domenica 22 giugno 2014

IL RAGIONEVOLE DUBBIO

 

Sono da sempre un garantista a prova di bomba. Però, devo confessarlo, mi lasciano un po' perplesso certe esternazioni che ho sentito sul caso del presunto assassino della povera Yara.
Nei paesi civili la colpevolezza dell'imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio, su questo non si può che concordare, pienamente. Però, cosa deve intendersi per dubbio ragionevole? Non si tratta di un quesito da poco.

La storia del pensiero ce lo dimostra: si può dubitare di tutto, tranne che della coerenza logicsa delle proposizioni. Se A è X, non può, nello stesso tempo e dal medesimo punto di vista, essere anche Y, questo è certo. Se Giovanni è un uomo non può, nello stesso tempo e dal medesimo punto di vista, essere anche un cane. Ed ancora, dato A i casi sono due: o è X o non lo è, nello stesso tempo e dal medesimo punto di vista, non esistono altre possibilità. Giovanni può essere un uomo o può non esserlo, non può essere, nel contempo e sotto la medesima relazione, uomo e non uomo. Aristotele ha stabilito questa verità logica circa 23 secoli fa. Una novantina di anni fa Wittgenstein ha ribadito, nel “tractatus” il principio aristotelico: la congiunzione fra A e NON A è SEMPRE falsa. Se dico: “piove e non piove” dico il falso, sempre, per ragioni logiche, allo stesso modo in cui dico sempre il vero se affermo che piove o non piove.
Quando però si passa dall'analisi logica del linguaggio alle proposizioni inerenti verità o falsità
di fatto il discorso cambia completamente.
Prendiamo la proposizione: “
tutte le mattine il sole si leva ad oriente”, è vera o falsa? Se riferita al passato la proposizione è sicuramente vera, ma, la sua verità vale anche per i casi futuri? Stabilisce l'esistenza di una immutabile legge di natura? Tutto ciò che possiamo dire è che fino ad oggi il sole si è sempre levato ad oriente tutte le mattine. Ma, chi ci assicura che il futuro sarà simile al passato? E' pur sempre logicamente ipotizzabile che stanotte la terra cambi la direzione della sua rotazione, o smetta di girare, o che Dio d'improvviso faccia scomparire il sole. Domattina quindi il sole potrebbe levarsi ad occidente, o non levarsi affatto. Delle proposizioni inerenti le verità di fatto è quindi sempre possibile dubitare, ce lo ricorda in maniera efficacissima il vecchio David Hume.
Eppure il dubbio radicale è, nella sostanza, irragionevole. E' vero che logicamente non posso dire che il futuro sarà simile al passato, ma sono
obbligato a presupporlo se voglio dare un senso qualsiasi a ciò che dico. Se il futuro non fosse, almeno in parte, simile al passato lo stesso significato delle parole che pronuncio cambierebbe continuamente e il dubbio non potrebbe neppure essere espresso.
L'esistenza del mondo e, nel mondo, di un certo grado di ordine e prevedibilità sono indimostrabili logicamente, ma costituiscono la condizione indispensabile di ogni discorso intellegibile sul mondo; si trovano un po' sullo stesso piano del principio sommo della logica formale: il principio di non contraddizione, logicamente indimostrabile perché presupposto di ogni dimostrazione. Lo stesso Hume del resto ammette la insensatezza pratica del dubbio radicale. E' vero, afferma il filosofo scozzese, che nessuna ragione logica ci obbliga a credere che se si lascia cadere un bambino dalla finestra questi precipiterà al suolo invece di restare sospeso per aria, ma le madri non gettano dalla finestra i loro figli. E fanno bene.

Ora, è chiaro che il dubbio ragionevole di cui si parla nei processi
non è il dubbio radicale, e neppure quello filosofico, humiano. Si tratta di un dubbio che non coinvolge i principi base della nostra esperienza. L'esistenza del mondo e di una certa sua regolarità non possono essere messe in discussione nelle aule giudiziarie. Il principio di induzione, tanto criticato da Popper e dai popperiani di stretta osservanza (e forse da loro poco compreso) non è in discussione nei processi. Chi giudica della colpevolezza o della innocenza di un essere umano da per scontato, ad esempio, che ogni uomo abbia le sue impronte digitali diverse da quelle di tutti gli altri, riconosce che esiste la sfortuna ma non che si accanisca sempre contro la stessa persona, ammette che dei testimoni possano sbagliare, ma non che tutti sbaglino, e sempre nella stessa direzione. Ecco perché certi commenti sulla prova del DNA mi sembrano poco fondati. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche pare assodato che le probabilità che due persone abbiano DNA uguali o molto simili siano trascurabili. Nuove scoperte potrebbero domani smentire una simile conclusione? Forse, ma questo vale anche per l'unicità della impronte digitali, o la impossibilità dell'ubiquità o della telepatia. Nei processi, come del resto nella vita di tutti i giorni, si da per scontata la verità delle leggi naturali oggi universalmente accettate dalla comunità scientifica. “Il sole sorge tutte le mattine ad oriente”, fino a quando non vedremo, una mattina, il sole sorgere ad occidente questa proposizione resta vera per noi, ovunque, anche nelle aule giudiziarie.

Non c'è nulla da obiettare allora al coro trionfalistico che ha accompagnato la cattura del presunto assassino di Yara Gambirasio?
NO, ci sono molte cose da obiettare.
Innanzitutto, prima di strillare la propria gioia per la cattura del presunto colpevole, occorrerebbe appurare che le analisi siano state effettuate in maniera corretta, che i reperti siano stati custoditi seguendo procedure rigorose e che non abbiano subito alterazioni. Non si tratta di inezie. Negli Stati Uniti, per fare un esempio, i test scientifici non effettuati ed i reperti non conservati secondo rigorose procedure
non valgono come prova nel dibattimento. Non tutti lo sanno ma se vigessero in Italia le regole in vigore negli Stati Uniti molti processi che da noi infiammano la pubblica opinione non inizierebbero neppure. Indumenti con tracce di liquido organico conservati nel cassetto di una scrivania, in normali sacchetti di plastica, insieme ad altri indumenti: in Italia avvengono cose che in altri paesi farebbero inorridire qualsiasi magistrato, e bloccherebbero sul nascere ogni processo. Angelino Alfano, ultima recluta nel partito dei forcaioli queste cose probabilmente le ignora, qualcuno dovrebbe prendersi la briga di informarlo.
Inoltre, come ha ricordato qualche inquirente serio, il DNA prova la
presenza, non il delitto. Se il mio DNA viene trovato in casa di Tizio ciò prova che io sono stato in quella casa, non che ho ucciso Tizio. Certo, se il mio DNA viene trovato sul corpo di una persona assassinata, che io nego di aver mai visto e conosciuto, la mia posizione processuale non è delle migliori. Ma, appunto, è il dibattimento a dover fare emergere le mie contraddizioni, ed è nel dibattimento che queste possono trasformarsi in prove o gravi indizi a mio carico. Per i forcaioli tutte queste sono inezia, si tratta invece dei pilastri dello stato di diritto.

Val la pena di fare un'ultima considerazione. Nel caso di Yara Gambirasio sono stati effettuate analisi del DNA in maniera massiccia: si parla addirittura di 18.000 campioni di DNA prelevati “a casaccio”, anche se, pare, su base volontaria, fra persone che abitavano più o meno vicino al paese della povera ragazza. Anche se alla fine venisse dimostrato che una simile procedura ha permesso la cattura di un efferato assassino, io resterei del parere che questa non sia ammissibile. Si può prelevare un campione di DNA ad una persona solo se esiste qualche indizio che questa sia in un modo o nell'altro coinvolta in un evento criminoso. Inoltre, nei paesi in cui lo stato di diritto è una cosa seria, i risultati dell'analisi sono messi a disposizione della difesa della persona indagata, che ha tutto il diritto di controllare sulla correttezza delle analisi e della conservazione dei reperti.
Effettuare analisi del DNA indiscriminatamente invece può aprire invece la porta ai peggiori abusi o favorire errori in grado di rovinare la vita a persone innocenti. Se io concedo che venga analizzato un campione del mio DNA e non sono accusato di alcun crimine, di certo i reperti delle analisi non saranno consegnati ai miei difensori: io
non ho difensori in un caso simile, non ho bisogno di averne. A questo punto però, chi mi assicura che le analisi siano state effettuate correttamente? Che il campione del mio DNA venga conservato in maniera corretta? Che non subisca alterazioni? Ed ancora, chi mi garantisce che il campione non serva a qualche funzionario poco onesto per fabbricare prove a mio carico? Io non mi sentirei affatto sicuro sapendo che un campione del mio DNA è nella mani di qualcuno che può manipolarlo come meglio crede, al di fuori di ogni controllo.
Ma l'Italia è il paese in cui tanti forcaioli “diversamente intelligenti” strillano: “intercettateci tutti, chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere”. La loro fiducia nei confronti di chi ci controlla è semplicemente patetica. Sarò pessimista, ma, al di la di ogni considerazione sulla colpevolezza o meno di Mario Giuseppe Bossetti, ho il timore che il caso della povera Yara Gambirasio contribuirà a rendere ancora un po' meno giusta la traballante giustizia italica.

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