Che Berlusconi sia stato un grande imprenditore è impossibile
negarlo. Qualcuno può obbiettare che ha goduto di appoggi politici,
ma, di grazia, è possibile svolgere attività imprenditoriale senza appoggi politici in un
paese ammalato di statalismo come l’Italia? Lasciamo perdere. A
distanza di qualche giorno dai suoi imponenti funerali vorrei
scrivere solo sul Berlusconi politico, quello che in fondo più
interessa alla gran maggioranza dei suoi amici come dei suoi
rivali.
Un discorso pacato sul Berlusconi politico non può che
partire dal ricordo di un anno memorabile: il 1989.
Nel 1989 il
comunismo crollava, per lo meno in Europa e nel nel paese in cui era
nato. Crollava quello che per decenni era stata definito come la meta
finale della storia, anzi, come diceva Marx, la fine della preistoria
del genere umano, il “passaggio dal regno della necessità a quello
della libertà”. E questo luminoso “regno della libertà” non
era nelle teorizzazioni dei comunisti un mero ideale, una sorta di
idea platonica, no, era qualcosa che si incarnava in un una
concretissima esperienza storica, in un paese, in un gruppo di paesi:
l’URSS di Stalin prima, poi i paesi “liberati” nel 1945
dall’armata rossa, poi la Cina di Mao, la Cuba di Castro, la
Cambogia di Pol Pot, il grande “campo socialista”, contrapposto
all’imperialismo capitalista a guida americana.
Nel 1989 il
comunismo crollava, per lo meno in Europa e nella sua prima
roccaforte. Crollava lasciandosi alle spalle decine di milioni di
cadaveri, economie distrutte, classi dirigenti, culture e tradizioni
nazionali fatte a pezzi, un enorme, pauroso deserto. Il “regno
della libertà” si era rivelato per quello che era e non poteva non
essere: una delle più spaventose tirannidi totalitarie di ogni
tempo.
L’esperienza del comunismo ha avuto conseguenze
negative anche nei paesi che non la hanno vissuta direttamente.
L’Italia è stato il paese occidentale in cui la presenza ed il
peso politico dei comunisti, pure minoritari, è stata più forte.
Questo ha fatto si che il nostro paese diventasse una democrazia
bloccata. In Italia per molti decenni non è esistito alcun tipo di
alternanza: un partito, la DC, aveva il monopolio del governo ed un
altro, il PCI, quello della opposizione. Questo doveva indurre nella
politica italiana fortissimi elementi di degenerazione e corruzione,
amplificati dalla egemonia culturale che lo statalismo ha sempre
avuto nella storia dell’Italia repubblicana.
Il crollo del
comunismo scompaginava il quadro. Crollato lo stato guida, dissoltosi
il “campo socialista” al vecchio PCI non restavano che due
alternative: accettare un minoritarismo strategico, diventare il
partito dei profughi del comunismo staliniano, o castrista, o
maoista, poco importa, oppure accettare senza riserve la democrazia
parlamentare fino a ieri definita “borghese”. Accettarla, qui è
il vero punto di svolta, non come opzione tattica o strategica ma
come valore. Sin dal secondo dopoguerra il vecchio PCI aveva messo la
difesa della democrazia al centro dei suoi programmi, ma sempre, fino
al 1989, aveva anteposto alla democrazia “borghese” il sistema
socialista, la pseudo democrazia “sovietica”. Anche il PCI di
Berlinguer, il più revisionista dei comunisti italiani, aveva messo
la “fuoriuscita dal capitalismo” come suo obiettivo di fondo; da
qui la persistente doppiezza del comunismo italiano: legalitario e
democratico in Italia ma legato all’esperienza mostruosa del
comunismo sovietico. Tutti i distinguo, le prese di distanza del PCI
berlingueriano non avevano rotto il legame fra questo partito ed uno
dei totalitarismi più sanguinari della storia.
Il crollo del
comunismo obbligava i comunisti italiani ad una scelta netta: non si
trattava di elaborare vie “nazionali” al socialismo, si trattava
di superare l’idea stessa della “fuoriuscita dal capitalismo”,
quindi dalla stessa democrazia “borghese”. Sappiamo quale fu la
scelta dei più intelligenti fra i dirigenti del vecchio PCI.
Rifiutarono di diventare il mini partito dei puri e duri,
accettarono le istituzioni democratico borghesi e la stessa economia
di mercato. Lo fecero però in maniera parziale, reticente,
contraddittoria. Conservarono la venerazione nei confronti di uomini
politici lontani anni luce dal liberalismo e dalla democrazia
parlamentare, due nomi per tutti: Palmiro Toglietti ed Antonio
Gramsci che solo a prezzo di mistificazioni enormi possono esser
spacciati per sostenitori della democrazia liberale. Soprattutto il
vecchio PCI, trasformandosi prima in PDS, poi in DS, poi in PD aveva
conservato, per lo meno in larga parte del suo gruppo dirigente e
della sua base una pericolosa forma mentis ideologica. Abbandonata la
vecchia, compatta e profonda filosofia marxista l’ex PCI restava
aperto all’influsso di una enorme quantità di ideologie leggere:
il mondialismo immigrazionista, il misticismo ecologico, il
femminismo radicale. Il comunismo non diventava liberale ma
liberal.
Eppure nel 1989 proprio questo partito giunse ad un passo dal diventare il maggior beneficiario del
crollo del comunismo. Il comunismo crollava, l’Italia cessava di
essere una democrazia bloccata ed i beneficiari di questo nuovo stato
di cose rischiavano di essere proprio i maggiori responsabili del
blocco pluridecennale della democrazia italiana. Mentre polacchi,
ungheresi, rumeni, tedeschi dell’est non volevano più neppur
sentir parlare di comunismo i post comunisti italiani erano sul punto
di conquistare il governo del paese. Una situazione tanto paradossale
non si spiega solo col legittimo desiderio di cambiare cresciuto nel
paese in decenni di democrazia bloccata. A rendere possibile il
paradosso dei post comunisti beneficiari del crollo del comunismo è
stata, lo sappiamo bene tutti, l’azione della magistratura. Certo,
questa azione era in parte giustificata dal crescere nel paese della
corruzione, ma è impossibile negare il suo orientamento politico.
Una parte almeno della magistratura mirava ad accrescere il suo
potere, per farlo aveva bisogno di una sponda politica,
inesistente nei decenni della democrazia bloccata. Ora questa sponda
emergeva ed era costituita dai post comunisti. Questo spiega perché
le inchieste, in larga misura centrate sul finanziamenti illecito
della politica, abbiano solo sfiorato un partito che era stato per
decenni finanziato da un paese in cui gli oppositori politici, veri o
presunti, finivano, nel migliore dei casi, nei manicomi.
Il
ciclone giudiziario di “mani pulite” distrusse praticamente tutta
la classe politica che aveva governato l'Italia per quasi mezzo
secolo. Solo un partito attraversò quasi illeso la bufera mediatico
giudiziaria che aveva letteralmente distrutto partiti del calibro
del PSI e della DC: l’ex partito comunista. Dire che “mani
pulite” portò i post comunisti alle soglie del governo è molto
riduttivo. Le inchieste giudiziarie non solo portarono i post
comunisti alle soglie del governo, li lasciarono praticamente senza
rivali. Se si esclude l’irrilevante MSI all’inizio degli anni 90
dello scorso secolo l’ex PCI era il solo partito ancora in piedi,
sostanzialmente intatto. Il crollo del comunismo aveva creato il
vuoto attorno ai post comunisti. Non credo si sia mai vista nella
storia una situazione tanto paradossale.
E’ allora che
“scende in campo” Silvio Berlusconi. E scompagina tutto. Crea in
pochi mesi un partito del tutto nuovo intorno al quale coagula quella
che in Italia è da sempre la maggioranza dell’elettorato. Ed
impedisce una vittoria dei post comunisti che quasi tutti davano per
certa. Quella di Berluscoini non è però una semplice vittoria
elettorale: in fondo alle elezioni si vince e si perde e Berlusconi
perderà più di una volta la sfida elettorale. La discesa in campo
di Berlusconi è qualcosa di più di una abile e vincente mossa
elettorale: quella discesa in campo restituisce ai moderati la loro
casa politica che “mani pulite” aveva letteralmente fatto a
pezzi. Senza la rapida ricostituzione di una casa politica per
l’elettorato di centro destra i post comunisti non si sarebbero
limitati a vincere: sarebbero stati praticamente privi di rivali
capaci di contrastarli. Con la sua mossa Berlusconi crea le
condizioni per una autentica democrazia della alternanza, impedisce
che l’Italia, dopo i decenni della prima repubblica, cada in una
nuova forma di democrazia bloccata, assai peggiore della prima: una
democrazia bloccata per mancanza di partiti in grado di opporsi alla
egemonia delle sinistre al governo. Berlusconi scompagina i piani dei
post comunisti e di quella parte della magistratura che, vedendo in
questi una possibile sponda politica, li aveva agevolati in maniera
decisiva. Non gliela perdoneranno mai.
Ed in effetti si
scatena contro Berlusconi, subito dopo il suo ingresso in politica,
una campagna mediatico giudiziaria senza precedenti nella storia.
Centinaia di inchieste, decine di processi, migliaia di ore di
intercettazioni, perquisizioni a raffica nelle sedi Mediaset.
Berlusconi era sceso in campo promettendo una “rivoluzione
liberale”, grazie a lui per la prima volta era nato in Italia un
partito liberale di massa, basterebbe questo a renderlo grande. Però
quella rivoluzione liberale è rimasta il larga misura solo una
promessa. Questo gli è stato rimproverato più volte da persone
certamente lontane da ogni forma di preconcetto “antibertlusconismo”.
La critica è in larga misura giusta, ma non tiene conto della
situazione folle in cui il cavaliere si è trovato sin dall’inizio
ad operare. Dal giorno della sua “scesa in campo” a quello della
sua morte il cavaliere è sempre stato sotto inchiesta, sempre
imputato in qualche processo, o in più processi contemporaneamente.
Non solo, sin dall’inizio si è scatenata contro di lui una
campagna mediatica senza precedenti nella storia dei paesi
occidentali. Il grande manipolatore, l’imperatore dei media è
stato al centro di un attacco mediatico mai visto in precedenza,
assediato da magistrati ed attori comici, filosofi e cantanti,
ballerine e professori di università, tutti concordi
nell’attribuirgli tutti o quasi i mali del mondo. Direi che ha
qualche giustificazione se non è riuscito a realizzare le parti più
importanti del suo programma.
Se una cosa stupisce nella
vicenda politica di Berlusconi questa è proprio la sua incredibile
capacità di resistenza. Berlusconi ha saputo resistere: dato più
volte per finito è rimasto in piedi. Nessuno oggi ricorda personaggi
come D’Alema o Fini, Casini o Bertinotti, Occhetto o Pecoraro
Scanio. Tutti invece, penso, ricorderanno dove erano e cosa facevano
nel momento in cui hanno appreso della scomparsa di Silvio
Berlusconi. Piaccia o non piaccia la cosa anche questo ha un certo
valore politico.
Non ho la minima intenzione di
santificare Silvio Berluscini, né di negare quelli che a me paiono
suoi gravi errori politici. Il fatto che sia stato costretto ad agire
in circostanze eccezionali non annulla la gravità di quegli errori,
ovviamente, anche perché alcuni di tali errori hanno reso ancora più
gravi proprio quelle circostanze.
Berlusconi non è riuscito a
fare la famosa rivoluzione liberale, e questo era in fondo
prevedibile, addirittura in parte scusabile, ma non è riuscito
neppure a ridurre la spesa pubblica, anzi, spesso ha usato la stessa
per fini non troppo dissimili da quelli voluti a suo tempo dalla
sinistra e dalla vecchia DC.
Non è riuscito a creare una nuova
classe dirigente liberal democratica. Capo di un impero mediatico ed
editoriale non ha contribuito, o ha contribuito molto poco, alla
diffusione della filosofia liberale. E’ vero, il Berlusconi
editore era e restava un imprenditore che deve guardare al profitto e
non si fanno profitti sufficienti se si riduce il target di mercato
ad una sola categoria, politicamente schierata, di possibili clienti.
In tutto questo non c’è nulla di male, ovviamente, ma nulla
impediva al cavaliere di dedicare una parte, anche piccola, delle sue
attività editoriali alla difesa del liberalismo. Questo non è
avvenuto: anche oggi è molto più facile trovare un libro di Popper
o di Hayek in una libreria Feltrinelli che non in una Mondadori.
Considerazioni simili si possono fare per le televisioni. Le TV di
Berlusconi sono state soprattutto TV commerciali, niente da dire in
proposito, ma quanto al resto nulla di serio le ha mai differenziate
dai canali RAI, anzi, spesso proprio nelle TV del cavaliere si è
assistito e si assiste alle più desolanti esibizioni del
politicamente corretto. Tutto questo ha avuto pesanti ripercussioni a
livello politico. Forza Italia è sempre stato il partito di
Berlusconi, privo di una classe dirigente di ricambio. I dirigenti di
Forza Italia venivano quasi tutti dai partiti della prima repubblica,
personaggi spesso assai discutibili che in molti casi hanno
abbandonato il cavaliere quando le cose si sono messe male. Silvio
Berluscioni ha diretto il suo partito con uno spirito incredibilmente
accentratore; probabilmente convinto di essere insostituibile non si
è preoccupato di far maturare un erede, un delfino, col risultato
che la sua scomparsa lascia la sua creatura politica in una
preoccupante situazione di vuoto.
L’elenco degli errori di
Berlusconi sarebbe lungo, così come quello degli “eccessi” della
sua vita privata. Lungo e forse poco utile. Personalmente stento a
perdonargli le recenti prese di posizione sull’Ucraina. Nessuno nega l’utilità
della real politik, anche quando è rivolta ad interlocutori che
tutto sono tranne che democratici, ma di fronte alla brutale
aggressione di uno stato sovrano non sono possibili esitazioni.
Rifiutarsi di condannare l’aggressione, strizzar l’occhio
all’aggressore cessa in casi simili di essere semplice real
politik, diventa scelta politicamente e moralmente inaccettabile
oltre che priva di realismo autentico.
I nemici del cavaliere
ritengono che la sua simpatia per Putin, anche per l’ultimo Putin,
quello assolutamente indifendibile, dimostri che Berluscioni non è
mai stato un vero democratico liberale. Credo che un simile giudizio
sia ingeneroso e profondamente sbagliato. A mio parere Berlusconi,
come tanti altri, non ha capito Putin, meglio, non ha capito la
Russia. La Russia non è mai stata un paese davvero occidentale, non
ha mai conosciuto un periodo di democrazia, la sua intellighenzia
filo occidentale è sempre stata minoritaria, priva di radici
profonde nel tessuto sociale e culturale del paese. In questo paese,
sempre in equilibrio instabile fra occidente e dispotismo orientale
gli effetti distruttivi della esperienza del comunismo staliniano
sono stati più duraturi e molto più distruttivi che nei paesi
dell’Europa orientale. In Russia inoltre, a differenza che negli
altri paesi dell’est Europa, il comunismo è riuscito a stimolare
sentimenti nazional sciovinisti latenti in larghe fasce di
popolazione. Questo spiega perché, malgrado il terrore mostruoso
dello stalinismo, molti in Russia guardino ancora con nostalgia al
tiranno georgiano.
In un paese come la Russia il crollo del
comunismo ha lasciato un vuoto più ampio che altrove, vuoto che è
stato riempito dall’unica forza sociale in grado di riempirlo: la
vecchia burocrazia di partito. Per farla breve: Berlusconi non ha
capito che il 1989 non ha rappresentato in Russia quella cesura
radicale col passato comunista che c’è stata invece in paesi come
la Polonia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia. Definendo Putin un
sincero rivale del comunismo Berlusconi ha dimostrato di aver capito
poco di Putin e ancor meno della Russia. Putin non è un comunista,
ma uno sciovinista grande russo che guarda con nostalgia alla potenza
imperiale della vecchia URSS. Non riuscendo a cogliere il senso di
una simile, elementare, verità l’ultimo Berlusconi ha commesso
quello che a mio modesto parere resta il più grave dei suoi errori
politici, ma questo non fa di lui un liberale mancato, solo un uomo
che come tutti può commettere brutti errori di valutazione.
Con
tutti gli errori che può aver commesso Berlusconi, piaccia o non
piaccia la cosa, è e resta un grande, uno degli ultimi, forse
l’ultimo, grande della politica italiana.
Con la sua scesa in
campo ha impedito la vittoria a mani basse di una sinistra ancora
largamente ideologica, di più, ha creato contro questa sinistra una
forza politica in grado di contrastarla, di impedirle, se e quando
fosse stata vincente, di poter governare il paese senza trovare
ostacoli di sorta. Mani pulite aveva tolto ad una metà abbondante
del paese la propria rappresentanza politica, Berlusconi gliela ha
ridata e ha costruito in questo modo le basi per una vera democrazia
dell’alternanza. Non a caso Silvio Berlusconi è stato il
protagonista assoluto di circa 30 anni di politica italiana. Amato ed
odiato non è mai stato ignorato per il semplice motivo che ignorarlo
era impossibile. Chi ha dubbi sulla sua grandezza provi a pensare a
tanti pseudo protagonisti della politica italiana degli ultimi
decenni. C’è chi davvero pensa a un D’Alema, ad un Fini, ad un
Casini o ad una Rosy Bindi come figure politiche centrali degli
ultimi 30 anni? O c’è chi pensa che soggetti come Giuseppe Conte
o Elly Schlein siano anche lontanamente paragonabili a Silvio
Berlusconi?
La morte di Silvio Berluscoini chiude un’era. Sono
molto pochi i politici di cui si possa dire, nel bene e nel male,
altrettanto. Penso che avremo molti motivi per rimpiangerlo.
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