Gli Israeliani stanno commettendo un genocidio a Gaza! Lo hanno detto in tanti, e così tante volte, che non c'è da stupirsi se alla fine qualcuno ci ha creduto. Lo aveva teorizzato il dottor Joseph Goebbels: “ripeti continuamente una menzogna e questa diventa una verità”.
Però una menzogna resta una menzogna, anche se qualcuno ci crede, anche se la ripetono i media, anche se astuti demagoghi la propagandano e profondi intellettuali la nobilitano con il peso dei loro allori accademici.
L'enciclopedia Treccani definisce il genocidio come la “Sistematica distruzione di una popolazione, una stirpe, una razza o una comunità religiosa”. SISTEMATICA DISTRUZIONE, questo è il genocidio. Non costituiscono un “genocidio” i morti in combattimento e neppure i civili che perdono la vita nel corso di una guerra. Esiste il “genocidio” quando si mira ad eliminare un certo gruppo etnico, o razziale o religioso. A suo tempo, in sede di dibattito ONU, si voleva includere fra i gruppi la cui eliminazione sistematica si configurava come “genocidio” anche quelli sociali. Lo sterminio dei membri di una certa classe sociale si sarebbe in questo modo configurato come genocidio. Non se ne fece niente per l'opposizione, non casuale, dell'URSS: se la sistematica eliminazione di ceti e classi sociali avesse costituito un genocidio nessun paese sarebbe stato più genocida dell'allora Unione Sovietica. Comunque, la definizione è abbastanza ampia per includere nella categoria del genocidio molti atti di Stalin che, come si sa, fu assai solerte nell'eliminare “popolazioni, stirpi e razze”, basti pensare ai cosacchi, ai russi tedeschi o agli ucraini.
In ogni caso, al di la delle sottigliezze e dei cavilli giuridici, un genocidio si caratterizza per le dimensioni di massa: interi gruppi devono essere eliminati e questo implica una politica di sterminio indiscriminato.
Una delle conseguenze delle politiche di genocidio è la riduzione numerica delle popolazioni. L'Istituto Treccani della Enciclopedia Italiana, fonte leggermente più attendibile dei vari siti negazionisti o filo palestinesi, ricorda che:
“Secondo la relazione ufficiale del comitato d'inchiesta anglo-americano sull'ebraismo europeo e la Palestina (Losanna, 20 aprile 1946), le perdite degli Ebrei nei paesi occupati dalla Germania o dai suoi alleati durante la fase acuta della persecuzione possono calcolarsi in base al confronto tra la popolazione ebraica del 1939 e quella del 1946”. Sempre secondo il comitato, “in totale vi erano in Europa nel 1939 9.946.200 Ebrei; nel 1946 essi si erano ridotti a 4.224.600.
Considerazioni simili si possono fare per altre popolazioni vittime di genocidi. In un documentatissimo articolo apparso sul suo blog (come ti smentisco le menzogne di Manlio di Stefano su Israele) Emanuele Gargiulo ricorda che in Anatolia la popolazione armena si ridusse di circa un milione e mezzo di unità dal 1914 al 1922, ed in Ruanda l'etnia Tutzi si ridusse in un anno, dal 1994 al 1995, di quasi un milione di unità. Gaza invece conta oggi circa 1.800.000 abitanti, ne contava 1.130.000 circa nel 2.000 e 1.600.000 nel 2010. Malgrado il genocidio israeliano che a detta di molti dura da anni, la popolazione araba di Gaza ha continuato a crescere. Molto strano...
Ma, forse ancora più dei confronti demografici, sempre discutibili e soggetti a diverse variabili (nuove nascite, rapporto nascite - decessi, influenza di cause naturali di decesso eccetera) sono significative le cifre assolute. Le valutazioni sull'entità del genocidio Cambogiano variano da un minimo di un milione ad un massimo di tre milioni di persone, su un paese di dodici milioni circa di abitanti; insomma, da un dodicesimo ad un quarto della popolazione cambogiana è stata massacrata dai Kmer rossi di Pol Pot. Applicate alla popolazione di Gaza del 2010 simili percentuali darebbero un numero di palestinesi trucidati dagli israeliani variabile fra le 130.000 e le 400.000 unità, cifre che neppure il più acceso nemico di Israele si sogna di diffondere.
Quanto all'Unione sovietica, vediamo cosa dice lo storico Russo Roy Medvedev. Si tratta non di un “anticomunista viscerale” ma di un comunista riformatore, un gorbacioviano; soprattutto si tratta uno studioso della cui serietà possono dubitare solo i faziosi.
In “Lo stalinismo” (Mondadori 1977) Medvedev afferma:
“Nel 1936 – 39, secondo i calcoli più prudenti, da quattro a cinque milioni di persone ebbero a subire la repressione per motivi politici. Almeno quattro o cinquecentomila di queste, soprattutto fra gli alti funzionari, vennero sommariamente fucilate; le altre ebbero lunghi anni di lager. Nel 1937 38 c'erano dei giorni in cui più di mille persone venivano fucilate nella sola Mosca”. L'ultima guerra di Gaza è costata ai palestinesi, secondo fonti di Hammas, circa 2.000 vittime in oltre due mesi di combattimenti. Più o meno l'equivalente di due giorni di fucilazioni staliniane, nella sola Mosca, ai tempi delle grandi purghe. Eppure queste purghe non vengono considerate un genocidio. Si trattava di repressione “selettiva”, politica, della distruzione di rivali, potenziali o reali, veri o presunti, di Stalin. Altrove Medvedev fornisce una valutazione più complessiva della vittime dello stalinismo. Citando i calcoli del demografo sovietico Maksudov, Medvedev afferma in “Stalin sconosciuto” (Editori riuniti 1980):
“In conseguenza delle repressioni e della fame (...) dal
1918 al 1953 nel nostro paese morirono circa 22 - 23
milioni di persone (…). Negli
anni del governo di Stalin quasi la metà degli uomini e
una donna su quattro perirono
non di morte naturale o non vissero quanto avrebbero dovuto”. Cifre
terrificanti, a cui non ha fatto seguito nessuna Norimberga.
E veniamo alla Cina. In “Mao, la storia sconosciuta” (Longanesi 2006) la saggista e scrittrice cinese Jungh Chang, autrice del bellissimo romanzo “I cigni selvatici”, e Jon Hallyday valutano a circa 70 milioni le vittime complessive, dirette ed indirette, della tirannide maoista. Riferendosi in particolare al “gran balzo in avanti” ed alla disastrosa carestia che questo causò, gli autori ricordano che “la razione di carne nelle città diminuì dai 5,1 chilogrammi annui del 1957 ad appena 1,5 nel 1960. (…) La carestia iniziò nel 1958 e terminò nel 1961 (…) Secondo un famoso sostenitore del regime, Hang Suyng, nel 1960 le casalinghe delle città assumevano un massimo di 1200 calorie al giorno. Ad Auschwitz gli addetti ai lavori forzati ne assumevano una quantità quotidiana variabile fra le 1300 e le 1700. (…) Durante la carestia alcuni furono costretti al al cannibalismo. Uno studio condotto dopo la morte di Mao (e subito soppresso) sulla contea di Fengyang, nella provincia di Ahnui registrò sessantatre casi di cannibalismo solo nella primavera del 1960. (…) Nei quattro anni del gran balzo in avanti e della carestia morirono di fame e di lavoro circa 38 milioni di persone”.
E' solo il caso di aggiungere che il libro della Chang e di Hollyday è documentatissimo. Di ogni cifra, di ogni fatto, di ogni testimonianza si cita la fonte. Le note e la biografia delle fonti occupano 152 pagine. Si tratta di qualcosa di leggermente più attendibile dei vari siti degli amici di Hammas.
Molti, parlando dei massacri spaventosi avvenuti in URSS ed in Cina, hanno negato che si trattasse di genocidi. Stalin e Mao non avevano, si è sostenuto, il fine di eliminare interi popoli. Hanno posto in atto una politica ideologica che ha avuto costi umani elevatissimi, non una politica genocida. Le loro vittime inoltre erano gruppi sociali, non etnie.
Sulla differenza fra gruppi sociali ed etnie si è già detto. E' un difetto non casuale della definizione di genocidio quello di escludere i gruppi sociali. Comunque, i gruppi sociali eliminati da Stalin e Mao erano anche gruppi etnici e nazionali, quindi, anche a prescindere da ulteriori considerazioni, rientrano nella definizione giuridica di genocidio. Quanto al fatto che le politiche di Stalin e Mao fossero ideologiche, beh, lo erano anche quelle di Hitler. Hitler era convinto che gli ebrei fossero la sifilide del genere umano e che andassero eliminati, e li ha fatti eliminare. Stalin e Mao erano convinti che l'unico modo per sostenere lo sviluppo industriale nelle città fosse affamare le campagne, ed hanno affamato le campagne. Esistevano altri modi, ovviamente, per sostenere lo sviluppo, ad esempio favorire gli investimenti esteri ed incentivare la diffusione del capitalismo in agricoltura, ma questi non potevano che essere rifiutati in base a considerazioni ideologiche. Inoltre Stalin e Mao consideravano i contadini quali potenziali nemici dei loro regimi. Il contadino, si sosteneva, è favorevole alla proprietà privata della terra, mira ad arricchirsi, ad ingrandire e a far rendere al massimo il suo fondo, è un capitalista, attuale o potenziale. Già Lenin e Trotskij avevano considerato la piccola proprietà agricola come un focolaio di infezione capitalistica che avrebbe potuto mettere in crisi la “dittatura del proletariato”. Per eliminare questo focolaio l'agricoltura andava interamente collettivizzata, anche se questo avesse, come effettivamente ha, avuto conseguenze umane, sociali ed economiche terrificanti. Le carestie che hanno caratterizzato i regimi di Stalin e Mao sono state la conseguenza di una scelta politica cosciente, anche se interamente dettata dall'ideologia e sono state usate dal regime come un'arma per fiaccare la resistenza di una classe sociale che si riteneva, a torto o a ragione, nemica del partito al potere e del suo sistema. Esattamente come lo sterminio degli ebrei aveva il fine di eliminare una etnia che il nazional socialismo considerava sua nemica implacabile.
Abbiamo fatto un telegrafico excursus sui genocidi veri, sui grandi stermini di massa del nostro secolo. Ebrei, Armeni, Tutzi, cambogiani; contadini (e non solo) Ucraini, russi, cinesi. Centinaia di migliaia, milioni, decine di milioni di esseri umani distrutti, mandati al macello, sacrificati in nome dell'odio razziale o di ideologie deliranti. Basta una rapida occhiata alle cifre che mi sono permesso di riportare per rendersi conto che il presunto “genocidio” israeliano a Gaza è una bufala di proporzioni galattiche.
E veniamo alla Cina. In “Mao, la storia sconosciuta” (Longanesi 2006) la saggista e scrittrice cinese Jungh Chang, autrice del bellissimo romanzo “I cigni selvatici”, e Jon Hallyday valutano a circa 70 milioni le vittime complessive, dirette ed indirette, della tirannide maoista. Riferendosi in particolare al “gran balzo in avanti” ed alla disastrosa carestia che questo causò, gli autori ricordano che “la razione di carne nelle città diminuì dai 5,1 chilogrammi annui del 1957 ad appena 1,5 nel 1960. (…) La carestia iniziò nel 1958 e terminò nel 1961 (…) Secondo un famoso sostenitore del regime, Hang Suyng, nel 1960 le casalinghe delle città assumevano un massimo di 1200 calorie al giorno. Ad Auschwitz gli addetti ai lavori forzati ne assumevano una quantità quotidiana variabile fra le 1300 e le 1700. (…) Durante la carestia alcuni furono costretti al al cannibalismo. Uno studio condotto dopo la morte di Mao (e subito soppresso) sulla contea di Fengyang, nella provincia di Ahnui registrò sessantatre casi di cannibalismo solo nella primavera del 1960. (…) Nei quattro anni del gran balzo in avanti e della carestia morirono di fame e di lavoro circa 38 milioni di persone”.
E' solo il caso di aggiungere che il libro della Chang e di Hollyday è documentatissimo. Di ogni cifra, di ogni fatto, di ogni testimonianza si cita la fonte. Le note e la biografia delle fonti occupano 152 pagine. Si tratta di qualcosa di leggermente più attendibile dei vari siti degli amici di Hammas.
Molti, parlando dei massacri spaventosi avvenuti in URSS ed in Cina, hanno negato che si trattasse di genocidi. Stalin e Mao non avevano, si è sostenuto, il fine di eliminare interi popoli. Hanno posto in atto una politica ideologica che ha avuto costi umani elevatissimi, non una politica genocida. Le loro vittime inoltre erano gruppi sociali, non etnie.
Sulla differenza fra gruppi sociali ed etnie si è già detto. E' un difetto non casuale della definizione di genocidio quello di escludere i gruppi sociali. Comunque, i gruppi sociali eliminati da Stalin e Mao erano anche gruppi etnici e nazionali, quindi, anche a prescindere da ulteriori considerazioni, rientrano nella definizione giuridica di genocidio. Quanto al fatto che le politiche di Stalin e Mao fossero ideologiche, beh, lo erano anche quelle di Hitler. Hitler era convinto che gli ebrei fossero la sifilide del genere umano e che andassero eliminati, e li ha fatti eliminare. Stalin e Mao erano convinti che l'unico modo per sostenere lo sviluppo industriale nelle città fosse affamare le campagne, ed hanno affamato le campagne. Esistevano altri modi, ovviamente, per sostenere lo sviluppo, ad esempio favorire gli investimenti esteri ed incentivare la diffusione del capitalismo in agricoltura, ma questi non potevano che essere rifiutati in base a considerazioni ideologiche. Inoltre Stalin e Mao consideravano i contadini quali potenziali nemici dei loro regimi. Il contadino, si sosteneva, è favorevole alla proprietà privata della terra, mira ad arricchirsi, ad ingrandire e a far rendere al massimo il suo fondo, è un capitalista, attuale o potenziale. Già Lenin e Trotskij avevano considerato la piccola proprietà agricola come un focolaio di infezione capitalistica che avrebbe potuto mettere in crisi la “dittatura del proletariato”. Per eliminare questo focolaio l'agricoltura andava interamente collettivizzata, anche se questo avesse, come effettivamente ha, avuto conseguenze umane, sociali ed economiche terrificanti. Le carestie che hanno caratterizzato i regimi di Stalin e Mao sono state la conseguenza di una scelta politica cosciente, anche se interamente dettata dall'ideologia e sono state usate dal regime come un'arma per fiaccare la resistenza di una classe sociale che si riteneva, a torto o a ragione, nemica del partito al potere e del suo sistema. Esattamente come lo sterminio degli ebrei aveva il fine di eliminare una etnia che il nazional socialismo considerava sua nemica implacabile.
Abbiamo fatto un telegrafico excursus sui genocidi veri, sui grandi stermini di massa del nostro secolo. Ebrei, Armeni, Tutzi, cambogiani; contadini (e non solo) Ucraini, russi, cinesi. Centinaia di migliaia, milioni, decine di milioni di esseri umani distrutti, mandati al macello, sacrificati in nome dell'odio razziale o di ideologie deliranti. Basta una rapida occhiata alle cifre che mi sono permesso di riportare per rendersi conto che il presunto “genocidio” israeliano a Gaza è una bufala di proporzioni galattiche.
Già
sento le obiezioni. “Non si fa contabilità sui cadaveri!”
“Uccidere un solo bambino è un crimine!” Eccetera eccetera
eccetera.
Verissimo, la contabilità sui cadaveri è antipatica, ed è un crimine orrendo uccidere anche un solo bambino, però... però sono proprio i filo palestinesi a fare macabre contabilità sui cadaveri quando paragonano i numerosi morti palestinesi a quelli israeliani, assai meno numerosi. I “razzi giocattolo” di Hammas hanno ucciso molti israeliani, bambini compresi. Questi però non contano, per i filo islamici, perché sono pochi rispetto ai caduti palestinesi. In effetti gli israeliani sono bene attrezzati a difendersi, cercano di ridurre al minimo le loro perdite, militari e soprattutto civili. A loro non interessa poter agitare di fronte al mondo le foto dei corpi straziati di bambini innocenti, preferiscono che questi bambini abbiano salva la vita. I prodi combattenti di Hammas la pensano diversamente. Non fanno nulla per evitare gli scontri e neppure per minimizzarne gli effetti sulla loro gente. Urlano, strillano, amplificandolo al massimo, il numero dei loro caduti, si fanno forti delle proprie perdite, cercano di vincere sul piano della propaganda quella guerra che non riescono a vincere né sul piano politico né su quello militare.
Verissimo, la contabilità sui cadaveri è antipatica, ed è un crimine orrendo uccidere anche un solo bambino, però... però sono proprio i filo palestinesi a fare macabre contabilità sui cadaveri quando paragonano i numerosi morti palestinesi a quelli israeliani, assai meno numerosi. I “razzi giocattolo” di Hammas hanno ucciso molti israeliani, bambini compresi. Questi però non contano, per i filo islamici, perché sono pochi rispetto ai caduti palestinesi. In effetti gli israeliani sono bene attrezzati a difendersi, cercano di ridurre al minimo le loro perdite, militari e soprattutto civili. A loro non interessa poter agitare di fronte al mondo le foto dei corpi straziati di bambini innocenti, preferiscono che questi bambini abbiano salva la vita. I prodi combattenti di Hammas la pensano diversamente. Non fanno nulla per evitare gli scontri e neppure per minimizzarne gli effetti sulla loro gente. Urlano, strillano, amplificandolo al massimo, il numero dei loro caduti, si fanno forti delle proprie perdite, cercano di vincere sul piano della propaganda quella guerra che non riescono a vincere né sul piano politico né su quello militare.
Ma,
anche a prescindere da queste considerazioni, è proprio vero che non
ha senso fare la “contabilità sui cadaveri”? No, non è
vero.
Anche un solo morto ammazzato è uno di troppo, però, ai fini della valutazione di un certo regime non è la stessa cosa stabilire se sono stati uccisi dei nemici in combattimento o degli inermi civili. E non è la stessa cosa se i civili sono stati uccisi per costringere un paese in guerra alla resa o perché, dopo che un paese si è arreso, o che sue aree sono state conquistate, i vincitori hanno dato libero sfogo ai loro istinti più bestiali. Ed ancora, stragi solate di cui sono responsabili singoli ufficiali, o “schegge impazzite” di un esercito non sono sullo stesso piano del massacro programmato di intere popolazioni, o gruppi etnici, o classi sociali. Tutti i caduti meritano pari rispetto, è vero, ma non si possono definire “genocidio” i massacri di una soldataglia fuori controllo.
Più in generale, è del tutto sbagliato escludere come “irrilevante” ogni considerazione quantitativa dalla valutazione di un regime. Un regime che fa imprigionare gli oppositori politici è dittatoriale, uno che fa fucilare in massa ogni oppositore, reale o potenziale, vero o presunto che sia, è sanguinario. Uno che distrugge interi popoli, o etnie, o gruppi sociali, è genocida. Tutti sono esecrabili, ma non nello stesso modo e nella stessa misura.
Parlare di “genocidio” ogni volta che ci si trova di fronte ad una certa quantità di morti significa banalizzare il concetto di genocidio, privarlo di quanto questo ha di specifico.
Gli attentai dell'undici settembre 2001 non sono stati un genocidio, anche se hanno provocato più morti dell'ultima guerra di Gaza. E non sono stati un genocidio i bombardamenti delle grandi città tedesche nell'ultima fase del secondo conflitto mondiale, e neppure i bombardamenti atomici del Giappone. Si tratta di atti atroci, moralmente assai discutibili, che tuttavia non miravano alla distruzione di un popolo, o di una etnia, o di un gruppo religioso. Prova ne sia che nessuno, dopo la resa della Germania e del Giappone, ha proposto, e meno che mai messo in atto, un massacro indiscriminato di tedeschi o giapponesi.
Se queste considerazioni hanno un senso, parlare di “genocidio” riferendosi ai palestinesi di Gaza è semplicemente ridicolo. Gli israeliani non hanno alcuna intenzione di eliminare dalla faccia della terra i palestinesi, se volessero farlo a Gaza ci sarebbero stati non centinaia o, nella peggiore delle ipotesi, migliaia di morti; le vittime si conterebbero a decine, forse centinaia di migliaia. E se davvero i cattivissimi israeliani avessero intenzioni genocide non metterebbero in atto tecniche di attacco miranti ad evitare, per quanto è possibile, le vittime civili. Non avviserebbero preventivamente i civili palestinesi di ogni attacco, non li inviterebbero ad allontanarsi dalle proprie abitazioni prima dei raid. Né, soprattutto, aspetterebbero, prima di decidersi ad attaccare, di essere a loro volta bombardati per settimane, o mesi, dagli angioletti di Hammas.
Il genocidio israeliano a Gaza è insomma uno dei più strani della storia. Dura da anni, ma ha prodotto al massimo alcune migliaia di vittime e non ha impedito il forte incremento della popolazione palestinese. Viene sempre messo in atto dopo che le vittime hanno iniziato a bombardare i carnefici. Viene condotto con modalità che mirano, con tutta evidenza, a ridurre il numero delle vittime civili. Gli ebrei e gli Armeni, i Cambogiani, i contadini russi e cinesi sarebbero stati ben felici di aver subito un simile trattamento. E lo sarebbero anche, oggi, i cristiani e i Curdi vittime dell'Isis.
E' davvero un segno dei tempi. Le vittime che l'Isis produce in quantità industriali non costituiscono un genocidio, non sono genocidio i circa duecentomila morti della guerra civile in Siria. Lo sono invece i 2000 morti palestinesi dell'ultima guerra di Gaza. Per quanto tempo ancora durerà l'incapacità di pensare di tanti occidentali vittime del politicamente corretto?
Anche un solo morto ammazzato è uno di troppo, però, ai fini della valutazione di un certo regime non è la stessa cosa stabilire se sono stati uccisi dei nemici in combattimento o degli inermi civili. E non è la stessa cosa se i civili sono stati uccisi per costringere un paese in guerra alla resa o perché, dopo che un paese si è arreso, o che sue aree sono state conquistate, i vincitori hanno dato libero sfogo ai loro istinti più bestiali. Ed ancora, stragi solate di cui sono responsabili singoli ufficiali, o “schegge impazzite” di un esercito non sono sullo stesso piano del massacro programmato di intere popolazioni, o gruppi etnici, o classi sociali. Tutti i caduti meritano pari rispetto, è vero, ma non si possono definire “genocidio” i massacri di una soldataglia fuori controllo.
Più in generale, è del tutto sbagliato escludere come “irrilevante” ogni considerazione quantitativa dalla valutazione di un regime. Un regime che fa imprigionare gli oppositori politici è dittatoriale, uno che fa fucilare in massa ogni oppositore, reale o potenziale, vero o presunto che sia, è sanguinario. Uno che distrugge interi popoli, o etnie, o gruppi sociali, è genocida. Tutti sono esecrabili, ma non nello stesso modo e nella stessa misura.
Parlare di “genocidio” ogni volta che ci si trova di fronte ad una certa quantità di morti significa banalizzare il concetto di genocidio, privarlo di quanto questo ha di specifico.
Gli attentai dell'undici settembre 2001 non sono stati un genocidio, anche se hanno provocato più morti dell'ultima guerra di Gaza. E non sono stati un genocidio i bombardamenti delle grandi città tedesche nell'ultima fase del secondo conflitto mondiale, e neppure i bombardamenti atomici del Giappone. Si tratta di atti atroci, moralmente assai discutibili, che tuttavia non miravano alla distruzione di un popolo, o di una etnia, o di un gruppo religioso. Prova ne sia che nessuno, dopo la resa della Germania e del Giappone, ha proposto, e meno che mai messo in atto, un massacro indiscriminato di tedeschi o giapponesi.
Se queste considerazioni hanno un senso, parlare di “genocidio” riferendosi ai palestinesi di Gaza è semplicemente ridicolo. Gli israeliani non hanno alcuna intenzione di eliminare dalla faccia della terra i palestinesi, se volessero farlo a Gaza ci sarebbero stati non centinaia o, nella peggiore delle ipotesi, migliaia di morti; le vittime si conterebbero a decine, forse centinaia di migliaia. E se davvero i cattivissimi israeliani avessero intenzioni genocide non metterebbero in atto tecniche di attacco miranti ad evitare, per quanto è possibile, le vittime civili. Non avviserebbero preventivamente i civili palestinesi di ogni attacco, non li inviterebbero ad allontanarsi dalle proprie abitazioni prima dei raid. Né, soprattutto, aspetterebbero, prima di decidersi ad attaccare, di essere a loro volta bombardati per settimane, o mesi, dagli angioletti di Hammas.
Il genocidio israeliano a Gaza è insomma uno dei più strani della storia. Dura da anni, ma ha prodotto al massimo alcune migliaia di vittime e non ha impedito il forte incremento della popolazione palestinese. Viene sempre messo in atto dopo che le vittime hanno iniziato a bombardare i carnefici. Viene condotto con modalità che mirano, con tutta evidenza, a ridurre il numero delle vittime civili. Gli ebrei e gli Armeni, i Cambogiani, i contadini russi e cinesi sarebbero stati ben felici di aver subito un simile trattamento. E lo sarebbero anche, oggi, i cristiani e i Curdi vittime dell'Isis.
E' davvero un segno dei tempi. Le vittime che l'Isis produce in quantità industriali non costituiscono un genocidio, non sono genocidio i circa duecentomila morti della guerra civile in Siria. Lo sono invece i 2000 morti palestinesi dell'ultima guerra di Gaza. Per quanto tempo ancora durerà l'incapacità di pensare di tanti occidentali vittime del politicamente corretto?
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