mercoledì 13 gennaio 2021

DELIRIO DI ONNIPOTENZA

 

Uno degli argomenti di chi difende l'ignobile politica censoria dei grandi social è il seguente: i social sono aziende private e, in quanto tali, possono vendere a chi vogliono i loro prodotti. Nessuno pensa che una casa editrice debba essere obbligata a pubblicare le opere di Tizio. Allo stesso modo FB o Twitter sono liberi di non render note le aberranti idee di Trump.
Evitiamo ogni considerazione sullo strano amore per la proprietà privata che caratterizza oggi gli stessi che da sempre tuonano contro la stessa. Ed evitiamo anche ogni commento sul fatto che considerano indegne di esser diffuse le idee di una persona che per 4 anni ha guidato lo stato più potente del mondo, senza togliere un grammo di libertà a nessuno. Veniamo al sodo ed esaminiamo il loro “ragionamento”.

I social sono case editrici?

Piantiamola con questo equivoco: i social NON sono case editrici. Innanzitutto per un motivo giuridico: le case editrici sono responsabili per ciò che pubblicano, i social NO. Se la casa editrice Pinco Pallo pubblica un libro in cui si danno istruzioni su come organizzare attentati, ad essere penalmente responsabile non è solo l'autore del libro, ma anche la casa editrice. La stessa cosa NON vale per i social. Se su FB compaiono siti in cui si esalta il terrorismo islamico (ce ne sono molti, e non vengono oscurati...) i padroni di FB non rischiano la galera. Ad essere penalmente responsabili sono solo gli autori dei post filo terroristici.
Ma c'è un altro motivo, ancora più sostanziale che impedisce ogni accostamento fra social e case editrici. Le case editrici vendono libri, giornali, riviste, insomma, gli scritti di qualcuno. Obbligare una casa editrice a pubblicare un libro di Tizio sarebbe un po' come obbligare un ristoratore a inserire nel suo menù un certo piatto. Una cosa aberrante che obbligherebbe tra le molte altre cose il ristoratore a sostenere un costo per cui egli non prevede un ricavo adeguato.
Una casa editrice è quindi libera di pubblicare ciò che vuole, ma una volta che ha deciso di pubblicare qualcosa è
obbligata a venderla a tutti. Se la Mondadori pubblica una nuova edizione dei “Promessi sposi” non può pretendere di vendere questo libro a Tizio che vota X e non a Caio che invece vota Y, né può venderlo a chi ha la pelle di un certo colore, o crede in un certo Dio e non a chi ha la pelle di colore diverso o crede in un altro Dio. La libertà su cosa pubblicare non implica la libertà di decidere a chi vendere.
A differenza delle case editrici i social
NON vendono scritti, vendono spazi di comunicazione. FB non vende i miei post, vende a me e ad altri la possibilità di pubblicare dei post. Per farla breve, i social sono qualcosa di molto simile alle imprese telefoniche: non vendono ciò che si dice al telefono ma la possibilità di telefonare. Per questo, tra l'altro non sono responsabili di quanto in essi viene postato, ma, proprio per questo, non possono, non devono avere il potere di censurare nessuno.
Dare ai padroni dei social il potere di censurarmi è come dare ai gestori di linee telefoniche il potere di non vendermi i loro prodotti perché io ho idee diverse dalle loro, o conferir loro il potere di interrompere una mia chiamata se in questa faccio affermazioni che a loro non piacciono. Proviamo ad immaginarlo: sto parlando a telefono, affermo: “Conte è brutto”; una vocina mi interrompe: “quanto lei dice è contrario ai nostri standar” gracchia, e il mio telefono viene silenziato. E' ammissibile una cosa simile? Basta porsi la domanda per avere una risposta.

Quali conseguenze?

Le conseguenze di questo presunto diritto di proprietà sarebbero disastrose. Un edicolante potrebbe avere la “libertà” di non vendere certi giornali. Per evitare obiezioni: un edicolante non è in nulla simile ad un editore, è un tramite per la diffusione della stampa. I giornali che non vende vengono ritirati e per quelli non subisce perdita alcuna. Ed ancora, un panettiere potrebbe vendere il pane solo a chi condivide la sua fede religiosa, in un supermercato potrebbero entrare solo determinate categorie di persone, gli albergatori potrebbero impedire l'ingresso negli alberghi a chi non ha la pelle di un certo colore... si potrebbe continuare molto, molto a luno. L'universalità del mercato verrebbe sostituita dalla peggior frammentazione razziale, o politica, o religiosa. Chi avesse la sventura di vivere in un paese in cui quasi tutti la pensano diversamente da lui si vedrebbe privato di tutto ciò che è necessario alla vita. Intorno a lui si farebbe terra bruciata.
E cosa succederebbe su un simile potere lo avessero le grandi compagnie che gestiscono le carte di credito e di debito? Vado in un centro commerciale, compro un abito, alla cassa pago col Bancomat; la cassiera mi guarda perplessa e dice: “Il suo bancomat è bloccato”. Telefono in banca, chiedo spiegazioni. “Il mio conto non è in rosso”, affermo. “Certo, il suo conto non è in rosso” mi risponde la direttrice, "ma il suo bancomat è stato bloccato perché la casa che gestisce le carte ha appurato che lei  alle elezioni ha votato Caio invece che Tizio”. E' anche solo lontanamente ammissibile una situazione di questo genere? A mio modesto avviso NO, non è assolutamente ammissibile, neppure in parte, neppure in minima parte.

Per concludere

I padroni dei social mirano ad un potere immenso, spropositato. Un tempo erano i presidenti a censurare i media. E nascevano le tirannidi. Ora sono i media a censurare i presidenti, e nascono le tirannidi mediatiche.
Inutile negarlo: la comunicazione politica passa oggi in grande misure per i social. Proprio per questo i padroni degli stessi
NON possono avere la possibilità di tappare la bocca a nessuno. Possono oscurare solo chi è ragionevolmente sospettato di compiere reati, salvo togliere l'oscuramento, chieder scusa e se necessario risarcire i censurati se chi di dovere, polizia o magistratura, appura che non esiste reato alcuno. I padroni dei social invece, presi da delirio di onnipotenza, pensano di poter fare ciò che vogliono, Ritengono sia loro diritto stabilire chi ha e chi non ha diritto di parola, se ne fregano di leggi e costituzioni, impediscono che vengano diffuse notizie che gli stessi giornali stampati diffondono, senza incorrere in denuncia alcuna. In una parola: si sentono i padroni del mondo. Talmente padron da decidere chi deve essere il presidente degli Stati Uniti d'America.
Vanno combattuti, senza se e senza ma. Possono essere combattuti e possono essere sconfitti. Si, possono, perché la loro forza è in parte più apparente che reale. Il loro progetto mondialista si scontra con interessi, idee, speranze, aspirazioni, sentimenti di una massa enorme di esseri umani. E suscita resistenze sempre più dure. Per far fuori Trump non sono bastate le palle e le censure, sono stati necessari i brogli. E nello stesso mercato che i social vogliono dominare monopolisticamente sono presenti forze alternative. Per ogni social che viene oscurato altri ne nascono. E' difficilissimp, quasi impossibile controllare interamente società complesse e variegate come quelle occidentali. Per farlo non basta la censura, ci vorrebbe il carcere, magari le fucilazioni. Ma per arrivare a questo servirebbe una guerra civile. Dovrebbero ricordarsene i vari Zuckerberg ed i loro sgherri.

1 commento:

  1. Mi ricorda qualcosa... https://static.globalist.it/foto/2018/09/04/0004FF70-un-cartello-che-vieta-l-ingresso-agli-ebrei.png

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