martedì 25 marzo 2014

QUALCHE PENSIERO, NON MIO, SUL TASSO DI CAMBIO FRA MONETE.



Val la pena di seguire questi serrati ragionamenti di Milton Friedman.

“Supponiamo, per cominciare, che 360 yen equivalgano ad un dollaro e che a questo tasso di cambio (…) i giapponesi possano produrre e vendere qualsiasi cosa per meno dollari di quanto non si possa fare negli Stati Uniti. (…) In condizioni di commercio internazionale libero noi cercheremmo di comprare tutto ciò che ci serve dal Giappone. (…)
Come pagheremmo i giapponesi? (…) abbiamo ipotizzato che a 360 yen per dollaro in Giappone tutto è più a buon mercato, e quindi non c'è nulla che essi potrebbero desiderare di comprare nel mercato statunitense. (…) I giapponesi non ci venderebbero mai beni utili solo per ottenere inutili pezzi di carta. Come noi essi vogliono avere qualcosa di reale in compenso del loro lavoro. Se tutti i beni fossero meno cari in Giappone che negli Stati Uniti a 360 yen per dollaro, gli esportatori cercherebbero di liberarsi dei loro dollari vendendoli per 360 yen ciascuno allo scopo di comprare i beni giapponesi meno cari. Ma chi sarebbe disposto a comprare dollari? Quello che è vero per gli esportatori giapponesi è vero per chiunque in Giappone. Nessuno sarebbe disposto a dare 360 yen in cambio di un dollaro se 360 yen in Giappone comprassero quantità maggiori di cose che non un dollaro negli Stati Uniti. Gli esportatori, scoprendo che nessuno compra i loro dollari a 360 yen sceglierebbero l'alternativa di di ricevere meno yen per un dollaro. Il prezzo del dollaro in termini di yen scenderebbe a 300, 250, 200 yen per dollaro. Detto in altri termini occorrerebbero sempre più dollari per acquistare un dato numero di yen giapponesi. I beni giapponesi hanno il prezzo espresso in yen, cosicché i loro prezzi in dollari salirebbero. Viceversa, i beni statunitensi hanno prezzi espressi in dollari, cosicché, più dollari i giapponesi ottenessero per un dato numero di Yen, meno cari diventerebbero per i giapponesi i beni statunitensi in termini di yen.
Il prezzo del dollaro in termini di yen cadrebbe finché, in media, il valore del dollaro di merci che il giapponese compra negli Stati Uniti non equivalesse grosso modo al valore del dollaro di merci che lo statunitense compra in Giappone. (…)
Che dire della tesi secondo la quale gli Stati Uniti devono difendere il dollaro, cioè devono impedirgli di perdere di valore in termini di altre valute (...)?
Si tratta di un problema del tutto artificioso. Se i tassi di cambio estero sono determinati da un mercato libero essi si fisseranno ad un livello qualsiasi che equilibri il mercato. Il prezzo del dollaro in termini di yen, ad esempio, può temporaneamente cadere al di sotto del livello giustificato dal costo in dollari e yen rispettivamente dei beni americani e giapponesi. Se è così ciò darà alle persone che si rendono conto della situazione un incentivo a comprare dollari e a tenerli per qualche tempo, allo scopo di realizzare un profitto quando il prezzo salirà. Abbassando il prezzo in yen delle esportazioni americane per i giapponesi , le esportazioni americane ne saranno stimolate; alzando il prezzo in dollari dei beni giapponesi, si scoraggeranno le importazioni dal Giappone. Questi sviluppi incrementeranno la domanda di dollari e, in tal modo, correggeranno il prezzo inizialmente basso. Il prezzo del dollaro, se è determinato liberamente, ha la stessa funzione di tutti gli altri prezzi. Esso trasmette informazioni e fornisce un incentivo ad agire sulla base di quelle informazioni, poiché influisce su redditi di coloro che sono presenti sul mercato”.
Milton & Rose Friedman: Liberi di scegliere. TEA 1994. pag. 44 – 45 – 50.

Mirabile analisi, che può essere riassunta in una sola frase: il tasso di cambio fra due monete deve rispecchiare i rapporti di forza fra due economie, la loro produttività comparata, il livelli comparati dei prezzi, in una parola, i loro fondamentali.
Se un esportatore giapponese ha in mano dollari che comprano negli Usa meno merci di quante 360 yen comprano in Giappone, di ce Friedman, non riuscirà a vendere quei dollari ed il dollaro si svaluterà. Si svaluterà NON perché qualche governo decide una “svalutazione competitiva”, ma perché si adeguerà a quel livello che rispecchia i rapporti di forza reali fra economia americana ed economia giapponese.
Se però i cambi sono fissati autoritariamente dai governi dallo stato questo NON avviene. In questo caso le banche centrali intervengono e cambiano comunque in yen (per continuare a stare all'esempio di Friedman), i dollari sopravalutati. Se addirittura siamo in una situazione di moneta unica, gli aggiustamenti previsti da Friedman diventano impossibili. Dati i tassi di conversione dell'euro, in Europa siamo attualmente in una situazione che favorisce l'economia tedesca. L'economia tedesca è più forte, quindi può vendere le sue merci a prezzi più vantaggiosi negli altri paesi, ma l'esportatore tedesco non si trova nella imbarazzante situazione dell'esportatore giapponese descritta da Friedman: non ha in mano dollari che non riesce a cambiare in yen, ha in mano degli euro che può spendere dove vuole. L'esportatore tedesco vende in Spagna il suo bene a 80 centesimi mentre il produttore spagnolo deve venderlo a un euro, se vuole coprire i costi. Con gli 80 centesimi ricavati l'esportatore tedesco può poi tranquillamente comprare beni a buon mercato in Germania. Grazie all'euro ci troviamo in una situazione di artificiale sottovalutazione del marco, senza che possano operare i meccanismi correttivi del mercato.
Certo, la svalutazione ha i suoi costi: fa lievitare i prezzi dei beni importati. Quanti pensano che si possa favorire l'economia mantenendo artificiosamente basso il tasso di cambio sbagliano esattamente come coloro che vogliono mantenere questo tasso artificiosamente alto. Una economia è forte se è efficiente, produttiva, in grado di competere. Le furbizie sul cambio contano a poco. Ma è certo che mantenere un tasso di cambio artificiosamente alto non permette alle economia di diventare forti, efficienti, competitive.
I demagoghi parlano di auto blu, corruzione, costi della politica. Certo, esistono questi fattori, ma far risalire a questi la crisi durissima che stiamo attraversando è, appunto, pura demagogia se non imbecillità. Furti e ruberie, corruzione e costi della politica ci sono sempre stati, anche in momenti in cui l'economia marciava spedita.
E con la demagogia si possono raccattare un po' di voti, non risolvere i problemi.


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