Uno degli argomenti di chi difende
l'ignobile politica censoria dei grandi social è il seguente: i
social sono aziende private e, in quanto tali, possono vendere a chi
vogliono i loro prodotti. Nessuno pensa che una casa editrice debba
essere obbligata a pubblicare le opere di Tizio. Allo stesso modo FB
o Twitter sono liberi di non render note le aberranti idee di
Trump.
Evitiamo ogni considerazione sullo strano amore per la
proprietà privata che caratterizza oggi gli stessi che da sempre
tuonano contro la stessa. Ed evitiamo anche ogni commento sul
fatto che considerano indegne di esser diffuse le idee di una
persona che per 4 anni ha guidato lo stato più potente del mondo,
senza togliere un grammo di libertà a nessuno. Veniamo al sodo ed
esaminiamo il loro “ragionamento”.
I social sono case
editrici?
Piantiamola
con questo equivoco: i social NON
sono case editrici. Innanzitutto per un motivo giuridico: le case
editrici sono responsabili per ciò che pubblicano, i social NO.
Se la casa editrice Pinco Pallo pubblica un libro in cui si danno
istruzioni su come organizzare attentati, ad essere penalmente
responsabile non è solo l'autore del libro, ma anche la casa
editrice. La stessa cosa NON
vale per i social. Se su FB compaiono siti in cui si esalta il
terrorismo islamico (ce ne sono molti, e non vengono
oscurati...) i padroni di FB
non rischiano la galera. Ad essere penalmente responsabili sono solo
gli autori dei post filo terroristici.
Ma c'è un altro motivo, ancora più
sostanziale che impedisce ogni accostamento fra social e case
editrici. Le case editrici vendono libri, giornali, riviste,
insomma, gli scritti di qualcuno. Obbligare una casa editrice a
pubblicare un libro di Tizio sarebbe un po' come obbligare un
ristoratore a inserire nel suo menù un certo piatto. Una cosa
aberrante che obbligherebbe tra le molte altre cose il ristoratore a
sostenere un costo per cui egli non prevede un ricavo adeguato.
Una
casa editrice è quindi libera di pubblicare ciò che vuole, ma una
volta che ha deciso di pubblicare qualcosa è obbligata a
venderla a tutti. Se
la Mondadori pubblica una nuova edizione dei “Promessi
sposi” non può pretendere di vendere questo libro a Tizio che vota X e non a Caio
che invece vota Y, né può venderlo a chi ha la pelle di un certo
colore, o crede in un certo Dio e non a chi ha la pelle di colore
diverso o crede in un altro Dio. La libertà su cosa
pubblicare non implica la
libertà di decidere a chi vendere.
A differenza delle case editrici i social NON
vendono scritti, vendono spazi di comunicazione.
FB non vende i miei post, vende a me e ad altri la possibilità di
pubblicare dei post. Per farla breve, i social sono qualcosa di
molto simile alle imprese telefoniche: non vendono ciò che si dice
al telefono ma la possibilità di telefonare. Per questo, tra l'altro
non sono responsabili di quanto in essi viene postato, ma, proprio
per questo, non possono, non devono avere il potere di censurare
nessuno.
Dare ai padroni dei social il potere di censurarmi è
come dare ai gestori di linee telefoniche il potere di non vendermi i
loro prodotti perché io ho idee diverse dalle loro, o conferir loro
il potere di interrompere una mia chiamata se in questa faccio
affermazioni che a loro non piacciono. Proviamo ad immaginarlo: sto
parlando a telefono, affermo: “Conte è brutto”; una vocina mi
interrompe: “quanto lei dice è contrario ai nostri standar”
gracchia, e il mio telefono viene silenziato. E' ammissibile una cosa
simile? Basta porsi la domanda per avere una risposta.
Quali
conseguenze?
Le
conseguenze di questo presunto diritto di proprietà sarebbero
disastrose. Un edicolante potrebbe avere la “libertà” di non
vendere certi giornali. Per evitare obiezioni: un edicolante non è
in nulla simile ad un editore, è un tramite per la diffusione della
stampa. I giornali che non vende vengono ritirati e per quelli non
subisce perdita alcuna. Ed ancora, un panettiere potrebbe vendere il
pane solo a chi condivide la sua fede religiosa, in un supermercato
potrebbero entrare solo determinate categorie di persone, gli
albergatori potrebbero impedire l'ingresso negli alberghi a chi non
ha la pelle di un certo colore... si potrebbe continuare molto, molto
a luno. L'universalità del mercato verrebbe sostituita dalla
peggior frammentazione razziale, o politica, o religiosa. Chi avesse
la sventura di vivere in un paese in cui quasi tutti la pensano
diversamente da lui si vedrebbe privato di tutto ciò che è
necessario alla vita. Intorno a lui si farebbe terra bruciata.
E
cosa succederebbe su un simile potere lo avessero le grandi compagnie
che gestiscono le carte di credito e di debito? Vado in un centro
commerciale, compro un abito, alla cassa pago col Bancomat; la
cassiera mi guarda perplessa e dice: “Il suo bancomat è
bloccato”. Telefono in banca, chiedo spiegazioni. “Il mio conto
non è in rosso”, affermo. “Certo, il suo conto non è in rosso”
mi risponde la direttrice, "ma il suo bancomat è stato bloccato
perché la casa che gestisce le carte ha appurato che lei alle
elezioni ha votato Caio invece che Tizio”. E' anche solo
lontanamente ammissibile una situazione di questo genere? A mio
modesto avviso NO, non è assolutamente ammissibile, neppure in
parte, neppure in minima parte.
Per concludere
I
padroni dei social mirano ad un potere immenso,
spropositato. Un tempo erano i presidenti a censurare i media. E
nascevano le tirannidi. Ora sono i media a censurare i presidenti, e
nascono le tirannidi mediatiche.
Inutile negarlo: la comunicazione
politica passa oggi in grande misure per i social. Proprio per questo
i padroni degli stessi NON
possono avere la possibilità di tappare la bocca a nessuno. Possono
oscurare solo chi è ragionevolmente sospettato di compiere reati,
salvo togliere l'oscuramento, chieder scusa e se necessario risarcire
i censurati se chi di dovere, polizia o magistratura, appura che non
esiste reato alcuno. I padroni dei social invece, presi da delirio di
onnipotenza, pensano di poter fare ciò che vogliono, Ritengono sia
loro diritto stabilire chi ha e chi non ha diritto di parola, se ne
fregano di leggi e costituzioni, impediscono che vengano diffuse
notizie che gli stessi giornali stampati diffondono, senza incorrere
in denuncia alcuna. In una parola: si sentono i padroni del mondo.
Talmente padron da decidere chi deve essere il presidente degli Stati
Uniti d'America.
Vanno combattuti, senza se e senza ma. Possono
essere combattuti e possono essere sconfitti. Si, possono, perché la
loro forza è in parte più apparente che reale. Il loro progetto
mondialista si scontra con interessi, idee, speranze, aspirazioni,
sentimenti di una massa enorme di esseri umani. E suscita resistenze
sempre più dure. Per far fuori Trump non sono bastate le palle e le
censure, sono stati necessari i brogli. E nello stesso mercato che i
social vogliono dominare monopolisticamente sono presenti forze
alternative. Per ogni social che viene oscurato altri ne nascono. E'
difficilissimp, quasi impossibile controllare interamente società
complesse e variegate come quelle occidentali. Per farlo non basta la
censura, ci vorrebbe il carcere, magari le fucilazioni. Ma per
arrivare a questo servirebbe una guerra civile. Dovrebbero
ricordarsene i vari Zuckerberg ed i loro sgherri.
Mi ricorda qualcosa... https://static.globalist.it/foto/2018/09/04/0004FF70-un-cartello-che-vieta-l-ingresso-agli-ebrei.png
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