Prima l’orsa, poi il papa che non benedice un cagnolino, ed in
entrambi i casi scoppia in rete un dibattito surreale, caratterizzato
spesso da livelli imbarazzanti di ignoranza ed irrazionalità. Infine arriva il dramma dell'Emilia allagata ed inizia una discussione infinita non su ciò che si può e si deve fare per tutelare il territorio ma sugli onnipresenti "mutamenti climatici" ormai diventati per qualcuno la causa di tutto e del contrario di tutto.
Non
intendo ripetere cose che ho già detto molte, forse troppe, volte, preferisco concentrare
l’attenzione su un concetto che è sottinteso in molte discussioni
ma che raramente emerge in tutta la sua rilevanza. Si tratta del
concetto di antropocentrismo.
Piaccia o non piaccia la cosa la
religione cristiana è antropocentrica, anzi, sono antropocentriche
tutte le religioni monoteiste. Non sono antropocentriche, o non lo
sono chiaramente, in maniera esente da contraddizioni, un po’ tutte
le concezioni filosofiche e religiose di tipo panteista.
Il
panteismo però è in netto contrasto col monoteismo, in
particolare con quello cristiano che, anche per questo, è
radicalmente antropocentrico, su questo non sono leciti dubbi. Ma
cosa è l’antropocentrismo?
In linea di massima possiamo
definire antropocentrismo quella concezione, o insieme di concezioni
secondo le quali l’uomo è al centro del creato, al centro, si badi
bene, non in senso fisico: non esiste legame necessario fra
antropocentrismo e geocentrismo, l’inequivocabile antropocentrismo
di Aristotele, ad esempio, non deriva dalla sua concezione del cosmo
e delle sfere celesti. L’uomo è al centro nel senso che occupa di
una posizione particolare nel mondo: è inferiore a Dio, o agli Dei
e, nella cristianità, alle nature angeliche, ma gode di una status
ontologico ed etico diverso e superiore a quello delle altre
creature. Non occorre essere credenti per condividere una simile
concezione dell’uomo. Nell’universo aristotelico l’uomo gode di
uno status superiore perché è l’unico animale razionale (e
politico), l’unico che possiede tutte e tre le componenti
dell’anima: quella vegetativa, quella sensitiva e, appunto, quella
razionale. In Kant la superiorità dell’uomo è legata soprattutto
al fatto che questi è l’unico ente capace di sentirsi obbligato
dai comandi dell’imperativo categorico; anche un filosofo che può
essere considerato vicino al panteismo come Hegel riconosce all’uomo
un carattere unico nel mondo: è attraverso qualcosa di profondamente
umano come la filosofia che l’assoluto giunge alla piena
autocomprensione di se stesso. Mentre per i giusnaturalisti ed i
padri del pensiero liberale l’uomo è l’unico essere dotato di
diritti naturali per Marx è l’unico che costruisce, modificando
coscientemente la natura, le proprie condizioni materiali di
esistenza... si potrebbe continuare molto a lungo. Una cosa però è
certa: si può essere o meno d’accordo con le numerosissime
filosofie antropocentriche, se ne possono criticare, accettare o
rifiutare le categorie portanti, ma non è possibile ignorarle. In
ogni caso l’antropocentrismo non riguarda solo i credenti.
Esiste
tuttavia un modo di intendere l’antropocentrismo che, in mancanza
di una sua chiara esplicitazione, rischia di indurre grossi equivoci
in ogni discorso sull’argomento.
Si tratta di quella che
potremmo definire una concezione armonica dell’antropocentrismo.
Secondo questa concezione l’uomo sarebbe al centro di una
natura finalizzata al suo benessere ed alla realizzazione dei suoi
valori. Non esisterebbe alcun contrasto fra uomo e natura non umana:
tutto sarebbe retto da una dolce armonia che l’uomo dovrebbe, nel
suo interesse, rispettare. Ci si adegui agli armoniosi equilibri di
“madre natura” e si vivrà felici e contenti.
E’ come
minimo molto dubbio che l’antropocentrismo cristiano sia di questo
tipo. Una simile natura armoniosa può caratterizzare il paradiso
terrestre, di certo non caratterizza il mondo in cui Dio ha
condannato l’uomo a vivere dopo la caduta. In questo mondo l’uomo
dovrà guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte, potrà
cercare di utilizzare a suoi fini ciò che la natura gli offre ma
questo sarà per lui faticoso e pericoloso.
Se non caratterizza
l’antropocentrismo cristiano questa concezione è invece
caratteristica di molte ideologie radical ecologiche. La natura è
“buona” e l’uomo deve adeguarsi ai suoi ritmi. Se non lo fa si
trasforma in “cancro del pianeta”. Siamo di fronte ad una
traiettoria tipica del radicalismo ecologico: si parte da un
antropocentrismo mistico in cui non esiste contrasto alcuno fra uomo
e natura, poi, visto che il contrasto esiste, lo si addebita all’uomo
che nella sua folle “volontà di potenza” rompe gli armoniosi
equilibri naturali. L’antropocentrismo mistico si trasforma in odio
per l’uomo. La natura è armoniosa, è l’uomo a non esserlo, è
lui che potrebbe “distruggere il pianeta”. Però… però anche
l’uomo fa parte della natura: Come possa qualcosa di tanto
“armonioso” produrre il suo distruttore è e resta un mistero.
Ma non finiscono qui le assurdità. La tesi misticheggiante
secondo cui la natura sarebbe un tutto armonioso in grado di
soddisfare esigenze e valori umani viene ampliata e trasformata nel
mito di una natura finalizzata alla tutela di tutte le specie
viventi. Inizialmente questa tesi riguarda solo le specie animali:
madre natura assicura il benessere di uomini ed animali, poi viene
estesa a tutti i viventi, infine a tutti gli enti, viventi o non
viventi che siano. Siamo, appunto, in piena mitologia. Basta avere
qualche scarsa nozione di storia naturale per sapere che
innumerevoli specie animali e vegetali si sono estinte nel corso del
tempo e non occorre essere scienziati per sapere che nell’universo
ogni momento un numero enorme di stelle e pianeti viene assorbito da
qualche buco nero, o che un bel giorno il sole collasserà e sparirà
ogni traccia di vita sulla terra. Anche prescindendo da questo, la
semplice osservazione ci dice che sulla terra la conservazione delle
specie, quando e fino a che c’è, si perpetua tramite il sacrificio
dei singoli e questo è, per definizione, molto poco
“armonioso”.
Qualsiasi concezione dell’antropocentrismo
basata su una presunta, dolce, armonia fra uomo e natura conduce
inevitabilmente a forme irrazionali di mitologia se non ad un
pericolosissimo odio dell’uomo nei confronti di se stesso.
Ovviamente esiste, deve esistere, una certa armonia fra uomo e
natura: se non esistesse la stessa vita dell’animale uomo sarebbe
impossibile, ma si tratta di una armonia precaria, difficile da
raggiungere e mantenere, meglio, si tratta di una armonia non
automatica che non è detto garantisca la vita ed il benessere degli
umani, e non solo. La natura permette ma non garantisce affatto la
vita, meno che mai il benessere, dell’uomo e, a ben vedere le cose,
di nessun essere vivente. Ogni specie vivente, uomo, animale o
addirittura pianta che sia, deve lottare solo per poter sopravvivere.
L’uomo deve lavorare duramente, modificare la natura circostante
per migliorare la sua condizione, ma questa sua attività crea di
continuo nuovi problemi, lo mette di fronte a nuovi pericoli. Questo
è il robusto grumo di verità che sta dietro a tante teorie
ambientaliste: siamo costretti a modificare la natura per vivere e
svilupparci, ma queste modifiche nascondono insidie e pericoli.
Peccato che molti ambientalisti, o pseudo tali, invece di
approfondire questo aspetto importante delle loro dottrine, si
lascino trascinare verso forme inaccettabili di irrazionalismo
mistico.
L’antropocentrismo autentico ha poco o nulla a
che vedere con la mistica di una natura finalizzata alla
preservazione di tutte le forme di vita, meno che mai alla
realizzazione di valori umani. Il vero antropocentrismo si limita ad
assegnare all’uomo un valore diverso e superiore rispetto a tutte
le altre specie viventi, più in generale alla natura non umana. Fra
uomo e natura non umana esiste di certo molta continuità, ma esiste
anche una frattura, una discontinuità radicale sia etica che
ontologica. L’uomo non è un animale un po’ più intelligente
degli altri, è un essere capace di progettare la propria vita e di
operare in conseguenza. Cosciente ed autocosciente impara dai propri
errori e per questo accresce di continuo il suo patrimonio
intellettuale, si rapporta non solo al reale ma anche al possibile,
può addirittura pensare l’impossibile. Soprattutto l’uomo
capisce la differenza fra il bene ed il male, è l’unico animale di
cui si può dire che sia buono o cattivo, colpevole o innocente di
qualcosa, l’unico che possa essere punito, o premiato, per le
proprie azioni. Anche gli animali vengono spesso “premiati” per i
loro comportamenti, ma questo fa parte delle tecniche di
addestramento, non si tratta di un vero premio, della ricompensa per
aver agito bene. Allo stesso modo nessun animale può ragionevolmente
essere “punito” per ciò che fa, l’eventuale abbattimento della
famosa orsa che ha fatto scorrere autentici fiumi d’inchiostro, non
è una “punizione” per un “omicidio”, semplicemente una
misura, giusta o sbagliata, a tutela della pubblica sicurezza. E’
deprimente dover constatare che tanti, a cominciare dal sempre più
incredibile Vittorio Feltri, non riescano a capirlo.
Radicale
discontinuità fra uomo e natura non umana: questo il succo del vero
antropocentrismo che, val la pena di ripeterlo, non è monopolio dei
credenti. Discontinuità che non implica affatto, dovrebbe essere
scontato, alcun atteggiamento sprezzante dell’uomo nei confronti
della natura non umana. L’uomo non si limita ad usare a suoi fini
ciò che la natura gli offre, è anche l’unico essere capace di
ammirarne la bellezza, può interrogarsi sul posto che egli occupa
nell’universo ed esitare ad accettare o rifiutare modifiche troppo radicali
dell’ambiente, non solo per le loro conseguenze estetiche negative.
L’uomo può ammirare gli animali e provare per alcuni di loro
sentimenti di affetto, forse addirittura di amore. Siamo capaci di
metterci nei panni degli altri e possiamo compatire le sofferenze
anche di creature non umane e cercare per quanto possibile di
alleviarle. Tutto questo però non nega la radicale discontinuità
fra uomo e natura non umana: essere antropocentrici non vuol dire
disprezzare tutto ciò che non è umano, vuol dire capire che anche i
sentimenti positivi che proviamo nei confronti della natura non umana
sono qualcosa di profondamente umano, non ci mettono sullo stesso
piano dei monti e dei mari, degli abeti, dei grilli, delle pantere e
nemmeno dei nostri amati cagnolini.
Qualcuno che accetta
una concezione simile a quella che ho cercato di esplicitare ne trae
però a volte conseguenze assolutamente inaccettabili che val la pena
di esaminare con un minimo di attenzione.
Proprio perché siamo
umani, questo il succo del loro discorso, abbiamo il dovere di
rispettare la natura non umana, animali in testa.
Inteso in
senso debole questo discorso è del tutto condivisibile, si risolve
in considerazioni simili a quelle fatte sopra su un rapporto
equilibrato e rispettoso fra uomo e natura, purtroppo però molti non
si limitano a questo, il succo del loro discorso è radicalmente
diverso. Proprio perché umani, ecco il succo, dobbiamo riconoscere
dignità etica alla natura non umana. Gli animali si umanizzano,
diventano persone morali cui dobbiamo lo stesso rispetto dovuto a
uomini, donne e bambini. Questo è alla base delle tanto declamate
teorie “antispeciste”: tutti gli esseri viventi hanno pari
dignità etica, non esistono discontinuità morali nella natura: una
orata ed un uomo, il cucciolo di cinghiale ed un neonato sono sullo
stesso piano. L’orso vale quanto se non più dell’uomo. La cosa
ridicola e logicamente contraddittoria è che si arriva a simili
conclusioni partendo dalla affermazione della superiorità etica
dell’uomo. Siamo superiori, “quindi”, in nome della nostra
superiorità, dobbiamo parificarci agli altri esseri viventi. Siamo
capaci di comprendere l’importanza dell’imperativo etico “quindi”
dobbiamo moralizzare tutto. In nome della morale si pretende di
moralizzare ciò che si colloca fuori dalla morale.
Discorsi
come quello che stiamo esaminando non sono solo autocontraddittori,
rivelano una superficialità di pensiero semplicemente desolante. Chi
li fa dimostra di avere una concezione poco seria dell’etica e di
non saper vedere neppure le conseguenze più immediate,
macroscopiche, di certe affermazioni.
Se riconosco ad X
la dignità di persona morale sono moralmente obbligato a rispettare
moralmente X, a rispettarlo sempre ed in maniera
generalizzata, sono obbligato a rispettare tutte le X esattamente
come rispetto tutti gli esseri umani.
Molti invece affermano che si deve rispettare X salvo poi
motivare un simile rispetto con considerazioni che con la morale
hanno poco a che vedere. Ad esempio i fanatici del veganismo
giustificano spesso e volentieri le diete vegane con l’argomento
che queste sarebbero “salubri”. E no, cari signori! Anche
ammesso, e non concesso, che le diete vegane siano salubri non può
essere questo il motivo che vi spinge a seguirle, se davvero
intendete riconoscere agli animali la dignità di persone morali!
Cosa direbbe ognuno di noi ad un tale che affermasse che lui non
mangia i bambini perché farlo gli farebbe aumentare troppo l’indice
glicemico? Non giudicheremmo criminale un simile individuo?
Ma
lasciamo perdere… quello che stupisce in tanti, e tanto diffusi,
discorsi è la totale incapacità di andare un centimetro oltre
l’apparenza immediata. Si parla degli animali come di persone
morali e si pensa che tutto si riduca all’abbandono delle diete
carnivore. Queste dovrebbero esser vietate all’unico animale in
grado di comprendere (solo raramente di seguire) l’imperativo
morale e concesse a tutti gli altri, pure promossi al rango di
persone morali, con conseguenze a dir poco assurde. Prendo un pollo,
lo faccio a metà, mangio io la prima metà e do’ l’altra in
pasto al mio cane. Se fossere vere certe teorie commetterei un
crimine per il mezzo pollo che mangio io, non ne commetterei invece
nessuno per la metà che dò al mio amico a 4 zampe… ridicolo.
Di
nuovo, lasciamo perdere… la cosa davvero importante non è questa,
in fondo. Ciò che davvero stupisce è l’incapacità di capire che
la rinuncia alle diete carnivore, o anche a cibi come latte, formaggi
e uova non farebbe fare un passo avanti verso la soluzione del
problema. Se gli animali non umani sono soggetti morali la loro
dignità etica viene offesa non solo se li si uccide per mangiarli.
Coltivare grano, abbattere alberi, costruire case, fabbriche, strade,
ponti, scuole ed ospedali, sperimentare farmaci sono tutte attività
che ledono i “diritti” ed uccidono moltissimi animali non umani.
L’agricoltura uccide molti più animali che non la tanto detestata
caccia, il bisonte americano è stato messo a rischio estinzione non
dalla caccia dei cosiddetti “nativi americani” ma dall’estensione
degli insediamenti umani e delle coltivazioni, dalla costruzione
delle grandi linee ferroviarie. Gli stessi sentimenti di affetto che
proviamo nei confronti di certi animali ne uccidono moltissimi
altri; chi ha dubbi in proposito visiti uno dei tanti negozi in cui
si vendono prodotti per animali e mi sappia dire. In breve, si prenda
minimamente sul serio la pretesa di conferire dignità etica agli
animali non umani e l’intero processo di civilizzazione, compresa
in questo la coscienza ambientalista, va a farsi benedire. Le cose,
ovviamente, diventano ancora più complicate, il groviglio di
contraddizioni ancora più insolubile, se il riconoscimento della
personalità etica viene esteso, oltre che agli animali, a tutta la
natura non umana, cosa che fanno con lucida ma folle coerenza i
mistici dell’ecologia più radicali. In effetti, se un topo vale
quanto un uomo perché mai un abete non dovrebbe valere quanto un
topo? E perché mai la stupenda vetta ghiacciata del bianco dovrebbe
valere meno di un abete?
“Due cose riempiono l’animo
di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente quanto più
spesso e più a lungo le riflessione si occupa di esse: il cielo
stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me” scrive Kant
al termine della “critica della ragion pratica” e
prosegue: “il primo spettacolo di una quantità innumerevole di
mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve
restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo)
la materia dalla quale si formò dopo esser stata provvista per breve
tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo invece eleva
infinitamente il mio valore…” (1)
L’uomo è piccola,
piccolissima cosa nel cosmo, non può non ammirare, colmo di stupore,
la bellezza e la potenza della natura, non può non provare un
sentimento di rispetto nei confronti dell’infinità che lo
sovrasta: il kantiano cielo stellato sopra di me. Ma l’uomo sente,
sente, non sa, che forse non è solo natura, che
qualcosa dentro di lui lo rende diverso da tutto ciò che non è
umano: la legge morale, e non estende al cielo stellato, alla natura,
quel “qualcosa” che è dentro di lui.
L’antropocentrismo
in fondo è solo questo: rifiuto di estendere al cielo stellato che
ci circonda ed è infinitamente più grande, forte e potente di noi
ciò che è dentro di noi e conferisce alle piccole, deboli, limitate
creature che siamo una dignità particolare, forse unica. Siamo solo
una debole canna, diceva Pascal, ma una canna che pensa e questo fa
di noi qualcosa di molto, molto importante. Estendere al cielo
stellato, alla natura, la legge morale non rende morale la natura,
non la trasforma in debole canna pensante, distrugge invece ciò che
è essenziale alla canna, la degrada e la uccide. Natura e morale non
possono essere confuse, farlo degrada entrambe. Essere morali vuol
dire cercare di instaurare rapporti etici con altri esseri morali e
rispettare, senza moralizzare, ciò che morale non è. Tutto il resto
è solo balbettio irrazionale e non morale.
PS
In breve appendice, due parole sul recente rifiuto del papa di benedire il
cagnolino di una signora.
A parte il fatto che è abbastanza inaccettabile, e colma di pauperismo deteriore, la tesi secondo cui, visto che tanti esseri umani nel mondo soffrono la fame, non si può amare il proprio cane, a parte questo, dal punto di vista teologico il rifiuto
papale è giustificato, ma probabilmente lo sarebbe stato anche il consenso a benedire. In
fondo si benedicono auto, case, strade ed anche animali. E’ vero,
si potrebbe obbiettare, ma si tratta di benedire oggetti ed anche
animali in vista della loro utilità per l’uomo, non in se stessi.
Però anche il cagnolino poteva essere benedetto per gli stessi
motivi: l’amicizia con un cane può migliorare la vita di un essere
umano, questo è innegabile. Ho letto che la signora avrebbe detto al
papa che il cagnolino sarebbe “suo figlio”. Questo è
inaccettabile, non solo per un papa, ma… sinceramente non credo che
la signora intendesse davvero che il cane fosse suo figlio.
“Esco
col bambino”. Mi capita spesso di dire questo a mia moglie quando
porto il nostro cagnolino a spasso. Ovviamente sappiamo benissimo che il
nostro simpatico Bolt non è un bambino… a volte bisognerebbe
evitare di prendere le parole troppo alla lettera.
In definitiva, il
papa poteva benissimo esaudire il desiderio della signora, anche se
val la pena di aggiungere che se lo avesse fatto i fanatici
dell’animalismo avrebbero presentato il suo gesto come una sorta di
alto riconoscimento della parità etica fra animali ed esseri umani.
A ben vedere le cose questo papa ha già fatto numerosissime
concessioni al panteismo, se in passato le avesse limitate avrebbe
potuto benedire il cagnolino senza esporsi al rischio di
interpretazioni distorte del suo gesto.
E tanto basta,
direi.
Note
1) Immanuel Kant: Critica della ragion
pratica. Laterza 1983 pag. 197.
Nessun commento:
Posta un commento