lunedì 16 ottobre 2023

LA MONTAGNA INCANTATA

 Ho letto “La montagna incantata” una prima volta circa 17 anni fa. Attraversavo un momento di difficili condizioni di salute e non ho affrontato romanzo di Thomas Mann con la dovuta, necessaria concentrazione; pur riconoscendo l’importanza e la grandezza del romanzo lo ho giudicato “troppo intellettualistico”.
Ho riletto in questo periodo il capolavoro di Mann e sono costretto a mutare parere. “La montagna incantata” è un romanzo semplicemente stupendo. Si tratta certamente un libro “difficile”, ma la sua è la tipica difficoltà del capolavoro.
La trama è abbastanza nota. Il giovane Hans Castorp si reca al sanatorio del Berghof, sulle Alpi svizzere, per visitare il cugino Joachin Ziemssen, da tempo ricoverato perché affetto da tubercolosi. Inizialmente pensa di doversi trattenere per tre settimane, poi scoprirà di essere a sua volta malato ed il suo soggiorno in montagna si protrarrà per ben sette anni. Il romanzo ci fa vivere le vicende umane ed intellettuali del giovane Castorp, i suoi incontri, le sue esperienze, il suo graduale distacco dal modo di vivere della “pianura” e la sua graduale assimilazione al mondo del sanatorio. Quel mondo che diventa nel romanzo di Mann il punto di incontro di tutte le principali correnti del pensiero europeo nel periodo che precede la grande tragedia del primo conflitto mondiale: la scienza, lo scientismo, con incursioni nel mondo della psicanalisi e addirittura, con chiari significati simbolici, del paranormale, il progressismo democratico, il razionalismo ingenuo, la rivolta contro la ragione con i suoi inevitabili risvolti autoritari e nichilisti. In questa griglia intellettuale si svolgono le vicende umane del giovane protagonista, le sue relazioni con gli ospiti del sanatorio, il rafforzamento dell’amicizia nei confronti del cugino, ansioso di tornare “a valle” per intraprendere la carriera militare. In quell’atmosfera rarefatta il giovane Castorp si innamora perdutamente di madame Chauchat, giovane, affascinante donna che passa la vita da un sanatorio all’altro, facendo letteralmente perdere la testa a più di un uomo. Il suo è un amore fatto di sguardi, intese silenziose, parole non dette. Un amore platonico al cui fondo sta tuttavia una fortissima carica erotica. Solo dopo molto tempo, in una memorabile notte di carnevale, Castorp troverà il coraggio di rivelare i suoi sentimenti a madame Chauchat, che però proprio l’indomani deve partire. Tornerà, molto tempo dopo, accompagnata da un amante: l’incredibile, ricchissimo signor Peeperkorn, incarnazione della sensualità della vita in tutti i suoi aspetti, una sorta di Dionisio nietzchiano, di scarsa levatura intellettuale ma dotato di una enorme, invadente personalità che conquista il giovane Castorp, spegnendo in lui la ogni traccia di gelosia.

I veri protagonisti intellettuali del romanzo sono tuttavia Lodovico Settembrini e Leo Naphta.
Il massone Settembrini è un umanista pervaso di razionalismo, fede nel progresso, amore per la libertà e la democrazia. Il suo ottimismo idealistico è però tanto ingenuo da apparire a volte quasi comico. Settembrini crede in una ragione quasi onnipotente, capace di cancellare dal mondo ogni dolore e con questo tutto ciò che nel mondo esiste di oscuro, arazionale, non spiegato e non spiegabile. Vuole un mondo unificato dai valori della libertà, e pare davvero convinto che l’umanità si avvii versa una sorta di ininterrotta felicità; non a caso Castorp lo definisce fra se e se “suonatore di organetto”.
Naphta, ebreo convertito al cristianesimo, gesuita cui la malattia (e forse anche i superiori, preoccupati dai risvolti nichilisti del suo pensiero) ha interrotto la carriera, è l’antagonista di Settembrini. Naphta rappresenta la rivolta contro la ragione, detesta l’idea di progresso, è per il dogma contro il libero pensiero, l’autorità contro la democrazia. Per lui le idee di Settembrini altro non sono che ipocrisie borghesi, esaltazione dell’individuo egoistico staccato e contrapposto al collettivo di cui è parte. E’ tale l’avversione di Naphta contro qualsiasi razionalismo che nel corso delle sue discussioni con Settembrini non esista ad esaltare quanto di oscuro, corruttibile, miserabile esiste nell’uomo. Una sorta di miscuglio fra Dio e Satana, gli rimprovera Settembrini, ma la mistura non spaventa Naphta: meglio questa che l’ipocrisia borghese con la miserabile adorazione del Dio denaro ad essa collegata. In questo modo Naphta giunge ad accostarsi al comunismo e profetizza, facendo inorridire Settembrini, l’avvento di una rivoluzione comunista che spazzerà via l’insopportabile alienazione borghese e mercantile. Non c’è che dire: un gran salto profetico, di interesse anche attuale, dai tribunali della sacra inquisizione alla dittatura proletaria...
I due antagonisti vorrebbero conquistare alle loro idee il giovane Castorp che però non segue né l’uno né l’altro. Il giovane prova sentimenti di umana simpatia per Settembrini, ma comprende bene l’ingenuità di molti aspetti del suo pensiero. E’ affascinato dalla ferrea, sottile logica di Naphta, che spesso ha la meglio negli scontri dialettici col rivale, ma non lo segue nell’abisso del nichilismo, ed arriva a definirlo “terrorista”. Castorp raggiunge faticosamente un suo equilibrio intellettuale: riconosce l’importanza del male e della morte ma non ne sposa l’oscurità, piuttosto li vede come una dura via da seguire per raggiungere un autentico rinnovamento spirituale.

Sarebbe però erroneo considerare “la montagna incantata” come una sorta di panoramica del pensiero europeo nel periodo precedente la grande guerra, una sorta di grande saggio storico filosofico. No, “la montagna incantata” è innanzitutto un romanzo, una grande opera di narrativa. Un romanzo ricco di considerazioni filosofiche, carico di simbolismi, la cui grande forza sta però nella potenza narrativa, nella capacità di coinvolgere il lettore nella vita nel sanatorio, nei suoi tempi, cerimonie, frivolezze. Un grande romanzo in cui la narrazione raggiunge a volte le vette di un realismo addirittura spietato, capace di comunicare al lettore sentimenti di autentica angoscia nelle pagine dedicate alla descrizione del dolore e della morte.
la montagna incantata” può infatti essere considerato un romanzo sul tempo e sulla morte.
Sul tempo non tanto per le considerazioni profonde che su questo mistero fanno Naphta e Settembrini e, soprattutto, il giovane Castorp, che si rivela rapidamente assi diverso dal bonaccione borghese che all’inizio poteva apparire. Romanzo sul tempo, sul tempo soggettivo, non quello di Newton od Einstein, quello della quotidiana esperienza in cui ognuno di noi collega nell’istante ricordi ed aspettative. Romanzo sul tempo, dicevo, perché immerge il lettore nel tempo del sanatorio, del tutto diverso da quello della “pianura”. Il sanatorio è caratterizzato dalla lentezza del tempo. Come accadrebbe ad un viaggiatore spaziale che si muovesse a velocità vicine a quella della luce il tempo del sanatorio si dilata. Sua unità di misura sono i mesi e gli anni, non i giorni o le settimane. Ed anche quel tempo “lento” si modifica a seconda delle situazioni. Bellissima a questo proposito la narrazione di una importante esperienza del protagonista. Accortosi di non stare bene il giovane Castorp, sollecitato da una arcigna infermiera, acquista un termometro e si misura la temperatura corporea. Deve tenere il termometro sotto la lingua per sette minuti. Sette minuti, non un tempo breve, una eternità! Ed il lettore è coinvolto in questa eternità, segue il corso dei pensieri, delle sensazioni del giovane, si trova quasi magicamente immerso nel “suo” tempo.
E ancora, romanzo sulla morte; di nuovo non per le dotte considerazioni che Settembrini e Naphta fanno sull’argomento ma perché tutta la narrazione è letteralmente impastata di morte.
Bellissime a questo proposito le parti iniziali del romanzo. Raggiunto il sanatorio questo sembra a prima vista al giovane Castorp assai simile ad un albergo di lusso. Begli arredi, anche se un po kitsch, camerieri gentili, pasti pantagruelici con piatti raffinatissimi. E l’atmosfera sembra, di nuovo, quella di una località di vacanza: chiacchiere frivole, baldi giovanotti, sani all’apparenza, che corteggiano leggiadre fanciulle, belle passeggiate nello splendore delle Alpi svizzere. Ma in questo idillio si sente da subito il puzzo della morte. Mentre sta per raggiungere il sanatorio Castorp vede una slitta. “con quella portano a valle i cadaveri” lo informa il cugino. E quando per la prima volta si avvia verso la grande sala da pranzo sente un rumore, un rumore orribile, mai sentito prima. “E’ una giovane che tossisce”, lo informa di nuovo il cugino... “ne ha per poco…”. Tosse, un colpo dio tosse, ma una tosse mostruosa, un rumore quasi osceno che rivela di colpo la vera natura del posto. I ricoverati rimuovono il pensiero della morte, non parlano delle persone che non entrano più nella elegante sala da pranzo, discutono di sciocchezze, si offendono se qualcuno accenna al… brutto. Ma la morte è li, onnipresente, il suo puzzo si sente.. e lo sente anche il lettore.

La permanenza di Castorp in sanatorio durerà, lo si è detto, ben sette anni durante i quali il ggiovane perde di fatto ogni contatto col mondo “della pianura”. A riportarlo in “pianura” sarà il dramma della grande guerra. Castorp parte per andare a servire il suo paese, abbandona il tempo lento del sanatorio per immergersi nel turbinio bellico che lo travolge. Il romanzo non dice se il giovane sopravvive o meno al grande conflitto, questo tuttavia pone fine ad un’epoca, ed un’altra ne apre. Una epoca nuova e sanguinosa, che si concluderà con una nuova ed ancora più colossale mattanza, e che sembra confermare le previsioni più fosche di Leo Naphta. Un’epoca che siamo riusciti a superare, ma che, vista la situazione attuale del mondo, potrebbe ripresentarsi. Perché sempre e da sempre la civiltà è minacciata dal riemergere della barbarie.

La montagna incantata è in definitiva un grande romanzo, un autentico, assoluto capolavoro. Un libro difficile, di certo non è possibile leggerlo a letto o in treno, ma proprio per questo regala al lettore momenti di profondo piacere intellettuale. La sua difficoltà è quella dei sentieri di montagna: sono faticosi ma quante soddisfazioni regalano a chi li affronta!
Ovviamente apprezzare la grandezza di un romanzo, specie di un romanzo filosofico come “la montagna incantata”, non vuol dire condividere tutte le tesi politiche e filosofiche che in esso sembrano esporre il pensiero dell’autore. Nelle “considerazioni di un impolitico” Mann espresse a suo tempo tesi che difficilmente possono essere condivise da chi ama la democrazia occidentale. In seguito sottopose a critica le idee esposte nel saggio, difese la repubblica di Weimar contro gli attacchi del nazismo e nel 1933 abbandonò la Germania. Non rinnegò però mai del tutto le tesi esposte nelle “considerazioni” e di queste ci sono tracce nella “montagna incantata”.
Ma apprezzare un capolavoro non vuol dire, val la pena di ripeterlo, essere d’accordo con tutta la filosofia di cui è impregnato. Personalmente non concordo affatto, per fare solo un esempio, con l’antioccidentalismo di un Dostoevskij, questo non mi ha spinge a cercare di negare o sminuire il valore di un capolavoro come “i fratelli karamazov”.
Una cosa è certa: “la montagna incantata” è un libro da leggere e meditare. In un momento in cui sugli scaffali delle librerie è esposta molta spazzatura ed in cui nanerottoli letterari vengono presentati come giganti la lettura di un grande capolavoro non solo eleva lo spirito, ma costituisce un ottimo antidoto contro la superficiale volgarità che ci opprime. Non è poco, direi.


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