lunedì 20 febbraio 2023

I DUE VLADIMIR

Mi capita di leggere in rete post in cui si sottolinea la profonda trasformazione che in questi ultimi tempi ha subito la sinistra italiana, e non solo. La sinistra comunista è passata da Vladimir Lenin a Vladimir Luxuria, da Mosca a Washington, affermano alcuni. Una torsione a 180 gradi della propria storia, il passaggio da una ideologia che nega sostanzialmente il concetto stesso di libertà individuale ad un’altra che teorizza una libertà individuale del tutto scissa dal riconoscimento di qualsiasi oggettività sociale, naturale o etico - valoriale. Dalla negazione dell’individuo ad un individualismo che degrada in mero soggettivismo, questo il percorso. Si tratta di una analisi che merita di essere approfondita (le due ideologie contrastano fra loro  meno di quanto possa a prima vista apparire) ma che di certo coglie alcuni aspetti del reale.
Il problema è che molti di coloro che sottolineano questa torsione politica, teorica e culturale della sinistra di fatto rimpiangono la sinistra VECCHIA. Per essere chiari, preferiscono Valdimir Lenin a Vladimir Luxuria, Mosca a Washington.
E qui casca l’asino.
Personalmente non ho simpatia alcuna per Luxuria e sono convinto che fra lui e Vladimir Lenin il confronto politico culturale sia improponibile. Il Vladimir russo era un politico di prim’ordine, un discreto teorico marxista ed aveva una forza intellettuale che il Vladimir italiano neppure si sogna di possedere. Però se fossi obbligato a scegliere fra i due, con la morte nel cuore sceglierei il Vladimir italiano.
Perché? La risposta è molto semplice.
Il Vladimir russo conquistò il potere con un colpo di mano impropriamente definito “rivoluzione”. Subito dopo sciolse l’assemblea costituente che il suo stesso partito aveva chiesto. Tappò la bocca alla stampa, mise fuori legge tutti i partiti non bolscevichi, poi vietò le correnti all’interno del suo stesso partito. Condusse la guerra civile con una ferocia non inferiore, probabilmente superiore, a quella dei suoi nemici “bianchi”, ordinò la costruzione dei primi campi di concentramento in cui imprigionare rivali politici ed elementi “antisociali”, il germe dei futuri gulag staliniani. Durante il cosiddetto “comunismo di guerra” mise in atto una politica di feroci requisizioni dei raccolti ai contadini, con conseguente carestia e moltissimi morti per fame, prima avvisaglia delle terrificanti carestie successive. Perseguitò con ferocia fanatica la chiesa ortodossa.
Per farla breve, dietro al Vladimir russo ci sono fucilazioni, morti, carceri, campi di concentramento, cose di cui di certo non è responsabile il Vladimir italiano. Per me questi sono fondamentali criteri di giudizio, per latri no. Altri non fanno distinzioni fra l’insostenibile leggerezza della vacua ideologia politicamente corretta e l’opprimente, mortifera pesantezza del totalitarismo. Anzi, le fanno le distinzioni e scelgono la seconda. A qualcuno sembra che le pagliacciate del festival di Sanremo siano tutto sommato meno gravi delle montagne di cadaveri del comunismo sovietico.
Ne abbiamo avuto la riprova con la guerra in Ucraina, quando molti critici dei mali dell’occidente hanno scambiato un autocrate con un possibile salvatore.
Considerazioni simili si possono fare riguardo all’Iran. Per certi occidentali la generosa rivolta di tante donne e di tanti uomini iraniani sarebbe una sorta aspirazione al “consumismo compulsivo”. Così non è, ma, lo dico fuori dai denti: e se anche così fosse? Forse che il velo obbligatorio, le fustigazioni o le lapidazioni delle adultere, la prigione, se non la forca, per gli omosessuali sono da preferire al cosiddetto, e mai definito con precisione, “consumismo compulsivo”?
Personalmente non ho dubbi. Considero l’occidente una civiltà in crisi e sono convinto che se non si pone rimedio a tale crisi la nostra grande civiltà rischia il tracollo. Ma se devo scegliere fra l’occidente, sia pure malato, e gli altri scelgo l’occidente, senza se e senza ma.
Con tutte le critiche che posso fare agli USA fra Mosca e Washington scelgo Washington.
E tanto basta.


 

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