Per
molto tempo in Italia almeno una cosa era assodata: lo scontro politico
si sarebbe deciso con metodi civili: sarebbe stata la conta dei voti a
stabilire il vincitore. Certo, esistevano forze estremiste che seguivano
il detto maoista secondo cui “il potere nasce dalla canna del fucile”,
ma si trattava di forze isolate, con cui nessun grande partito avrebbe
stretto alleanza alcuna; restavano ai margini del sistema, anche se erano in grado di fare molti danni.
Con “tangentopoli” e con la rinuncia della classe politica alla
immunità parlamentare le cose sono cambiate. Ora il detto maoista sul
potere che nasce dalla canna del fucile è stato sostituito da un altro:
“il potere politico nasce nelle aule giudiziarie”, e chi sostiene questa
teoria non è affatto isolato o emarginato, al contrario.
Politicizzazione della magistratura, sua organizzazione che la pone al
di fuori di ogni limite e controllo, proliferare di norme che aumentano a
dismisura il potere dei magistrati ( incandidabilità, ineleggibilità,
quote rosa...), questi fattori combinati stanno distruggendo la
possibilità che il confronto politico possa mantenersi in un ambito
civile. Ormai non è importante sapere chi ha vinto le elezioni, è
impostante stabilire se l'eletto era davvero eleggibile, o vedere se
sarà o meno condannato ad una pena di tre anni, o verificare se la sua
lista avesse tutti i bolli al posto giusto. La volontà popolare che si
esprime nel voto ormai non è più il fattore centrale, il perno attorno a
cui ruotano il dibattito e lo scontro politico, è solo un fattore fra
gli altri. Una sentenza del TAR vale più di decine, centinaia di
migliaia di voti, una della magistratura ordinaria più di milioni di
voti.
Tutto questo è compatibile con il normale funzionamento di una
democrazia? E' quanto meno dubbio, molto dubbio. E', in realtà, un
fattore di sfascio del paese. Un altro.
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