domenica 18 giugno 2023

SILVIO BERLUSCONI. GRANDEZZA E LIMIITI

Berlusconi ai servizi sociali - ilGiornale.it

Che Berlusconi sia stato un grande imprenditore è impossibile negarlo. Qualcuno può obbiettare che ha goduto di appoggi politici, ma, di grazia, è possibile svolgere attività imprenditoriale senza appoggi politici in un paese ammalato di statalismo come l’Italia? Lasciamo perdere. A distanza di qualche giorno dai suoi imponenti funerali vorrei scrivere solo sul Berlusconi politico, quello che in fondo più interessa alla gran maggioranza dei suoi amici come dei suoi rivali.
Un discorso pacato sul Berlusconi politico non può che partire dal ricordo di un anno memorabile: il 1989.
Nel 1989 il comunismo crollava, per lo meno in Europa e nel nel paese in cui era nato. Crollava quello che per decenni era stata definito come la meta finale della storia, anzi, come diceva Marx, la fine della preistoria del genere umano, il “passaggio dal regno della necessità a quello della libertà”. E questo luminoso “regno della libertà” non era nelle teorizzazioni dei comunisti un mero ideale, una sorta di idea platonica, no, era qualcosa che si incarnava in un una concretissima esperienza storica, in un paese, in un gruppo di paesi: l’URSS di Stalin prima, poi i paesi “liberati” nel 1945 dall’armata rossa, poi la Cina di Mao, la Cuba di Castro, la Cambogia di Pol Pot, il grande “campo socialista”, contrapposto all’imperialismo capitalista a guida americana.
Nel 1989 il comunismo crollava, per lo meno in Europa e nella sua prima roccaforte. Crollava lasciandosi alle spalle decine di milioni di cadaveri, economie distrutte, classi dirigenti, culture e tradizioni nazionali fatte a pezzi, un enorme, pauroso deserto. Il “regno della libertà” si era rivelato per quello che era e non poteva non essere: una delle più spaventose tirannidi totalitarie di ogni tempo.
L’esperienza del comunismo ha avuto conseguenze negative anche nei paesi che non la hanno vissuta direttamente. L’Italia è stato il paese occidentale in cui la presenza ed il peso politico dei comunisti, pure minoritari, è stata più forte. Questo ha fatto si che il nostro paese diventasse una democrazia bloccata. In Italia per molti decenni non è esistito alcun tipo di alternanza: un partito, la DC, aveva il monopolio del governo ed un altro, il PCI, quello della opposizione. Questo doveva indurre nella politica italiana fortissimi elementi di degenerazione e corruzione, amplificati dalla egemonia culturale che lo statalismo ha sempre avuto nella storia dell’Italia repubblicana.
Il crollo del comunismo scompaginava il quadro. Crollato lo stato guida, dissoltosi il “campo socialista” al vecchio PCI non restavano che due alternative: accettare un minoritarismo strategico, diventare il partito dei profughi del comunismo staliniano, o castrista, o maoista, poco importa, oppure accettare senza riserve la democrazia parlamentare fino a ieri definita “borghese”. Accettarla, qui è il vero punto di svolta, non come opzione tattica o strategica ma come valore. Sin dal secondo dopoguerra il vecchio PCI aveva messo la difesa della democrazia al centro dei suoi programmi, ma sempre, fino al 1989, aveva anteposto alla democrazia “borghese” il sistema socialista, la pseudo democrazia “sovietica”. Anche il PCI di Berlinguer, il più revisionista dei comunisti italiani, aveva messo la “fuoriuscita dal capitalismo” come suo obiettivo di fondo; da qui la persistente doppiezza del comunismo italiano: legalitario e democratico in Italia ma legato all’esperienza mostruosa del comunismo sovietico. Tutti i distinguo, le prese di distanza del PCI berlingueriano non avevano rotto il legame fra questo partito ed uno dei totalitarismi più sanguinari della storia.
Il crollo del comunismo obbligava i comunisti italiani ad una scelta netta: non si trattava di elaborare vie “nazionali” al socialismo, si trattava di superare l’idea stessa della “fuoriuscita dal capitalismo”, quindi dalla stessa democrazia “borghese”. Sappiamo quale fu la scelta dei più intelligenti fra i dirigenti del vecchio PCI. Rifiutarono di diventare il mini partito dei puri e duri, accettarono le istituzioni democratico borghesi e la stessa economia di mercato. Lo fecero però in maniera parziale, reticente, contraddittoria. Conservarono la venerazione nei confronti di uomini politici lontani anni luce dal liberalismo e dalla democrazia parlamentare, due nomi per tutti: Palmiro Toglietti ed Antonio Gramsci che solo a prezzo di mistificazioni enormi possono esser spacciati per sostenitori della democrazia liberale. Soprattutto il vecchio PCI, trasformandosi prima in PDS, poi in DS, poi in PD aveva conservato, per lo meno in larga parte del suo gruppo dirigente e della sua base una pericolosa forma mentis ideologica. Abbandonata la vecchia, compatta e profonda filosofia marxista l’ex PCI restava aperto all’influsso di una enorme quantità di ideologie leggere: il mondialismo immigrazionista, il misticismo ecologico, il femminismo radicale. Il comunismo non diventava liberale ma liberal.

Eppure nel 1989 proprio questo partito giunse ad un passo  dal diventare il maggior beneficiario del crollo del comunismo. Il comunismo crollava, l’Italia cessava di essere una democrazia bloccata ed i beneficiari di questo nuovo stato di cose rischiavano di essere proprio i maggiori responsabili del blocco pluridecennale della democrazia italiana. Mentre polacchi, ungheresi, rumeni, tedeschi dell’est non volevano più neppur sentir parlare di comunismo i post comunisti italiani erano sul punto di conquistare il governo del paese. Una situazione tanto paradossale non si spiega solo col legittimo desiderio di cambiare cresciuto nel paese in decenni di democrazia bloccata. A rendere possibile il paradosso dei post comunisti beneficiari del crollo del comunismo è stata, lo sappiamo bene tutti, l’azione della magistratura. Certo, questa azione era in parte giustificata dal crescere nel paese della corruzione, ma è impossibile negare il suo orientamento politico. Una parte almeno della magistratura mirava ad accrescere il suo potere, per farlo aveva bisogno di una sponda politica, inesistente nei decenni della democrazia bloccata. Ora questa sponda emergeva ed era costituita dai post comunisti. Questo spiega perché le inchieste, in larga misura centrate sul finanziamenti illecito della politica, abbiano solo sfiorato un partito che era stato per decenni finanziato da un paese in cui gli oppositori politici, veri o presunti, finivano, nel migliore dei casi, nei manicomi.
Il ciclone giudiziario di “mani pulite” distrusse praticamente tutta la classe politica che aveva governato l'Italia per quasi mezzo secolo. Solo un partito attraversò quasi illeso la bufera mediatico giudiziaria che aveva letteralmente distrutto partiti del calibro del PSI e della DC: l’ex partito comunista. Dire che “mani pulite” portò i post comunisti alle soglie del governo è molto riduttivo. Le inchieste giudiziarie non solo portarono i post comunisti alle soglie del governo, li lasciarono praticamente senza rivali. Se si esclude l’irrilevante MSI all’inizio degli anni 90 dello scorso secolo l’ex PCI era il solo partito ancora in piedi, sostanzialmente intatto. Il crollo del comunismo aveva creato il vuoto attorno ai post comunisti. Non credo si sia mai vista nella storia una situazione tanto paradossale.
E’ allora che “scende in campo” Silvio Berlusconi. E scompagina tutto. Crea in pochi mesi un partito del tutto nuovo intorno al quale coagula quella che in Italia è da sempre la maggioranza dell’elettorato. Ed impedisce una vittoria dei post comunisti che quasi tutti davano per certa. Quella di Berluscoini non è però una semplice vittoria elettorale: in fondo alle elezioni si vince e si perde e Berlusconi perderà più di una volta la sfida elettorale. La discesa in campo di Berlusconi è qualcosa di più di una abile e vincente mossa elettorale: quella discesa in campo restituisce ai moderati la loro casa politica che “mani pulite” aveva letteralmente fatto a pezzi. Senza la rapida ricostituzione di una casa politica per l’elettorato di centro destra i post comunisti non si sarebbero limitati a vincere: sarebbero stati praticamente privi di rivali capaci di contrastarli. Con la sua mossa Berlusconi crea le condizioni per una autentica democrazia della alternanza, impedisce che l’Italia, dopo i decenni della prima repubblica, cada in una nuova forma di democrazia bloccata, assai peggiore della prima: una democrazia bloccata per mancanza di partiti in grado di opporsi alla egemonia delle sinistre al governo. Berlusconi scompagina i piani dei post comunisti e di quella parte della magistratura che, vedendo in questi una possibile sponda politica, li aveva agevolati in maniera decisiva. Non gliela perdoneranno mai.

Ed in effetti si scatena contro Berlusconi, subito dopo il suo ingresso in politica, una campagna mediatico giudiziaria senza precedenti nella storia. Centinaia di inchieste, decine di processi, migliaia di ore di intercettazioni, perquisizioni a raffica nelle sedi Mediaset.
Berlusconi era sceso in campo promettendo una “rivoluzione liberale”, grazie a lui per la prima volta era nato in Italia un partito liberale di massa, basterebbe questo a renderlo grande. Però quella rivoluzione liberale è rimasta il larga misura solo una promessa. Questo gli è stato rimproverato più volte da persone certamente lontane da ogni forma di preconcetto “antibertlusconismo”. La critica è in larga misura giusta, ma non tiene conto della situazione folle in cui il cavaliere si è trovato sin dall’inizio ad operare. Dal giorno della sua “scesa in campo” a quello della sua morte il cavaliere è sempre stato sotto inchiesta, sempre imputato in qualche processo, o in più processi contemporaneamente. Non solo, sin dall’inizio si è scatenata contro di lui una campagna mediatica senza precedenti nella storia dei paesi occidentali. Il grande manipolatore, l’imperatore dei media è stato al centro di un attacco mediatico mai visto in precedenza, assediato da magistrati ed attori comici, filosofi e cantanti, ballerine e professori di università, tutti concordi nell’attribuirgli tutti o quasi i mali del mondo. Direi che ha qualche giustificazione se non è riuscito a realizzare le parti più importanti del suo programma.
Se una cosa stupisce nella vicenda politica di Berlusconi questa è proprio la sua incredibile capacità di resistenza. Berlusconi ha saputo resistere: dato più volte per finito è rimasto in piedi. Nessuno oggi ricorda personaggi come D’Alema o Fini, Casini o Bertinotti, Occhetto o Pecoraro Scanio. Tutti invece, penso, ricorderanno dove erano e cosa facevano nel momento in cui hanno appreso della scomparsa di Silvio Berlusconi. Piaccia o non piaccia la cosa anche questo ha un certo valore politico.

Non ho la minima intenzione di santificare Silvio Berluscini, né di negare quelli che a me paiono suoi gravi errori politici. Il fatto che sia stato costretto ad agire in circostanze eccezionali non annulla la gravità di quegli errori, ovviamente, anche perché alcuni di tali errori hanno reso ancora più gravi proprio quelle circostanze.
Berlusconi non è riuscito a fare la famosa rivoluzione liberale, e questo era in fondo prevedibile, addirittura in parte scusabile, ma non è riuscito neppure a ridurre la spesa pubblica, anzi, spesso ha usato la stessa per fini non troppo dissimili da quelli voluti a suo tempo dalla sinistra e dalla vecchia DC.
Non è riuscito a creare una nuova classe dirigente liberal democratica. Capo di un impero mediatico ed editoriale non ha contribuito, o ha contribuito molto poco, alla diffusione della filosofia liberale. E’ vero, il Berlusconi editore era e restava un imprenditore che deve guardare al profitto e non si fanno profitti sufficienti se si riduce il target di mercato ad una sola categoria, politicamente schierata, di possibili clienti. In tutto questo non c’è nulla di male, ovviamente, ma nulla impediva al cavaliere di dedicare una parte, anche piccola, delle sue attività editoriali alla difesa del liberalismo. Questo non è avvenuto: anche oggi è molto più facile trovare un libro di Popper o di Hayek in una libreria Feltrinelli che non in una Mondadori. Considerazioni simili si possono fare per le televisioni. Le TV di Berlusconi sono state soprattutto TV commerciali, niente da dire in proposito, ma quanto al resto nulla di serio le ha mai differenziate dai canali RAI, anzi, spesso proprio nelle TV del cavaliere si è assistito e si assiste alle più desolanti esibizioni del politicamente corretto. Tutto questo ha avuto pesanti ripercussioni a livello politico. Forza Italia è sempre stato il partito di Berlusconi, privo di una classe dirigente di ricambio. I dirigenti di Forza Italia venivano quasi tutti dai partiti della prima repubblica, personaggi spesso assai discutibili che in molti casi hanno abbandonato il cavaliere quando le cose si sono messe male. Silvio Berluscioni ha diretto il suo partito con uno spirito incredibilmente accentratore; probabilmente convinto di essere insostituibile non si è preoccupato di far maturare un erede, un delfino, col risultato che la sua scomparsa lascia la sua creatura politica in una preoccupante situazione di vuoto.
L’elenco degli errori di Berlusconi sarebbe lungo, così come quello degli “eccessi” della sua vita privata. Lungo e forse poco utile. Personalmente stento a perdonargli le recenti prese di posizione sull’Ucraina. Nessuno nega l’utilità della real politik, anche quando è rivolta ad interlocutori che tutto sono tranne che democratici, ma di fronte alla brutale aggressione di uno stato sovrano non sono possibili esitazioni. Rifiutarsi di condannare l’aggressione, strizzar l’occhio all’aggressore cessa in casi simili di essere semplice real politik, diventa scelta politicamente e moralmente inaccettabile oltre che priva di realismo autentico.
I nemici del cavaliere ritengono che la sua simpatia per Putin, anche per l’ultimo Putin, quello assolutamente indifendibile, dimostri che Berluscioni non è mai stato un vero democratico liberale. Credo che un simile giudizio sia ingeneroso e profondamente sbagliato. A mio parere Berlusconi, come tanti altri, non ha capito Putin, meglio, non ha capito la Russia. La Russia non è mai stata un paese davvero occidentale, non ha mai conosciuto un periodo di democrazia, la sua intellighenzia filo occidentale è sempre stata minoritaria, priva di radici profonde nel tessuto sociale e culturale del paese. In questo paese, sempre in equilibrio instabile fra occidente e dispotismo orientale gli effetti distruttivi della esperienza del comunismo staliniano sono stati più duraturi e molto più distruttivi che nei paesi dell’Europa orientale. In Russia inoltre, a differenza che negli altri paesi dell’est Europa, il comunismo è riuscito a stimolare sentimenti nazional sciovinisti latenti in larghe fasce di popolazione. Questo spiega perché, malgrado il terrore mostruoso dello stalinismo, molti in Russia guardino ancora con nostalgia al tiranno georgiano.
In un paese come la Russia il crollo del comunismo ha lasciato un vuoto più ampio che altrove, vuoto che è stato riempito dall’unica forza sociale in grado di riempirlo: la vecchia burocrazia di partito. Per farla breve: Berlusconi non ha capito che il 1989 non ha rappresentato in Russia quella cesura radicale col passato comunista che c’è stata invece in paesi come la Polonia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia. Definendo Putin un sincero rivale del comunismo Berlusconi ha dimostrato di aver capito poco di Putin e ancor meno della Russia. Putin non è un comunista, ma uno sciovinista grande russo che guarda con nostalgia alla potenza imperiale della vecchia URSS. Non riuscendo a cogliere il senso di una simile, elementare, verità l’ultimo Berlusconi ha commesso quello che a mio modesto parere resta il più grave dei suoi errori politici, ma questo non fa di lui un liberale mancato, solo un uomo che come tutti può commettere brutti errori di valutazione.

Con tutti gli errori che può aver commesso Berlusconi, piaccia o non piaccia la cosa, è e resta un grande, uno degli ultimi, forse l’ultimo, grande della politica italiana.
Con la sua scesa in campo ha impedito la vittoria a mani basse di una sinistra ancora largamente ideologica, di più, ha creato contro questa sinistra una forza politica in grado di contrastarla, di impedirle, se e quando fosse stata vincente, di poter governare il paese senza trovare ostacoli di sorta. Mani pulite aveva tolto ad una metà abbondante del paese la propria rappresentanza politica, Berlusconi gliela ha ridata e ha costruito in questo modo le basi per una vera democrazia dell’alternanza. Non a caso Silvio Berlusconi è stato il protagonista assoluto di circa 30 anni di politica italiana. Amato ed odiato non è mai stato ignorato per il semplice motivo che ignorarlo era impossibile. Chi ha dubbi sulla sua grandezza provi a pensare a tanti pseudo protagonisti della politica italiana degli ultimi decenni. C’è chi davvero pensa a un D’Alema, ad un Fini, ad un Casini o ad una Rosy Bindi come figure politiche centrali degli ultimi 30 anni? O c’è chi pensa che soggetti come Giuseppe Conte o Elly Schlein siano anche lontanamente paragonabili a Silvio Berlusconi?
La morte di Silvio Berluscoini chiude un’era. Sono molto pochi i politici di cui si possa dire, nel bene e nel male, altrettanto. Penso che avremo molti motivi per rimpiangerlo.

 

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