domenica 31 marzo 2013

IL MOVIMENTO PER LA DECRESCITA FELICE, OVVERO L'AUTOPRODUZIONE DELLA FOLLIA,






Può essere istruttivo analizzare un testo del movimento per la decrescita felice, associazione fondata da Maurizio Pallante, esperto in risparmio energetico, che si rifà al pensiero di Serge Latouche e che vede fra i suoi estimatori (potevamo dubitarne?) l’ineguagliabile Beppe Grillo. Questo movimento “parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positiva, ma che esistano situazioni frequenti in cui ad un aumento del Prodotto interno lordo (PIL) si riscontra una diminuzione della qualità della vita” (1).
Il movimento per la decrescita felice auspica un forte incremento della economia di auto consumo. “I sostenitori del MDF ritengono che vi siano casi piuttosto frequenti in cui attraverso processi di autoconsumo, di risparmio energetico e di relazioni di scambio che non transitino necessariamente per il mercato, si verifichi un incremento della qualità della vita materiale associata ad una diminuzione del PIL. Viene auspicato quindi l'aumento del benessere riducendo il PIL tramite autosufficienza e produzione in proprio. Un esempio classico in seno alle scienze economiche è quello paradigmatico dell'economia contadina.” (2)
C’è da restare perplessi. Da Smith in poi eravamo tutti abituati a pensare che la divisione del lavoro e la meccanizzazione delle attività produttive rendessero più prospera l’umanità. Lo stesso Marx aveva tranquillamente ammesso che la rivoluzione industriale era stata un formidabile fattore di progresso economico. Tutti ci sbagliavamo. Pallante, Latouche e Beppe Grillo ci insegnano oggi che il vero segreto del benessere consiste.. nell’economia di auto consumo. La cosa strana è che non si tratta affatto di una novità. Gli esseri umani hanno fatto ricorso per secoli a questo tipo di economia ma non sembra che questa abbia risolto molti dei loro problemi, infatti è stata abbandonata. Con esisti catastrofici forse? Non sembrerebbe. “Fino al 1400” afferma Bjorn Lomborg, autore del noto libro l’ambientalista scettico, “l’aspettativa di vita dell’uomo era bassissima, un neonato poteva sperare di vivere solo 20-30 anni. La causa fondamentale era il tasso di mortalità infantile molto elevato: solo un bambino su due sopravviveva oltre il quinto compleanno” (3). La situazione è radicalmente mutata precisamente in seguito al processo di industrializzazione ed al conseguente abbandono dell’economia di auto consumo. “In Francia l’aspettativa di vita era nel 1800 di circa 30 anni e in Danimarca di circa 44 nel 1845. Ovunque si è arrivati oggi ad un’aspettativa superiore ai 70 anni, con una media di 77 nei paesi sviluppati” (4). Dal 1400 al 1800 l’aspettativa di vita è cresciuta di meno di 10 anni, è cresciuta invece di 47 anni negli ultimi due secoli, precisamente quei secoli in cui l’economia di auto consumo si è contratta in tutto il mondo e ha raggiunto dimensioni puramente residuali nei paesi più sviluppati. Possono farsi considerazioni simili riguardo a tutti gli altri indicatori di benessere, dalla contrazione delle malattie infettive all’aumento delle calorie pro capite o del livello di scolarizzazione. Forse l’auto consumo racchiude il segreto della felicità ma finora nessuno se ne è mai accorto.

 

Ma vale la pena di analizzare come il movimento per la decrescita argomenta le sue proposte. In un interessante documento-manifesto gli esponenti di questo movimento esemplificano i loro obiettivi di riforma economica a partire dalle vicende di un vasetto di Yogurt. E’ istruttivo seguire il filo delle loro argomentazioni.
“Un vasetto di yogurt prodotto industrialmente e acquistato attraverso i circuiti commerciali, per arrivare sulla tavola dei consumatori percorre da 1.200 a 1.500 chilometri, costa 10 euro al litro, ha bisogno di contenitori di plastica e di imballaggi di cartone, subisce trattamenti di conservazione che spesso non lasciano sopravvivere i batteri da cui è stato formato.
Lo yogurt autoprodotto facendo fermentare il latte con opportune colonie batteriche non deve essere trasportato, non richiede confezioni e imballaggi, costa il prezzo del latte, non ha conservanti ed è ricchissimo di batteri.
Lo yogurt autoprodotto è pertanto di qualità superiore rispetto a quello prodotto industrialmente, costa molto di meno, non comporta consumi di fonti fossili e di conseguenza contribuisce a ridurre le emissioni di CO2, non produce rifiuti.
Tuttavia questa scelta, che migliora la qualità della vita di chi la compie e non genera impatti ambientali, comporta un decremento del prodotto interno lordo: sia perché lo yogurt autoprodotto non passa attraverso la mediazione del denaro, quindi fa diminuire la domanda di merci, sia perché non richiede consumi di carburante, quindi fa diminuire la domanda di merci, sia perché non fa crescere i costi dello smaltimento dei rifiuti.” (5) Insomma, lo Yogurt autoprodotto costa meno, è di migliore qualità, fa bene alla salute, riduce le emissioni di CO2 e quindi migliora l’ambiente. Semplice no? Si consuma meglio, si spende meno e non si inquina. Ma non basta, i miracoli dell’auto produzione sono molteplici, toccano tutte le nostre funzioni, comprese le più intime:
“I fermenti lattici contenuti nello yogurt fresco autoprodotto arricchiscono la flora batterica intestinale e fanno evacuare meglio. Le persone affette da stitichezza possono iniziare la loro giornata leggeri come libellule. Pertanto la qualità della loro vita migliora e il loro reddito ne ha un ulteriore beneficio, perché non devono più comprare purganti.” (6). Siamo quasi in paradiso! Si caga meglio (si scusi la volgarità), si risparmiano i soldi del purgante e si è più felici, meglio di così è impossibile. Ma, non è ancora finita, le virtù dell’autoproduzione sono sconfinate:
“La diminuzione dei rifiuti e della domanda di yogurt e di purganti prodotti industrialmente, comporta una riduzione della circolazione degli autotreni che li trasportano e, quindi, una maggiore fluidità del traffico stradale e autostradale. (…) La diminuzione dei camion circolanti su strade e autostrade diminuisce statisticamente i rischi d'incidenti.” (7) Una vera manna dal cielo insomma, né si deve pensare che ci si debba fermare allo yogurt: Fra gli obiettivi del movimento per la decrescita figura infatti al primo posto: “ autoprodurre lo yogurt o qualsiasi altro bene primario: la passata di pomodoro, la marmellata, il pane, il succo di frutta, le torte, l'energia termica e l'energia elettrica, (sic) oggetti e utensili, le manutenzioni ordinarie” (8)
Avevamo davanti agli occhi la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi del mondo e da folli abbiamo chiuso gli occhi. Hanno contribuito a chiuderceli, naturalmente, tutti coloro che sarebbero danneggiati dalla messa in pratica delle proposte del movimento: le grandi industrie che vedrebbero calare i loro profitti, i governi le cui entrate fiscali si contrarrebbero spaventosamente, i medici che avrebbero molti meno malati da curare e i farmacisti che non saprebbero più a chi vendere le orribili medicine prodotte dall’industria farmaceutica capitalista. A dirla tutta, fra i danneggiati ci sarebbero anche altri soggetti cui il manifesto del movimento non dedica molto spazio. Ad esempio, gli operai che lavorano nelle diaboliche grandi industrie, i camionisti che vedrebbero ridursi drasticamente i loro redditi, tutti coloro che lo stato aiuta con le entrate fiscali. Naturalmente non bisogna farsi troppi problemi per questi milioni di esseri umani: anche loro potrebbero prendere la via della campagna ed iniziare ad autoprodurre yogurt e marmellata. Forse la cosa creerebbe qualche problema, è vero; riusciamo ad immaginare centinaia di migliaia di esseri umani che abbandonano le città covi di vizio per prendere la strada della campagna? (chissà perché una simile immagine mi ricorda la Cambogia di Pol Pot). Dove abiterebbero queste persone? Dovrebbero “autoprodurre” le case e le stalle e quindi i mattoni, il cemento, gli attrezzi da lavoro? E dove si procurerebbero le mucche per “autoprodurre” yogurt e latte e il fieno per nutrirle? Mistero, profondo mistero. Ma non c’è troppo da preoccuparsi, tipi come Grillo e Pallante sono lì, pronti a consigliarli per il meglio.

Tutto il discorso del manifesto si basa in realtà su tre trucchi da quattro soldi, tre autentici giochi di prestigio dialettici. Primo trucco: i furbetti del “movimento” imputano al costo dello yogurt solo il costo della parte finale del processo produttivo che si conclude col vasetto di yogurt. Lo yogurt autoprodotto costa il solo prezzo del latte affermano questi sapientoni, ma questa è una palla colossale. Se voglio autoprodurre yogurt devo comprare una mucca, allevarla e nutrirla. Devo possedere un appezzamento di terreno sufficientemente grande, una stalla, devo possedere anche un toro per la riproduzione della mia mucca. A essere pignoli devo anche comprare le materie prime che mi servono ad autoprodurre il vasetto che contiene lo yogurt (carta? Vetro? Non si sa, inezie). Il costo autentico dello yogurt autoprodotto comprende i costi di tutto il capitale fisso e variabile necessario per produrlo, altro che il solo costo del latte! I sapientoni del movimento per la decrescita considerano gratuito tutto ciò che precede la produzione diretta dello yogurt. Probabilmete molti di loro hanno già una grande cascina in canpagna, con tanto di stalle, mucche, tori e pascoli. Per loro tutto questo è gratuito, per la grande maggioranza degli altri esseri umani non lo è per nente.
E veniamo al secondo trucco dei guru della decrescita. Costoro dimenticano o fanno finta di dimenticare che il tempo che si utilizza per atoprodurre yogurt, o marmellata o qualsiasi altra cosa potrebbe essere utilizzato, e nei fatti lo è in tutti i paesi sviluppati, per compiere attività enormemente più produttive. E’ il grande principio della divisione del lavoro: ognuno si specializza in ciò che sa fare meglio, scambia con altri il prodotto del suo lavoro, o il suo stesso lavoro, e acquisisce in questo scambio una ricchezza enormemente superiore a quella che acquisirebbe se producesse in proprio ciò di cui ha bisogno. Se io impiego tutto il giorno per autoprodurre due vasetti di yogurt, tre di marmellata, due torte e magari un paio di mutande non sarò mai sufficientemente ricco per potermi comprare un abito, un paio di scarpe, un tavolo, una sedia e magari un libro da leggere.
Ed infine il terzo trucco, il più basilare ma anche il più stupido di tutti. Quando confrontano il costo dello yogurt autoprotto con quello dello yogurt acquistato al supermarket i furbetti del movimento dimenticano di conteggiare fra i costi dello yogurt autoprodotto il costo del lavoro necessario a produrlo. Io rinuncio ad uno stipendio di dirigente, o di impiegato o di operaio   per andare ad autoprodurre yogurt, questo mancato guadagno è a tutti gli effetti un costo, ma per i guru alla Beppe Grillo questo non dovrebbe entrare nel costo del vasetto di yogurt che alla fine riesco a fabbricare! Per “autoprodurre” due chili di marmellata devo passare tutto il giorno a sbucciare la frutta, bollirla, zuccherarla eccetera ma per i guru della decrescita il costo della marmellata comprende solo il costo della frutta e dello zucchero, la fatica che ho fatto tutto il giorno non rappresenta un costo per loro! Siamo nell’ottica del lavoro ridotto a hobby, l’ottica di chi ha un sacco di soldi, non deve far nulla e passa il suo tempo a fare passate di pomodoro, yogurt o torte di mele. Insomma, l’ottica di chi vive di rendita. Se passo la domenica a pescare e torno a casa con una trota posso anche considerare “gratuita” la cena a base di pesce, essa però è tale solo perché considero divertimento e non lavoro il tempo passato a pescare. Se tutti i giorni dovessi procurarmi il pranzo pescando, cacciando o autoproducendo yogurt il discorso cambierebbe radicalmente. Solo dei redditieri oziosi possono non capirlo.
Se qualcuno volesse avere la conferma della verità di ciò che si è appena detto potrebbe acquistare in qualche negozio specializzato yogurt o marmellata (o qualsiasi altra cosa) autoprodotti, chi autoproduce certi beni ne vende molto spesso una parte, cosa che gli stessi teorici della decrescita auspicano. Ebbene, chi acquistasse questi prodotti artigianali vedrebbe subito che il loro prezzo è sempre più alto di quello del latte o della frutta e spesso più elevato, in certi casi assai più elevato, di quello del supermercato. Come mai un fatto tanto strano? Non dovrebbero costare meno i beni autoprodotti? Lo yogurt autoprodotto non dovrebbe avere un costo pari a quello del latte? L’apparente paradosso è semplicissimo da risolvere: chi vende una parte dei beni che autoproduce vuole, giustamente, che il suo lavoro venga ricompensato! Non segue le scemenze di Grillo e Pallante ma la logica economica. Del resto gli è possibile vendere ad un prezzo maggiorato i suoi beni perché può sempre giustificare il prezzo più elevato con la migliore qualità del prodotto. Ma questo, come si sa, fa parte a pieno titolo della pratica del commercio.

Ovviamente anche nel prezzo dello yogurt prodotto industrialmente entrano i costi delle mucche, del foraggio e così via. Ed entrano in più, è vero, il costo del trasporto, dell’imballaggio, dei conservanti che non gravano sullo yogurt autoprodotto. Ma la produzione industriale può realizzare economie di scala che sono inesorabilmente precluse alla piccola produzione destinata all’auto consumo. Grazie all’organizzazione del lavoro ed all’utilizzo di macchine la produttività del lavoro nella produzione su larga scala è enormemente superiore a quella della produzione destinata all’auto consumo. In una fabbrica di medie o anche di piccole dimensioni si produce in un’ora di lavoro una quantità di yogurt molto superiore a quella che è possibile produrre in una giornata lavorativa dedicata all’auto consumo. Questa maggior produttività compensa ampiamente i costi di trasporto, imballaggio, conservazione di cui parlano i guru della decrescita. Per rendersi conto di quanto sia insensata l’analisi del movimento per la decrescita basta porsi una semplice domanda: “quante persone potrebbero consumare yogurt se esso venisse interamente autoprodotto?” E’ serio pensare che tutti potrebbero autoprodurlo? No, ovviamente; chi lo autoproducesse sarebbe in grado di venderne una parte ai terzi? Vista la scarsa produttività del lavoro finalizzato all’auto consumo se ne potrebbero venderne solo quantità molto ridotte e a costi proibitivi per la gran parte degli esseri umani. Se davvero si imboccasse in maniera generalizzata la strada dell’autoproduzione molto semplicemente la grande maggioranza degli esseri umani potrebbe consumare yogurt e marmellata e carne e verdure solo in minime quantità, ognuno potrebbe consumare a sufficienza solo il ristretto numero di cose che riuscirebbe ad autoprodurre. Questo avviene oggi in molti paesi economicamente arretrati ed avveniva anche da noi quando l’economia di auto consumo era generalizzata. Un paio di secoli fa i contadini della valle Padana mangiavano quasi esclusivamente polenta e la pellagra era una calamità sociale, il che tra l’altro confuta la scemenza secondo cui l’autoproduzione favorisce la salute, storicamente è sempre successo il contrario e non a caso. E non è neppure vera l’idiozia secondo cui l’economia di auto consumo riduce l’inquinamento da rifiuti. E’ stato grazie alla divisione del lavoro che si sono potute costruire fognature e impianti di depurazione, è lo sviluppo tecnologico che ci può permettere oggi di smaltire nella maniera meno invasiva possibile i rifiuti connessi alle attività umane. Queste però sono cose di scarsa importanza per i teorici della decrescita. Ai rifiuti che loro producono pensano gli “operatori ecologici” e la loro dieta non è affatto limitata alla sola polenta.

Scrive Adam Smith all’inizio della Ricchezza delle nazioni: “Sembra che il grandissimo progresso della capacità produttiva del lavoro e la maggiore abilità, destrezza e avvedutezza con le quali esso è ovunque diretto o impiegato siano stati effetti della divisione del lavoro” (9). Basta riflettere un attimo per comprendere quanto sia veritiera questa breve affermazione di Smith. Si esamini un piccolo oggetto di uso quotidiano, il mouse del PC con cui scrivo ad esempio, e si provi ad analizzare le parti che lo costituiscono, e a pensare da dove queste provengono, e da dove provengono le materie prime di cui sono fatte, ed ancora, da dove vengono gli strumenti che hanno permesso di lavorare queste materie prime, e di assemblare queste parti. Ci renderemo subito conto che nel piccolo mouse sono compresi lavoro e materie prime che vengono da tutto il mondo e che io, anche se fossi il massimo esperto di elettronica ed il più abile artigiano del mondo, non potrei mai autoprodurre un simile, piccolo, quasi insignificante oggetto. Anche ammettendo, in via del tutto ipotetica, che fossi in grado di produrre il mouse, con tutte le sue componenti e le materie prime necessarie, questo mi costerebbe centinaia, o migliaia, di ore di lavoro; eppure mi basta andare in un qualsiasi negozio di elettronica e posso acquistare il mouse, ad un prezzo corrispondente a quanto guadagna un normale operaio in un quarto d'ora o mezzora, al massimo, di lavoro. E' la divisione del lavoro che rende possibile questo "miracolo", bisogna essere ciechi, meglio, accecati dalla ideologia, per non rendersene conto. 
Oltre al benessere divisione e meccanizzazione del lavoro hanno prodotto grandi problemi, è vero, lo stesso Smith ne parla nel suo capolavoro. Questi però si risolvono con lo sviluppo dell’istruzione, la riduzione dell’orario di lavoro, l’imposizione alle attività produttive di vincoli e limiti legati alla tutela dell’ambiente, non certo con il ritorno ad una economia preindustriale! In realtà le proposte del movimento per la decrescita possono essere messe in atto solo se riguardano piccole minoranze di esseri umani. Un imprenditore in crisi, un giovanotto che vive di rendita, una ragazza stanca dello stress della città possono ritirarsi in campagna, acquistare coi risparmi accumulati in precedenza o con i soldi della liquidazione un bel casolare rustico e produrre da sé una certa quantità di beni, magari possono anche vendere una parte dei beni che autoproducono. E’ abbastanza evidente però che i nostri amici in fuga dalla città possono fare tutte queste cose solo perché si procurano sul mercato sia la gran quantità dei beni di cui hanno bisogno per vivere sia ciò che serve per “autoprodurre” (e vendere) certi altri beni. L'economia di auto consumo può essere qualcosa di diverso da un puro ritorno alla miseria generalizzata solo se esiste ed è assolutamente prevalente una economia basata sulla divisione del lavoro, lo scambio e la meccanizzazione, ed anche in questo caso non può riguardare che quantità assai ridotte di esseri umani. Non appena la cerchia dei clienti a cui si vendono parte dei beni “autoprodotti” dovesse allargarsi occorrerebbe passare dalla autoproduzione a una qualche forma di economia inindustriale.

I guru della decrescita non sanno di essere scarsamente originali. L’idea di decentralizzare la produzione in tanti piccole unità era venuta molto prima che a loro al presidente Mao Tze Tung. Nel 1958, nell’ambio della politica del gran balzo in avanti, il grande timoniere decise che la produzione di acciaio doveva essere raddoppiata in un anno; però, racconta la scrittrice cinese Juang Chang, “invece di sviluppare l’industria siderurgica vera e propria con operai specializzati (il presidente Mao) decise di coinvolgere nell’impresa l’intera popolazione” (10). Niente grandi fabbriche in cui produrre grandi quantità di acciaio da trasportare poi con camion o treni nei luoghi in cui l’acciaio serve; no, ogni villaggio, ogni scuola, a volte ogni casa dovevano avere la loro piccola fornace. “Ogni giorno, all’andata e al ritorno (da scuola) aguzzavo gli occhi per scrutare il terreno a palmo a palmo alla ricerca di chiodi spezzati, ingranaggi arrugginiti e qualsiasi altro oggetto metallico che poteva essere finito nel fango (…) i metalli dovevano alimentare le fornaci per produrre acciaio, ed era questa la mia occupazione principale. Si, all’età di sei anni ero già impegnata nella produzione di acciaio e dovevo gareggiare con i miei compagni di scuola a raccogliere anche il minimo residuo di ferro” (11) e dove finiva questo ferro? Lo sappiamo: “nella mia scuola, enormi pentoloni simili a crogiuoli avevano preso il posto di alcuni wok sui fornelli delle gigantesche stufe in cucina: era li dentro che finivano tutti i nostri rottami di ferro (…) i nostri maestri le alimentavano a turno con legna, ventiquattro ore su ventiquattro e rimestavano i rottami nei crogiuoli con un enorme cucchiaio” (12)
Che idea splendida! Produrre acciaio usando i rottami che si possono trovare per strada! Non si tratta di un ottimo modo per riciclare il ferro? In questo modo non si devono costruire miniere, impoverire il pianeta di preziose materie prime, inquinare l’ambiente. Ed ancora, per produrre in questo modo l’acciaio non serve costruire strade e ferrovie, si riducono le emissioni di CO2, diminuiscono gli incidenti stradali e ferroviari, aumenta la cultura dei bambini che invece di passare ore a studiare cose inutili imparano a produrre direttamente ciò di cui la patria socialista ha bisogno. Il presidente Mao è in un certo senso un anticipatore di Pallante, Latouche e Beppe Grillo. Certo, Mao non aveva in mente la tutela degli ecosistemi quando lanciò la parola d’ordine del “gran balzo in avanti”, inoltre imponeva ai cinesi le sue grandi trovate, li obbligava ad eseguire i suoi ordini, i guru della decrescita si limitano invece a cercarem di convincere, suadenti come sirene (ma, visto che non hanno il potere che altro possono fare?), a parte questo però non si può non ammirare l’enorme preveggenza del celeste presidente che, pur partendo da diversi premesse e usando diversi mezzi, ha anticipato di decenni le grandiose idee dell’ecologismo radicale. Un solo piccolo particolare rovina il quadro: il gran balzo in avanti si concluse con un disastro economico, nessuno dei suoi obiettivi fu raggiunto, produsse carestie e innumerevoli sofferenze al popolo cinese, costò alcuni milioni di vite umane. Particolari secondari, ovviamente. Cosa volete cher importi ai nuovi profeti del nulla il destino di milioni di esseri umani, cinesi per di più? Loro veleggiano nel loro mondo etereo, lontani anni luce dalla fastidiosa, prosaica realtà in cui si trovano a vivere gli esseri umani normali. Beh... ci restino nella loro realtà immaginaria e ci lascino in pace, per favore!
 





 Note

1) Wikipedia: Movimento per la decrescita felice. Rinvenibile in rete alla voce “decrescita felice”

2) Wikipedia: Ibidem.

3) Bjorn Lomborg: L’ambientalista scettico. Mondatori 2003 pag. 54.

4) Ibidem pag. 54

5) Manifesto del movimento per la decrescita felice. Rintracciabile in rete digitando Manifesto..ecc.

6) Ibidem

7) Ibidem

8) Ibidem

9) Adam Smith: La ricchezza delle nazioni. Edizioni del “Sole 24 ore” 2007 pag. 148

10) Juang Chang: I cigni selvatici. Longanesi 1991 pag. 280

11) Ibidem pag. 278

12) Ibidem pag. 278



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