso dal suo? Sarà un presidente capace davvero di operare o un mezzo presidente alla perenne ricerca di una maggioranza? Tutto da vedere.

Un dato mi ha particolarmente colpito: il risultato del voto a Parigi.
Parigi è la città europea più ferocemente colpita dal terrorismo, vive letteralmente in stato d'assedio. Eppure ha tributato un autentico trionfo a Macron ed una sonora batosta a Marine le Pen.
Non dispongo degli ultimi dati, le mie sono solo impressioni personali, ma un simile risultato non può che far sorgere la domanda: cosa sono diventate le grandi città europee?
Nel bene e nel male Parigi è da sempre la Francia. La città della “declaration des droits”, della Comune, delle lotte sul caso Dreyfus, del maggio 1968 e del successivo trionfo gollista. La città delle avanguardie artistiche, delle nuove correnti culturali. Una città fortemente permeabile al fascino perverso delle ideologie, forse, ma anche, fino in fondo, nel bene e nel male, una città occidentale. Lo è ancora? C'è da dubitarne. Certo, le grandi città sono strutturalmente “progressiste”, lontane da visioni localistiche della politica, tendenzialmente cosmopolite. E' vero per Parigi come per Londra o New York. Ma qui non si tratta di questo, non stiamo parlando di un generico posizionamento “a sinistra” dei grandi centri urbani. In questi centri gli elettori oggi premiano ideologie che col progressismo di sinistra non hanno nulla a che vedere. Cosa ha di “progressista”, cose c'è “di sinistra” nell'Islam? NULLA.
L'immigrazione incontrollata sta cambiando o ha cambiato radicalmente la composizione sociale delle grandi città. Intere zone di Parigi, come di Londra, non sono più occidente, questo è il punto. E' vero, il voto dei "nuovi francesi" va a personaggi come Macron, il cui mondialismo non è di certo compatibile col fondamentalismo islamico, ma si tratta in larga misura di un voto tattico, difensivo. Prima o poi a Parigi, e a Londra, e altrove cominceranno a sorgere partiti islamici e allora i “progressisti” potranno constatare quanto sia stata pagante la loro politica di tollerante accoglienza. Ma forse sarà troppo tardi.

Mi permetto di chiudere con un alcune considerazioni “private”.
Ho sempre amato le grandi città. Ho lavorato e vissuto per quasi tre anni a Milano e ne ho un bellissimo ricordo. Anche ora, che sono un vecchietto, ogni tanto prendo la macchina, vado sino a Milano, non ci vuole molto, e passo una mezza giornata a gironzolare per il centro. Guardo una vetrina, entro in una libreria... tutto molto, molto bello. Mi piace il traffico, le vetrine sfarzose, il vedere gente di tutti i tipi nelle strade. Mi ha sempre affascinato e mi affascina il cosmopolitismo, non sono affatto un “localista”. Amo la cucina giapponese, il pensiero cinese. Ho frequentato per anni un dojo di karate. Ma sono, fino in fondo, occidentale. E l'occidente è, si, apertura, ma anche tutela della propria identità. E' apertura all'altro sulla base della affermazione della propria identità. E questa le grandi metropoli occidentali non sembrano più in grado di garantirla. Per questo la salvezza può venire, oggi, non dalla grandi città ma dai piccoli centri. La cosa può non piacere, personalmente non mi piace. Ma chi ha detto che il mondo debba sempre piacerci?

1 commento:

  1. Sindrome di Stoccolma. Adorano chi li ammazza. Di questi individui penso che meriterebbero di essere obbligati a sorridere 24 ore su 24 come si fa in Corea del Nord, al punto da morire con il volto deformato.

    I politici possono fare le coalizioni, ma a votare è sempre il popolo. Ed è al popolo che dittatura, islam, shariah e sottomissione piacciono. (non penso che quelli che hanno votato Macron erano tutti musulmani)

    Da qualche parte (sicuramente nei paesi dell'est) saranno più furbi, e la libertà se la terranno ben stretta.


    Al contrario di te, io non amo le grandi città. Mi piacciono le città modeste come Tromsø. città si grande, ma come tranquillità è pari alla mia che ha un decimo degli abitanti di Tromsø. Le città come Milan, come Londra non mi piacciono, se non per storia, arte e musei. Troppa confusione.

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