sabato 14 marzo 2015

I MORALISTI E KANT



E' deprimente constatare quanto poco abbiano inciso sul senso comune di molte persone oltre due secoli di pensiero laico e moderno.
Nelle moderne democrazie liberali il peccato è cosa ben diversa dal reato. Certo, a volte la legge punisce ciò che anche la morale comune condanna ma questo non avviene sempre, né necessariamente. Soprattutto, non avviene per gli stessi motivi.
Per la morale se io desidero uccidere Tizio e non lo faccio solo perché ho timore di finire in prigione sono colpevole quanto chi invece uccide effettivamente Tizio, per la legge invece non sono colpevole di nulla. Ed ancora, se sparo a Tizio e non lo colpisco sono imputabile solo di tentato omicidio, se invece lo colpisco e lo uccido sono colpevole di omicidio, reato ben più grave. Per la morale invece le due azioni sono sullo stesso piano.
A suo tempo lo mise bene in rilievo Kant. La morale si fonda sulla coscienza, sull'imperativo categorico, quella voce interiore che mi dice: “devi comportarti come se ogni tua azione potesse diventare una norma avente carattere universale”.
La legge invece si basa sulla costrizione esteriore. La legge non ci obbliga ad essere buoni ma a comportarci in maniera tale da non disgregare la società in cui siamo inseriti.  Al legislatore non interessa la purezza del nostro animo, ma solo la sostenibilità sociale dei nostri comportamenti.    
La morale riguarda l'io interiore, l'anima e la sua salvezza per i credenti. La legge il buon andamento della società. Confondere questi due piani è quanto di più sbagliato si possa concepire. Porta alla moralizzazione della politica che è tipica delle teocrazie.
Tradire il marito, mostrare le gambe suscitando libidinosi desideri eccetera eccetera sono peccati e in quanto tali vanno puniti dalla legge. Questo avviene nelle teocrazie islamiche. Da noi le cose vanno un po' diversamente. Tradire il marito (o la moglie), suscitare libidine sono (forse) peccati ma non comportamenti illeciti.

Ho scritto solo alcune banalità, me ne rendo conto. Però, certe reazioni alla assoluzione del cavaliere mi fanno pensare che forse non si tratta di banalità tanto condivise.
Che il cavaliere conducesse uno stile di vita assai discutibile mi sembra assodato, semmai sarei curioso di vedere cosa emergerebbe se certi suoi accusatori venissero spiati 24 ore al giorno. Il punto tuttavia non è questo. Il punto è che nei paesi civili la irreprensibilità dello stile di vita non è legalmente obbligatoria. Qualcuno potrebbe obbiettare che un politico ha il dovere di condurre uno stile di vita irreprensibile. Forse è vero, ma una cosa simile non riguarda i giudici, solo gli elettori. Chi pensa che lo stile di vita irreprensibile debba essere caratteristica del buon politico ha tutto il diritto di non votare per coloro il cui stile di vita non gli appaia irreprensibile. E' solo il caso di aggiungere che politici del calibro di Kennedy o Clinton avevano uno stile di vita forse ancora più discutibile di quello del cavaliere.
Il fatto è che l'Italia resta un paese profondamente cattocomunista, in cui il pensiero laico è ben lontano dall'aver conquistato una vera egemonia culturale. Purtroppo.

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