Detesto il fanatismo,la faziosità e le mode pseudo culturali. Amo la ragionevolezza, il buon senso e la vera profondità di pensiero.
giovedì 1 agosto 2013
FORCAIOLA, IPOCRITA, KAFKIANA
Alle 19,30 circa del primo agosto 2013 è finita, dopo venti anni, una incredibile anomalia italica. Un uomo che aveva dovuto subire 34 (TRENTAQUATTRO) processi, un incredibile numero di inchieste, decine, forse centinaia di migliaia di intercettazioni, non aveva ancora a suo carico nessuna condanna definitiva. L'uomo più indagato e processato del mondo, e forse della storia, era fino a stasera ancora incensurato, pulito, puro come una verginella. Ora l'incanto è rotto, tutti i forcaioli hanno finalmente ciò che cercavano da venti anni: una sentenza definitiva di condanna.
La corte di cassazione non poteva sconfessare globalmente i giudici di Milano, non lo poteva fare perché l'obiettivo di quei giudici era un uomo che la magistratura nel suo complesso considera, a torto o a ragione, pericoloso. Un uomo che dice di volere cose incredibili per l'Italia, anche se normali in tutti gli altri paesi occidentali: divisione delle carriere fra giudici e PM, responsabilità civile dei magistrati, più in generale, una magistratura che non sia responsabile solo di fronte a se stessa.
Però i giudici della cassazione non sono dei fanatici irresponsabili, quanto meno non sono stati tanto ciechi da non vedere le conseguenze di una conferma pura e semplice della condanna contro Berlusconi. Così hanno cercato il compromesso. E il compromesso non ha riguardato la cosa che in una condanna è più grave: il carcere, no, tutta l'attenzione si è concentrata sulla pena accessoria: l'interdizione dai pubblici uffici. Se qualcuno chiedesse a Tizio: “preferisci finire in galera o essere interdetto dai pubblici uffici?” Lui risponderebbe che la cosa importante è NON finire in galera. Ma tutti sanno che Berlusconi in galera non ci finirà, nessuno, neppure fra i forcaioli imbecilli alla Travaglio, vuole davvero il cavaliere dietro le sbarre; anche chi ha il cervello spappolato dall'odio capisce benissimo che se davvero Silvio Berlusconi varcasse la soglia di una prigione le reazioni sarebbero devastanti per un paese debole e in crisi come l'Italia. E così l'attenzione di tutti era concentrata sulla interdizione, perché la interdizione, se fosse passata, avrebbe significato l'uscita di Berlusconi dal parlamento, con conseguenze, anche quelle, piuttosto gravi per la tenuta del paese. E così una sentenza profondamente negativa, ingiusta può apparire come un compromesso forse accettabile, una mezza vittoria, comunque una sconfitta evitata da Berlusconi. Il giustizialismo forcaiolo si mescola con l'ipocrisia e ne viene fuori una situazione assurda, kafkiana. Nel momento stesso in cui deve incassare la prima condanna definitiva il cavaliere può quasi consolarsi. E' vero, ha quattro anni di carcere da scontare, ma tre sono condonati e l'altro non lo farà. I processi a Berlusconi mirano, almeno per ora, alla sua eliminazione politica, non fisica; quella farebbe esultare tanti imbecilli ma è troppo difficile da ottenere. Ecco perché stasera Marco travaglio è forse più verde di rabbia che non Silvio Berlusconi.
La cosa più grave in questa vicenda kafkiana non è tanto la sentenza di stasera ma tutto ciò che la ha preceduta. Per molto tempo gli assalti giudiziari a Berlusconi hanno mantenuto un minimo di rispetto per le regole del gioco, una qualche forma di aggancio all'esame obiettivo dei fatti contestati, è per questo che per venti anni il cavaliere è riuscito a respingere gli attacchi concentrici cui era sottoposto. Ultimamente le cose sono cambiate. Anche quel tenue legame con le leggi e l'analisi dei fatti, quel residuo rispetto delle regole è andato perduto. La sentenza della cassazione di oggi conferma una condanna per frode fiscale che sarebbe stata commessa da un uomo che da oltre dieci anni non aveva alcuna carica nella azienda interessata. Una frode, tra l'altro, ridicola. Si parla di quattro, sette milioni di euro, una bella cifra per uomini normali, pochi soldi per Berlusconi, spiccioli per una azienda delle dimensioni di Mediaset. Non parliamo poi di altri processi, dei due processi Ruby ad esempio, dove non solo non esistevano prove che suffragassero le tesi accusatorie, ma esistevano al contrario fior di testimonianze che avallavano le tesi difensive. I giudici hanno reagito alle testimonianze che li smentivano chiedendo che venissero inquisiti i testi a discarico del cavaliere: TRENTADUE testi, fra cui un funzionario di polizia. Nel processo a carico di Mora e Fede si è chiesto addirittura che vengano indagati gli AVVOCATI DIFENSORI, un autentico sfregio allo stato di diritto.
E non del solo cavaliere si tratta. Basta pensare alla condanna a NOVE ANNI E MEZZO a Del Turco, colpevole di aver intascato una tangente di cui non c'è traccia, un po' come condannare Tizio per omicidio senza che sia stato trovato il cadavere della presunta vittima, basta pensare a questa condanna dicevo, per capire che ormai lo stato della giustizia in Italia è disastroso. Ormai si può condannare senza prove, addirittura in presenza di prove e testimonianze che dimostrano la innocenza dell'imputato. Una intercettazione vale più di una testimonianza, tanto varrebbe non interrogare i testi, una congettura più di una prova documentale, un teorema più di una analisi della scena del crimine. Una simile situazione non è grave per Berlusconi, è grave, pericolosissima per i comuni cittadini, quelli che non hanno neppure un millesimo dei mezzi di Berlusconi, che non possono permettersi avvocati come Coppi o Ghedini, normali esseri umani che possono essere distrutti da una sola inchiesta condotta magari solo con negligenza da qualche PM.
Questa sentenza non farà cadere il governo, i giudici della Cassazione hanno fatto il miracolo: sono riusciti comminare al cavaliere una sentenza di condanna definitiva senza precipitare il paese in una fase di accesa conflittualità che avrebbe travolto Letta. Ma, si può continuare ad appoggiare un governo che non metta il problema della giustizia al centro del suo programma? La giustizia è oggi in Italia una assoluta emergenza democratica, ed anche economica, visto il peso che una giustizia non equa, non giusta, non imparziale ha sull'economia. Cerchino di capirlo una volta per tutte i guru del Pdl, prima che sia troppo tardi.
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Fiorella