lunedì 25 marzo 2013

LA FAZIOSITA' DEI COMUNISTI




Perché sono tanto faziosi? Come è possibile che riescano ad esprimere una così formidabile capacità di odiare? Lo spettacolo di Bersani che è pronto a fare alleanze, quanto meno a discutere, con tutti meno che col Pdl non può non lasciare perplessi. La loro faziosità, tra l'altro, è controproducente, ha il solo risultato di rinsaldare le fila dei loro nemici. Il tentativo di eliminare in qualsiasi modo Berlusconi ridà fiato e forza ad un Pdl fino a ieri nettamente in crisi. Solo sei mesi fa una manifestazione come quella di Roma si sarebbe risolta con tutta probabilità in un clamoroso flop. Invece è stata un enorme successo. Possibile che Bersani non lo capisca? Non è un uomo intelligente, questo è vero, ma anche uno stupido queste cose riuscirebbe a capirle, lui no, e con lui tanti, tantissimi altri. Perché?
La risposta è semplice. Bersani e tanti altri sono comunisti, meglio, hanno da tempo abbandonato i fini comunisti ma conservano la mentalità comunista, il che è molto peggio.

Qualcuno considera il partito comunista un partito, più o meno, simile a tutti gli altri, solo più intollerante, più estremista. Il partito comunista avrà magari una forte vocazione autoritaria ma è comunque, e si sa, parte della società e mira a governarla, anche se con metodi poco ortodossi. Chi la pensa così non ha capito nulla del comunismo e del partito comunista, meno ancora capisce la mentalità comunista 

Il partito comunista non è un normale partito autoritario, non mira semplicemente a governare autoritariamente la società, al fine di tutelare determinati strati sociali, i loro interessi, i loro valori. No, è qualcosa di completamente diverso. Il partito comunista è l'auto coscienza della storia che si esprime come auto coscienza di quella classe che ha il destino storico di traghettare il genere umano dal regno della necessità a quello della libertà: il proletariato.
Il mondo borghese è un mondo alienato, gli esseri umani che vivono in questo mondo sono poveri, esangui fantasmi, non-uomini che hanno fuori di se la propria umanità. Grazie all'azione della classe operaia e del partito che ne rappresenta l'autocoscienza, questo mondo sarà superato, si ricomporrà ad un livello più alto la originaria unità fra uomo e natura, individuo e collettività, essenza ed esistenza umana. Dopo millenni di sfruttamento ed alienazione si concluderà il dramma terreno dell'uomo. La scissione dell'uomo con se stesso sarà superata e regnerà, per sempre, una superiore armonia.
Nella teoria e nella prassi del partito comunista si esplicita e si realizza il rovesciamento della storia, dell'uomo e della società. Non l'emancipazione umana ma la trasfigurazione dell'uomo è il fine del partito comunista, la rigenerazione integrale, la torsione a 360 gradi della sua natura. Con questa torsione la storia raggiunge il suo fine immanente, il paradiso abbandona l'al di la ed entra trionfante nel mondo terreno.

Il carattere mistico ed escatologico di una simile concezione è talmente evidente che non vale neppure la pena di sottolinearlo troppo. Una cosa invece val la pena di mettere in evidenza. I rapporti fra i comunisti e gli esponenti di altre forze politiche non sono in nulla assimilabili ai rapporti, più o meno pacifici, che le altre forze politiche hanno fra loro. Liberali e socialdemocratici, progressisti e conservatori, laici e cattolici, per tutti c'è posto nella concezione comunista della storia e del suo corso. Però sono loro, i comunisti, a rappresentare la auto coscienza di questo corso. La vittoria finale del comunismo rappresenta il lieto fine di un dramma di cui anche gli altri sono attori, ma attori necessariamente comprimari, inconsapevoli agenti della loro stessa, inevitabile, sconfitta. I rapporti fra i comunisti e gli altri non sono, non possono mai essere rapporti alla pari. Si tratta, sempre
di rapporti fra l'agente dello sviluppo storico ed i suoi inconsapevoli strumenti.
Il comunista potrà essere anche molto “dialogante”, a volte è dispostissimo ad accordi tattici o strategici con altri partiti, mira spesso a creare ampi fronti “democratico progressisti”, ma, sempre, considera gli altri, siano essi nemici o momentanei alleati, come esponenti di forze politiche e sociali destinate a sparire, magari dopo aver subito per un certo periodo di tempo la sua egemonia.
La faziosità del comunista nasce da qui, dalla pretesa di essere radicalmente diverso dagli altri, diverso perché destinato a realizzare un ineluttabile destino storico. Ma, attenzione, l'essere il consapevole attore di un destino storico non induce nel comunista alcun senso di quietismo. Il destino si realizza nella e grazie alla volontà, le leggi immanenti alla storia trovano la loro attuazione nella cosciente pratica rivoluzionaria. Il comunista è, insieme, determinista e volontarista, la cosa non lo preoccupa perché lui, da buon marxista hegeliano, ha “superato” il principio di non contraddizione. Si sa predestinato a riscattare il mondo e lotta con tutte le forze contro chi intende rallentare, o condizionare, od impedire questo riscatto. E' un calvinista laico.
E da buon calvinista ha una formidabile capacità di odiare, oltre che di amare. Ed odia in effetti chi in qualsiasi modo si oppone alla sua azione redentrice; soprattutto odia con la massima intensità chi non dialoga con lui, chi non accetta la sua visione escatologica della storia, la sua concezione del bene come trasfigurazione dell'uomo, insomma, chi rifiuta la sua egemonia culturale oltre che la sua politica.
Il comunista rigetta con veemenza ogni forma di reciprocità con le altre forze politiche. E' ridicolo chiedergli una sincera accettazione delle regole democratiche, o il riconoscimento del pluralismo sociale e politico o il rispetto delle libertà individuali.
Il comunista pretende il massimo rispetto dagli altri ma non è disposto a rispettarli, se non a fini tattici. Una manifestazione comunista è una grande “espressione di democrazia”, diventa “eversione populista” se a manifestare sono i suoi nemici. Il comunista è pronto a definire “borghese“ la legalità, ma la invoca se il leader di un partito nemico finisce nel mirino di qualche magistrato politicizzato. Il comunista esalta la pace quando si tratta di protestare contro un intervento armato “made in usa”, ma esalta la guerra se sono i suoi compagni a condurla, vuole la libertà di stampa ma è pronto ad eliminarla se questo favorisce la sua politica, urla contro la pena di morte, ma la sua storia è un martirologio di esecuzioni, spessissimo sommarie, sempre illegali. La democrazia va bene se agevola l'azione politica dei comunisti, può essere gettata alle ortiche se la ostacola. Si potrebbe continuare, molto, molto a lungo.
Una faziosità tanto radicale non deriva, questo deve essere chiarissimo, da cattiva fede, scarso attaccamento all'ideale, degenerazione corruttiva. No tanta faziosità deriva precisamente dall'attaccamento all'ideale, dalla convinzione profonda di far parte della crema del genere umano, di essere superiore agli uomini “comuni”. il comunista è tanto più fazioso quanto più è in buona fede, è tanto più feroce quanto più è onesto, in questo è sinistramente simile al suo gemello nemico nazista. Il nazista più pericoloso era quello più in buona fede, quello meno corruttibile, intimamente convinto della superiorità della “razza ariana” e del carattere criminale del giudaismo. Alcuni fra i più grandi ed orrendi crimini della storia sono stati commessi da persone assolutamente integerrime, spesso “incorruttibili”.
Ci sono altri due aspetti della faziosità comunista che occorre chiarire, aspetti piuttosto importanti.
Il primo risiede nella concezione comunista del bene. Si sente spesso dire che i comunisti sono meno esecrabili dei nazisti perché il loro fine sarebbe stato il “bene” degli esseri umani mentre i nazisti rivendicavano con feroce coerenza il male. Non intendo affrontare un tema tanto complesso come quello del confronto fra comunismo e nazismo, mi limito ad osservare che l'etica delle intenzioni non può guidarci nella valutazione di ciò che concretamente producono certe ideologie. Se una certa ideologia mira al bene ma
sempre, in tutte le situazioni produce solo il male può darsi che ci sia in lei qualcosa di profondamente, radicalmente sbagliato, può darsi che il bene per cui questa ideologia si batte non sia poi tanto un “bene”. E siamo così al punto. Il “bene” a cui mirano i comunisti non è lo stesso “bene” a cui mirano ad, esempio, i liberali, o i socialdemocratici. Per tutti questi è “bene” che gli esseri umani godano di estese libertà civili e politiche, che esista un buon livello di benessere, che tutti, o la gran maggioranza degli esseri umani, possano realizzare alcuni almeno dei loro fini. Insomma il bene che queste persone desiderano è il bene dell'uomo empirico, dell'essere limitato, dato, accidentale che vive qui ed ora nel mondo. Il comunista ride di questa concezione del bene, si tratta per lui di una concezione piccolo borghese, filistea. Il “bene“ del comunista si identifica nel superamento dell'egoismo in ogni sua forma, nella fine e di quello che Rousseau chiamava l'amor proprio, del desiderio di riconoscimento, di benessere materiale. Il bene ideale del comunista si realizza nell'integrazione senza residui dell'io nel tu, del singolo nel collettivo, nella armonia totale, senza smagliature di tutti con tutti. Si tratta non di fare il bene dell'uomo che vive qui ed ora nel mondo ma di cambiare radicalmente la natura di questo piccolo, miserabile, filisteo che è l'uomo che vive qui ed ora nel mondo. Il bene comunista si realizza nella costruzione dell'uomo nuovo, non nella soddisfazione dei meschini desideri dell'uomo “vecchio”. Si tratta di un fine impossibile, impossibile nel senso letterale del termine, posto al di fuori delle possibilità umane. Però è facilissimo uccidere milioni di uomini “vecchi” per realizzarlo; è possibile farlo perché chi ha una simile concezione del bene in fondo li disprezza, gli uomini vecchi. L'ometto che vuole qualche soldo in più in busta paga, che aspetta con ansia una settimana di vacanze al mare, che segue la squadra del cuore, fa schifo in fondo all'intellettuale comunista. Se ne possono sostenere le rivendicazioni se questo è utile alla grande causa, lo si può spedire in un comodo campo di concentramento se invece è questo ad essere utile, lo si può fare senza batter ciglio. Un simile sotto uomo non merita molte attenzioni.
Ed infine, la cosa forse più importante. Il grande ideale è scritto nel destino della storia ma si realizza con la volontà, nella lotta, lotta dura, durissima, spietata. E nella lotta si deve odiare, odiare senza riserve il nemico. E non si odia una classe, non si odia un sistema economico, non si odiano delle relazioni sociali. Si odiano, si possono odiare solo degli esseri umani, esattamente come si possono amare solo degli esseri umani, incarne ed ossa. La grande causa ha bisogno di grandi leader che le folle possano adorare e di nemici che le stesse possano, anzi, debbano odiare, con tutte le loro forze. Le grandi ideologie escatologiche hanno sempre bisogno di nemici.
Ed infatti il comunismo è sempre vissuto circondato da nemici, esseri demoniaci, uomini che rappresentavano il male assoluto, mostri coi quali ogni dialogo era impossibile, che dovevano solo esser distrutti, schiacciati come vermi. Il caso più enorme è quello di Trotskj. Il protagonista del colpo di mano dell'ottobre che diventa il nemico numero uno degli operai di tutto il mondo, l'insetto velenoso che da sempre ha tramato contro il partito bolscevico, colui che era complice del fascismo prima ancora che il fascismo nascesse. E oltre a Trotskj tanti altri, interni o esterni al movimento comunista, di destra o di sinistra: il “rinnegato Kautsky”, Liu Shaoqui, Saragat, Scelba, Craxi, Almirante, fino all'ultimo, al mostro dei mostri, l'uomo che è corrotto, corruttore, pedofilo, mafioso, stragista, bugiardo, puttaniere e nemico delle donne e chi più ne ha più ne metta. La lotta per il bene assoluto ha bisogno di angeli ed ha, parimenti, bisogno di demoni. Certo, a volte le cose cambiano, col mutare delle esigenze tattiche. Qualche mostro viene riabilitato, qualche altro diventa, per limitati periodi di tempo, un po' meno mostro. Saragat è stato additato per anni come “servo degli imperialisti”, poi è stato votato, anche dai comunisti, presidente della repubblica; con lo stesso mostro massimo, il cavaliere, si sono tentati, fugacemente, degli approcci, quando questi potevano apparire convenienti. Se però si guarda alla storia del movimento comunista nel suo complesso ci si accorge subito che sempre, in questa storia, è presente qualche mostro, qualche nemico del popolo contro cui manifestare il proprio furore , la propria sacrosanta indignazione
Qualcuno potrebbe obbiettare: “Giovanni, non ti sembra di esagerare? D'Alema che vuole rifondare l'uomo? Fassina che vuole rivoltare come un calzino la società? Ma è tutta gente impelagata con Monte Paschi! E poi, ce lo vedi Bersani alle prese con la dialettica? Lo immagini chino sul “Capitale” o sulla “Fenomenologia dello spirito”? Ma, lo hai visto in faccia?”
Si tratta di una obiezione seria. Certo, non credo che Bersani si sia macerato sulle pagine del “Capitale”, ma, chi ha detto che occorra conoscere una filosofia per esserne influenzati? Le grandi filosofie hanno questa caratteristica: vengono semplificate, banalizzate, ridotte in pillole, in insieme di luoghi comuni; in questa forma penetrano nella testa degli esseri umani e ne influenzano profondamente il modo di pensare e di sentire, e di agire.
Ed è vero che i post comunisti di oggi hanno abbandonato le vecchie utopie, sono ben inseriti nel sistema capitalistico, amministrano banche, a volte quasi le fanno fallire, hanno buoni rapporti con nomi importanti della nomenclatura industriale e finanziaria. Insomma, non sono affatto degli incorruttibili e spietati angeli dell'ideale, piuttosto piccoli e grandi burocrati con una moralità spesso assai elastica. Però, la mentalità degli esseri umani non cambia automaticamente col variare del loro stile di vita, delle loro stesse idee. Si può accettare il sistema capitalista e continuare a sentire nei suoi confronti un sottile, profondo disgusto. Ci si può, anche in buona fede, dichiarare pluralisti ma continuare a sognare la società unificata, omogenea, priva di contrasti. Ci si può adattare al mondo ma considerare questo adattamento, come, appunto, un adattamento, una concessione che occorre fare agli ineliminabili vizi dell'uomo, di certo non un valore. E si può anche essere corrotti e continuare a provare un formidabile sdegno nei confronti non solo della corruzione ma di tutto ciò che è denaro, mercato, finanza. “Io non sarò onestissimo, è vero, ma la colpa è dello sterco del demonio, mi sono allontanato dal mio ideale perché questo è troppo difficile da raggiungere, ma continua ad amarlo e questo basta a rendermi superiore agli altri, a quei miserabili che ritengono che il denaro sia tutto”.
Al momento del suo crollo l'impero comunista era tutto meno che il regno dell'ideale incontaminato, era divorato da una corruzione generalizzata, distruttiva. Però i vecchi modi di pensare e sentire restavano, ben saldi, convivevano con una realtà gretta, miserabile. E nessuno fra i vecchi modi di pensare e sentire è tanto saldo, duro a morire quanto la faziosità, la convinzione di essere comunque superiori agli altri. Tanto più l'ideale viene contraddetto dalla prassi tanto più si fa forte questa convinzione, tanto più feroce diventa, a volte, questa faziosità. Si tratta di un'arma difensiva in fondo, qualcosa che tiene lontane le insidie del mondo che permette al post comunista di non rimettere in discussione la sua storia, i suoi valori, di far convivere la sua grigia prassi presente con i nobili e mai rinnegati ideali di ieri.
Fino a quando i post comunisti non diventeranno ex comunisti, fino a quando cioè non sottoporranno ad un esame spietato la loro vecchia ideologia, fino a quando continueranno a voler far convivere passato e presente, idealità e grigia prassi quotidiana, fino a quel momento resteranno, sempre, degli insopportabili faziosi. Spetta a loro cambiare, e sul serio.

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