giovedì 29 dicembre 2022

IL PD A CONGRESSO

Folli: «Il Pd deve decidere cosa essere a sinistra» - Tempi


Si avvicina il congresso del PD, un partito in crisi ma ancora importante nel panorama politico italiano. Il Pd costituisce la parte largamente maggioritaria della sinistra italiana ed ha la sua importanza per il paese, per tutto il paese, sapere che tipo di sinistra è quella che aspira a governarlo e, particolare non da poco, lo ha governato, più o meno direttamente, negli ultimi 10 anni. Val quindi la pena di prestare attenzione a quanto avviene in questo partito in crisi.
Il dibattito precongressuale che sta animando il PD mostra una particolarità che non può non stupire le persone che hanno della politica una concezione laica. Il congresso è presentato da molti  dirigenti e militanti del PD come una sorta di “giudizio di Dio”. Il partito deve sciogliersi, dice qualcuno. Siamo all’anno zero, replica qualcun altro. Dobbiamo fare un congresso aperto alle “istanze del sociale”, fa eco un terzo. E’ vero, il PD viene da una secca sconfitta, ma, cosa fanno i partiti normali dopo una sconfitta? Analizzano le loro politiche, sottopongono a critica il gruppo dirigente, cercano di individuare gli errori commessi e di correre ai ripari. Nessuno parla di “scioglimento del partito”, di “abbattere i muri fra partito e società civile”, nessuno evoca ipotetici “anni zero” o radicali "rifondazioni". Se qualcuno pensa che un certo partito abbia esaurito la sua funzione storica lo dice chiaramente. Si fa promotore di una scissione o invita tutti a tornare alla vita privata, o propone l’ingresso in un altro partito, punto e basta; senza strilli, prefigurazioni della fine del mondo, o dissertazioni pseudo colte sulla crisi irreversibile della “forma partito”.
Il PD non fa cose tanto semplici, i suoi leader, lo sappiamo bene, amano la “complessità”. Così mettono in atto una sorta di tragedia greca che con l’analisi politica ha poco a che vedere. In effetti ciò che lascia perplessi in quella sorta di psicodramma che sembra essere il congresso del PD è precisamente l’assenza di qualsiasi analisi politica, di ogni autocritica seria. Sono proprio quelli che con più vigore parlano di “anno zero”, “congresso aperto”, “scioglimento del partito nel movimento” a non avanzare alcuna critica seria alla politica che da tempo il PD ha fatto propria. Il PD viene da una secca sconfitta elettorale, su questo tutti sono, più o meno, d’accordo. Nessuno o quasi però si chiede se esista qualche legame fra la sconfitta e la politica delle porte spalancate all’immigrazione clandestina, lo pseudo ambientalismo alla Greta, il continuo strillare contro inesistenti “pericoli fascisti”. Quasi nessuno si chiede se perseguendo simili politiche il PD non si sia messo in rotta di collisione con le esigenze, gli interessi, i sentimenti di una parte importante, maggioritaria, del popolo italiano, anzi, spesso e volentieri c’è nel partito di Letta chi esprime sentimenti di autentico disprezzo verso questa componente del corpo elettorale.
Se si tiene conto di questo lo stesso insistente richiamo alla “apertura al sociale”, al “congresso aperto” si rivela per quello che è. Non si tratta tanto di cercare di cogliere esigenze forti, reali presenti nella società civile quanto di rapportarsi a ristretti gruppi di militanti super ideologizzati che con la società civile autentica hanno poco a che vedere. Sardine, centri sociali, studenti che scioperano contro “l’ingiustizia climatica”, esponenti del radicalismo femminista e gender, questi sembrano oggi gli interlocutori cui il PD intenderebbe “aprirsi”, rischiando tra l’altro di esser sdegnosamente rifiutato dagli stessi. Lo spettacolo umiliante di Letta che partecipa ad una manifestazione per la “pace” in Ucraina, in realtà di appoggio a Putin, e che viene insultato da molti manifestanti rispecchia bene la situazione di caos politico e culturale in cui versa oggi il principale partito di sinistra in Italia.

C’è da chiedersi: perché mai il PD, reduce da una secca sconfitta, porta avanti una simile politica che appare destinata a danneggiarlo? La risposta è a mio parere molto semplice: perché il PD resta un partito ideologico.
Risposta semplice dicevo, ma che merita di essere approfondita.
Il grosso del PD viene, è bene non dimenticarlo mai, dal vecchio PCI. Il vecchio PCI era un grande partito ideologico, con una sostanziale differenza rispetto all’attuale PD: la sua era una ideologia forte, radicata in una filosofia importante, anche se caratterizzata da errori gravissimi e potenzialmente assai pericolosi. Il vecchio PCI era un partito legato alla componente rivoluzionaria del marxismo, aveva una visione del mondo, dell’uomo e della storia unitaria e compatta ed una organizzazione conseguente. Nessuno nel vecchio PCI avrebbe mai osato proporre la “scioglimento del partito nel movimento”, meglio, chi lo avesse fatto sarebbe stato espulso in men che non si dica. In effetti chi, dopo il crollo del comunismo, è rimasto fedele a quella ideologia ha continuato a vivacchiare politicamente dando vita a partitini settari ed ultra minoritari, si veda il partito comunista di Rizzo. Chi invece ha preso atto di quanto di irreversibile è avvenuto nel 1989 poteva scegliere una strada diversa: dar vita ad un partito socialdemocratico aperto davvero, fino in fondo, al pluralismo sociale e politico, all’economia di mercato, alla democrazia rappresentativa. Il partito di una sinistra moderna, pragmatica, in una parola, occidentale. Non fu questa la scelta che venne fatta.
La mentalità ideologica è dura a morire. Chi chi per decenni ha sognato la perfezione sociale, ed in nome di tale futura, presunta, perfezione ha finto di non vedere l’abominio dei gulag e dei logoai, trova assai desolante ridurre i propri orizzonti alla gestione migliore possibile di società che sono, restano e resteranno imperfette. Così il i leader del futuro PD hanno sostituito alla vecchia, unitaria, totalizzante ideologia marxista leninista una sorta di insalata mista di ideologie in formato minore.
La rivoluzione proletaria, il paese del socialismo, la via italiana al socialismo, lo stesso eurocomunismo sono stati via via sostituiti prima dal “superamento”, pacifico ovviamente, del capitalismo, poi dal terzomondismo e poi, in un crescendo rossiniano, dall’adorazione per la magistratura, dall’immigrazionismo, dal femminismo radicaleggiante, dall’ideologia gender, dal radicalismo ecologico alla Greta, trasformato ormai in una sorta di nuova religione pagana. Ideologie in formato ridotto, prive di qualsiasi visione unitaria del mondo, dell’uomo e della storia, spesso in radicale contrasto fra loro, ma caratterizzate tutte da quelli che sono gli ingredienti principali di ogni ideologia: il rifiuto del principio di realtà, l’irrisione per la morale comune, la pretesa di anteporre se stesse agli esseri umani in carne ed ossa che vivono qui ed ora nel mondo. Il PD è oggi il partito che più di ogni altro sostiene e difende questa zuppa mista di piccole ideologie alla moda. Per questo assai più che il vecchio PCI è tanto amato da persone che con la vecchia, mitica classe operaia hanno poco o nulla a che vedere. E sempre per questo la struttura organizzativa del PD è radicalmente diversa da quella del vecchio PCI. Il centralismo democratico leninista, che di democratico aveva poco o nulla, è stato sostituito da una sorta di anarchia interna, con un partito diviso in gruppi, correnti e sottocorrenti in perenne lotta fra loro.

Il PD è insomma un partito ideologico di tipo nuovo. Una sorta di punto di raccolta, caoticamente diviso al proprio interno, di tante ideologie che tutte rivendicano il proprio valore assoluto in una sorta di paradossale pluralismo degli assoluti.
E, da buon partito ideologico, il PD reagisce alle sconfitte senza sottoporre a normale analisi e critica politica le proprie scelte. I vecchi partiti marxisti leninisti avevano la caratteristica di non riconoscere mai i propri errori. Non era un caso: il partito rappresentava “l’autocoscienza della storia” e come tale non poteva sbagliare. Quando il movimento comunista internazionale passò, per fare un solo esempio, dalla sciagurata politica del socialfascismo ai fronti popolari antifascisti non definì erronea la sua vecchia politica: il partito non sbagliava, era la “situazione oggettiva” ad essere mutata. Un partito come l’attuale PD non può, ovviamente, assumere un simile atteggiamento di fronte alle sconfitte che deve subire, ma non è neppure in grado condurre una normale, approfondita analisi dei propri errori. Così addebita le sconfitte al fatto di non essere stato abbastanza radicale. Avremmo dovuto essere più radicali nel nostro ecologismo, nel nostro femminismo, nel nostro mondialismo, siamo stati troppo timidi nel sostenere i nostri valori, questa la litania che tanti dirigenti del PD non si stancano di ripetere. Se un partito ideologico subisce sconfitte la cura è una sola: aumentare le dosi del suo radicalismo ideologico. La sconfitta è causata non dalla presenza ma dalla carenza di ideologia. Non solo: dimostrandosi non abbastanza radicale il partito ha dimostrato di essere malato, incapace di sostenere davvero, a tutti i livelli, i propri valori. Per questo va sottoposto ad una cura radicale. Non basta l’analisi degli errori, occorre una rifondazione radicale, assoluta. Se si mira alla perfezione sociale e si è sconfitti occorre tornare all’anno zero, ad un nuovo inizio che costituisca un paradossale avvicinamento al fine, meglio ai fini palingenetici che si intendono realizzare. Tutti i discorsi sullo “scioglimento” del PD, sulla sua apertura ad una presunta “società civile” hanno qui la loro origine. Chi persegue fini assoluti, addirittura una insalata mista di fini assoluti, deve sottoporsi ad una assoluta rifondazione in caso di errore. Il giudizio di Dio attende chi pretende di essere il profeta di Dio.
Per questo il dibattito che caratterizza oggi il PD è tanto carente di indicazioni politiche. Tutto si riduce in fondo ad una discussione sulla alleanza con il M5S e a considerazioni tattiche sul cosiddetto “campo largo”. Il partito che fu di Gramsci rischia di diventare il partito di Giuseppe Conte, il nulla fatto persona.

Qualcuno potrebbe dire: “meglio così”. Non credo abbia ragione. All’Italia servirebbe una sinistra moderna, pragmatica, occidentale. La si potrebbe votare o non votare, si potrebbe essere d’accordo o in disaccordo con le sue idee, valori, programmi, ma per il paese sarebbe positivo avere una sinistra siffatta, lontana dalle idiozie ideologiche che stanno appestando il clima culturale dell’occidente. La trasformazione del PD in una sorta di brutta copia delle componenti più estremiste del partito democratico americano non giova a nessuno. Per questo mi farebbe piacere se emergessero, nel corso del dibattito precongressuale del PD, posizioni politiche serie, magari non condivisibili, ma con le quali valga la pena di aprire un confronto politicamente e culturalmente elevato.
Una simile prospettiva per ora non sembra esistere. Purtroppo.

 

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